Un trapianto di cuore al Papa Giovanni per Martina, vincitrice del «Grande Fratello 16». Il grazie ai medici e infermieri sul suo profilo social

AL «PAPA GIOVANNI». La 27enne umbra, vincitrice dell’edizione del 2019 e oggi speaker radiofonica, aveva una patologia ereditaria. L’équipe medica che l’ha seguita: «Qui ogni paziente ha un percorso su misura».

Un nuovo cuore, un nuovo futuro. La vita di Martina Nasoni, 27enne umbra vincitrice della sedicesima edizione del Grande Fratello nel 2019, oggi speaker radiofonica, ricomincia grazie a un trapianto avvenuto al «Papa Giovanni» di Bergamo. Quello resosi necessario a causa di una cardiomiopatia ipertrofica, una patologia ereditaria (anche sua madre, ha raccontato Martina, aveva ricevuto un trapianto di cuore) che porta a un progressivo ispessimento del muscolo cardiaco, sino a renderlo ipertrofico e a comprometterne la regolare funzionalità. A raccontare la malattia era stata proprio lei, da ultimo con un post su Instagram il 19 agosto, all’avvicinarsi del giorno più atteso: «Quando tutto sembra finito, in realtà sta solo ricominciando».

Proprio Martina Nasoni ha voluto ringraziare pubblicamente con un post sul suo profilo Instagram l’equipe di medici e infermieri dell’ospedale Papa Giovanni XXIII .

«Papa Giovanni» centro d’eccellenza

L’intervento è perfettamente riuscito, la paziente si trova ora in reparto per il decorso post-operatorio. A rendere possibile questo trapianto di cuore, come di consueto, è stato un ampio lavoro di équipe che ha coinvolto le diverse professionalità del «Papa Giovanni», centro di riferimento nazionale per la cardiomiopatia ipertrofica e ospedale abilitato al trapianto di cuore, tra i pochi in Italia con l’autorizzazione sia per gli adulti sia per i pazienti pediatrici. Una storia iniziata proprio quarant’anni fa, la notte del 23 novembre 1985, quando gli allora Riuniti realizzarono il primo trapianto di cuore, il terzo in Italia. Oggi la vocazione per la ricerca prosegue, e a caratterizzare la modalità operativa del Dipartimento Cardiovascolare – diretto da Michele Senni – è il modello dell’«Heart Team», un approccio multidisciplinare che studia il singolo caso per giungere a un percorso su misura per ciascun paziente.

Percorso su misura per ogni paziente

I pazienti con cardiomiopatia ipertrofica vengono così seguiti sin dalla diagnosi, secondo un percorso clinico che può prevedere una terapia farmacologica o chirurgica, l’impianto di un defibrillatore o pacemaker, fino – nei casi più gravi – al trapianto. «Ogni trapianto – spiegano Amedeo Terzi e Maurizio Merlo, rispettivamente direttore del Centro trapianti di Cuore e direttore della Cardiochirurgia dell’Asst Papa Giovanni XXIII – richiede il lavoro coordinato e in sincrono di decine e decine di professionisti: cardiochirurghi, medici cardiologi, anestesisti, tecnici e perfusionisti, infermieri di sala e di reparto e altre figure specializzate. Interventi come questi hanno l’obiettivo di salvare una vita a pazienti affetti da malformazioni cardiache, cardiopatie congenite o acquisite o progressive e di origine genetica. I trapianti sono possibili solo grazie al gesto di estrema generosità di un donatore o dei suoi familiari. La scelta di esprimersi a favore della donazione degli organi offre infatti un’opportunità di cura a chi non ha più alternative né speranza di sopravvivere».

La tradizione si coniuga con l’innovazione. Nel solco di questa storia, per mettere a disposizione dei pazienti delle terapie sempre più aggiornate e promuovere la ricerca sulle malattie cardiache di origine genetica, da circa un anno all’interno del «Papa Giovanni» è stato avviato il nuovo Centro per le cardiomiopatie familiari: l’obiettivo, spiegano dall’ospedale, è «intercettare precocemente i soggetti a rischio, attraverso il monitoraggio delle famiglie interessate, e all’occorrenza offrire percorsi diagnostici e terapeutici personalizzati».

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