Ciao Bruno, è stato «tutto molto bello»

IL RICORDO. In Rai per 33 anni, ha commentato la Nazionale per 5 Mondiali e 4 Europei con un cruccio: non l’ha mai vista vincere. La tragedia dell’Heysel. Quel viaggio in auto da Udine a Bergamo e il Friuli come l’Almanacco Panini.

Il grande cruccio di Bruno Pizzul – che se n’è andato mercoledì 5 febbraio all’ospedale di Gorizia, tre giorni prima di compiere gli 87 anni – era quello di non aver potuto raccontare un trionfo della nazionale italiana.

Ci era andato vicino, vicinissimo, in diverse occasioni. Come i Mondiali di Italia ’90 – l’anno delle notti magiche, di Vicini, Schillaci e Roberto Baggio – o quelli di Usa ’94, quando in panchina c’era Sacchi, i Baggio in campo erano raddoppiati, Roberto e Dino, e lui li chiamava per nome portandoli nelle case degli italiani quasi fossero di famiglia. Nel bene e nel male, fino ai rigori di Pasadena col Brasile. E poi gli Europei di Belgio e Olanda 2000: Zoff ct, Toldo paratutto, il cucchiaio di Totti e il golden goal di Trezeguet ai supplementari della finale con la Francia.

Concluse l’ultima telecronaca in azzurro ringraziando «i ragazzi per le emozioni che ci hanno dato. È stato un piacere raccontare la Nazionale, nonostante tutto»

Invece, pur avendo raccontato fra il 1986 e il 2002 cinque Mondiali e quattro europei per la Rai al seguito degli azzurri, Pizzul è rimasto lì, incastrato fra Nando Martellini (Spagna ’82: «Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo...») e Marco Civoli (Germania 2006: «È azzurro il cielo sopra Berlino»). Concluse l’ultima telecronaca in azzurro (agosto 2002, 0-1 a Trieste con la Slovenia) ringraziando comunque «i ragazzi per le emozioni che ci hanno dato. È stato un piacere raccontare la Nazionale, nonostante tutto».

La voce dei trionfi nelle coppe

Eppure, a modo suo, Pizzul – nato a Udine l’8 marzo 1938 – è stato comunque campione del mondo dei telecronisti per milioni di italiani, accompagnati per più di trent’anni (dal 1969 al 2002, era entrato in Rai per concorso dopo la laurea in Giurisprudenza e tre anni da insegnante di Lettere alle scuole medie) dalla sua voce calda, dai suoi toni pacati, dalla sua competenza mai troppo ostentata, dalle sue celebri espressioni: «Ed è gol!», «ha il problema di girarsi», «cincischia», «grappolo di uomini», «bandolo della matassa». Fino a quel «tutto molto bello» (divenuto addirittura il titolo di un film) con il quale sottolineava, compiaciuto e quasi a titolo d’incoraggiamento, le azioni che, pur non andando a buon fine, avrebbero meritato miglior sorte.

Milan, Juve, Parma. E l’Heysel

Deluso dalla Nazionale, Pizzul ebbe ampiamente modo di rifarsi a livello di club, commentando le coppe europee negli anni in cui il calcio italiano dominava: dal Milan di Rocco e Rivera a quello di Sacchi e poi del suo amico e conterraneo Capello; la Juve e l’Inter di Trapattoni; il Parma di Scala e di Malesani; la Lazio di Eriksson.

Fu lui, «voce regina» della tv di Stato, a seguire la doppia semifinale di Coppa delle Coppe fra Atalanta e Malines

Il 29 maggio del 1985 fu lui a dover raccontare la tragica finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles: 39 morti, 600 feriti. «Ci dicono che si dovrebbe comunque giocare – osservò – non so con quale spirito i giocatori scenderanno in campo. Giocare con queste cifre è inaccettabile. Mi pare una decisione assurda ed è chiaro che il risultato non avrebbe comunque importanza. Commenterò con tono asettico questa partita».

Aneddoti e sigarette

Tre anni dopo, nell’aprile 1988, fu lui, «voce regina» della tv di Stato, a seguire la doppia semifinale di Coppa delle Coppe fra Atalanta e Malines, dopo che tutte le big del calcio italiano erano state eliminate prematuramente. Chi scrive (all’epoca giovanissimo e poco più che agli esordi nel mondo del giornalismo) ebbe il privilegio di conoscerlo nell’inverno successivo, in circostanze abbastanza singolari: lui, che non aveva la patente (a Milano si spostava in bicicletta, per l’Italia e per il mondo si spostava in treno o in aereo) si trovò ad aver bisogno di un passaggio da Udine a Bergamo, dove avrebbe dovuto condurre una serata dedicata alla presentazione dell’Annuario del ciclismo, curato dal collega Renato Fossani. Strana la vita, quando scopri che il punto più alto della tua carriera giornalistica è stato dare un passaggio a uno di quelli «veri»: quattro ore di viaggio indimenticabili, in una Volkswagen Golf tre porte nella quale Pizzul, col suo metro e novanta, era palesemente sacrificato. E per fortuna, se non altro, il sottoscritto era decisamente meno ingombrante di quanto lo sia oggi...

Quattro ore di viaggio, una miniera di preziosissimi consigli professionali e di aneddoti da ogni angolo del mondo e con i personaggi più celebri del mondo del calcio, che lui sapeva renderti quasi familiari nel raccontarne gli aspetti umani. Anche perché attraversare i paesi della campagna friulana, immersi nella nebbia, era un po’ come sfogliare l’Almanacco Panini: «Vedi? Lì abitano i genitori di Dino Zoff. Là dietro e nato Fabio Capello. In quella casa è cresciuto Tarcisio Burgnich. Questo è il paese di Pierino Fanna. Lo conosci Pierino Fanna no? Ha giocato anche a Bergamo...».

E poi il racconto delle sue esperienze da calciatore di buon livello («giocavo centromediano, ero lentissimo...»). Alcune delle quali, al Sud (Catania e Ischia, prima di tornare a Udine e dover smettere per un infortunio a un ginocchio) gli avevano anche dato una mano a «velocizzare» il percorso di laurea dando alcuni esami in loco. Quattro ore di viaggio che nei fugaci incroci degli anni successivi sarebbero sempre state ricordate con grande cordialità da un lato e immutata timidezza dall’altro.

Quattro ore di viaggio. Troppe senza fumare per uno come lui, che quando conduceva il quotidiano Tg sportivo serale su Rai2 si accendeva la sigaretta anche mentre andavano in onda i servizi. «Dà fastidio?» disse con estrema cortesia estraendo il pacchetto dalla tasca... E cosa volevi dirgli? In quarant’anni di patente, quattro auto cambiate e regole di bordo rigidissime con parenti e amici ben prima della legge Sirchia, è rimasta l’unica occasione in cui sia mai stato utilizzato il posacenere di bordo.

«Mi pare di essere vivo»

Da buon friulano, Pizzul (che fra i suoi amici più cari aveva anche l’ex allenatore dell’Atalanta Edy Reja, goriziano) non disdegnava nemmeno mai un buon bicchiere di bianco, soprattutto se era delle sue parti. Dove tornava per una partita a carte con la compagnia di sempre (nella quale Zoff era presenza fissa) dapprima appena poteva, e poi, negli ultimi anni, in pianta stabile. Fu lì, al tavolo della scopa, che lo raggiunse la telefonata di un collega un giorno in cui si era diffusa la falsa notizia della sua morte: «Sto giocando a carte – sorrise lui – mi pare di essere vivo...». Poi raccontò l’aneddoto per l’intera giornata in tutte le possibili trasmissioni televisive.

Questa volta invece, il suo sorriso si è proprio spento, per sempre. Ciao Bruno, e grazie. È stato davvero «tutto molto bello».

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