Sempre meno ricchezza ma sempre in mano a pochi

I DATI. Il 5% delle famiglie italiane più ricche possiede circa il 46% della ricchezza del nostro Paese. È questo il dato che ha ricevuto maggiore risalto nei resoconti giornalistici di un’indagine appena pubblicata dalla Banca d’Italia, intitolata «I conti distributivi sulla ricchezza delle famiglie».

Il rapporto che c’è tra una piccola percentuale di famiglie più facoltose e quasi la metà della ricchezza complessiva colpisce l’immaginario. Tuttavia occorre osservare che, con ogni probabilità, non è questa l’informazione più rilevante inclusa nello studio degli economisti di Palazzo Koch.

Per parafrasare lo scrittore statunitense Raymond Carver, potremmo iniziare chiedendoci «di cosa parliamo quando parliamo di ricchezza» nel nostro Paese. Scopriremmo innanzitutto che la metà della ricchezza degli italiani è rappresentata dalle loro stesse abitazioni. Siamo un Paese «casa-centrico», e ciò è tanto più vero quanto più ci si muove tra gli italiani meno abbienti. L’abitazione di proprietà da sola costituisce i tre quarti della ricchezza detenuta dal 50% più povero delle famiglie. Per questi nuclei, l’unica alternativa rilevante all’immobile sono i «depositi» – voce che comprende i conti correnti, i depositi con durata prestabilita e quelli rimborsabili con preavviso – nei quali è impegnato il 17% della ricchezza.

Il discorso è lievemente diverso per la classe centrale, quella delle famiglie fra il 50° e il 90° percentile più ricco, il cui portafoglio medio è composto per il 67,5% di abitazioni, per il 14,7% di depositi, con una crescita delle assicurazioni del ramo vita (4,4%). Tra le famiglie più ricche, infine, il peso della casa sul portafoglio scende al 35,7%, mentre quasi un terzo della ricchezza è rappresentato da capitale di rischio legato alla produzione (azioni, partecipazioni e attività reali destinate alla produzione) e un quinto da fondi comuni di investimento e polizze assicurative.

Fin qui la fotografia della ricchezza nazionale. Ma cosa dice Banca d’Italia sul fenomeno della disuguaglianza? Il dato del 5% più ricco che ha in mano il 46% della ricchezza totale netta, seppure vistoso, non è propriamente un’anomalia a livello occidentale. Anzi. Nel nostro Paese, la concentrazione della ricchezza è inferiore a quella media dell’area euro, così come avviene in Francia, mentre in Germania lo stesso dato è superiore alla media, si legge nella ricerca che è coordinata e supervisionata dalla Banca centrale europea. Inoltre i principali indici che misurano la disuguaglianza in Italia sono aumentati dal 2010 al 2016, mentre sono rimasti stabili dal 2017 al 2022. Nel 2022, in particolare, l’indice di Gini e la quota di ricchezza detenuta dal 5% più ricco sono calati a causa dell’andamento dei prezzi delle attività finanziarie detenute dalle famiglie più ricche, in particolare azioni, quote di fondi comuni e riserve tecniche di assicurazione.

Dunque, a patto di non cedere a certi tic mediatici, la notizia non è l’esplosione della disuguaglianza. Si legga con attenzione cosa scrivono i ricercatori di Bankitalia: «Nel confronto con gli altri tre maggiori Paesi dell’area dell’euro e con il complesso di quest’ultima, il rilevante calo della ricchezza netta mediana negli anni successivi alla crisi dei debiti sovrani e il suo mancato recupero nel periodo successivo rappresentano una peculiarità italiana». La «peculiarità» tricolore, insomma, è che tra il 2010 e il 2016 il valore mediano della ricchezza netta è sceso da quasi 200.000 euro a poco più di 150.000 euro a famiglia, per poi rimanere stabile negli anni successivi. Siamo ormai in linea con la media dell’area euro, non più sopra.

Di ricchezza, nel nostro Paese, ce n’è sempre meno. Come invertire la rotta dovrebbe essere al centro del dibattito economico e politico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA