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MONDO. Che nonostante l’invasione dell’Ucraina, il conflitto Iran-Israele e la guerra dei dazi, l’economia tenga e l’Europa attiri capitali è la conferma che il capitale finanziario guida le sorti del mondo.
Il desiderio di stabilità economica prevale anche sulla politica. Lo ha capito Donald Trump, sacerdote della nuova fede, quella che potremmo sintetizzare in «Nel denaro noi crediamo». È notizia di ore che Cina e Stati Uniti hanno raggiunto un accordo commerciale. La conferma del ministero del Commercio cinese rende la notizia credibile. Anche per i dazi minacciati nel Liberation Day all’Unione Europea sembra si aprano spazi. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, non esclude un’ulteriore proroga alla scadenza del 9 luglio prevista per la loro entrata in vigore. Senza contare i 30 miliardi offerti all’Iran per un programma nucleare civile. Teheran va aiutata per farne un partner economico gradito. Lo comunica la catena televisiva Cnn.
Una notizia che, anche se poi meglio precisata, esprime l’indice di una tendenza. Rimangono però i fondamentali. Il capitale finanziario non ha volto e se in America Jerome Powell, il governatore della Federal Reserve, mantiene i tassi mentre Christine Lagarde della Bce li abbassa va da sé che conviene investire in Europa dove il costo del denaro è più basso. Del resto, dei grandi spazi alla Borsa americana di Wall Street sembra non ce ne siano. Al Nasdaq il rapporto prezzo-margini di guadagno è del 33,24% mentre al Dax tedesco è del 18,16. Un rapporto che parla di prezzi esagerati, legati al fatto che alla Borsa newyorkese domina la prospettiva di un mondo dove le fabbriche producono senza personale umano, gli uffici funzionano senza carta e nell’economia l’Intelligenza artificiale è superiore a quella umana.
Poiché Microsoft, Apple, Amazon, Nvidia, Tesla ecc. hanno tutte sede in Usa è chiaro che le quotazioni azionarie sono a rischio surriscaldamento. L’Europa per contro ha margini di crescita. Inserita anch’essa nella prospettiva di un futuro tecnologico, soffre però di un rallentamento legato anche alla sua dipendenza energetica e vede conseguentemente le azioni delle sue aziende sottostimate. Il mercato azionario statunitense ha una capitalizzazione di circa 50mila miliardi a fronte di 14mila miliardi di dollari in Europa. Se mettiamo nel conto che circa il 20% del Pil europeo è costituito dall’industria manifatturiera mentre in America è meno della metà, ne consegue che il tempo lavora per l’Europa.
È vero che i taxi a guida autonoma, sperimentati in questi giorni da Musk, hanno una tecnologia tutta made in Usa ma poi ci sarà anche bisogno di un’industria in grado di produrre in serie la struttura del veicolo. L’Europa dispone già delle filiere produttive, se recupera il ritardo nella ricerca tecnologica ha le basi per ripartire. Si prenda il riarmo. Le aziende del settore stanno vivendo un boom, ma le ricadute dei loro investimenti non vanno solo in direzione del settore militare. Anche l’economia civile ne andrà a beneficiare. Internet avviato dai militari ha dato inizio ad una nuova era.
Tutto questo genera un clima di fiducia negli addetti ai lavori. L’indice Ifo del centro di ricerca tedesco di Monaco di Baviera quantifica all’88,4% il gradimento degli operatori economici. Se la tendenza è confermata, ci si attende uno spostamento di circa mille miliardi di dollari dagli Usa alle sponde europee come diversificazione degli investimenti. La finanziarizzazione è il marchio del momento e travolge gli spiriti di guerra. Quello che prima gli americani imponevano al mondo in nome dei valori della democrazia, della divisione dei poteri, della libera iniziativa e della libertà di stampa adesso si afferma in forza del denaro. È il prezzo della stabilità che paghiamo tutti in silenzio.
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