Carceri «light» in ex caserme, coro di no. «Meglio potenziare le misure alternative»

IL DIBATTITO. Il mondo che ruota attorno a via Gleno boccia l’idea del ministro. Non ci sono edifici e manca personale. Sovraffollamento al 165%, ma sono 296 i detenuti con fine pena entro i 4 anni che potrebbero scontare all’esterno.

Il «piano», per il momento, è ancora un’ipotesi. Un’ipotesi che a Bergamo, peraltro, pare difficilmente realizzabile. Come risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri? Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha lanciato l’idea di riconvertire le caserme dismesse in strutture per accogliere detenuti con pena breve, così da attenuare la pressione sui penitenziari esistenti. Proposta tuttavia al momento difficilmente realizzabile in Bergamasca, considerato che di caserme dismesse con quelle caratteristiche non paiono essercene.

Carceri sovraffollate

Il dramma del sovraffollamento in via Gleno si pone però con numeri oggettivi, l’ultima ricognizione di fine luglio indicava 523 reclusi a fronte di 317 posti regolamentari: un tasso di affollamento del 165%, l’ottavo più alto d’Italia, con 206 detenuti in più di quanti dovrebbero essercene. La criticità è di lungo corso, basta mettere in fila i dati – a cadenza semestrale – dal 2010 a oggi, col tasso affollamento che ha sempre oscillato tra un minimo del 132,4% (a metà 2020, quando le direttive anti-Covid avevano temporaneamente ampliato le misure alternative) a un picco del 181,6% (metà 2018).

Misure alternative al palo

Che fare, dunque? «La proposta di Nordio non è condivisibile – risponde Gino Gelmi, vicepresidente dell’associazione Carcere e Territorio -. Esiste invece un’alternativa molto valida e a portata di mano: incentivare veramente le misure alternative». Gelmi richiama dati recenti: qui i detenuti con una condanna definitiva sono 409 (gli altri sono in custodia cautelare o in attesa di secondo grado o Cassazione), e 74 di loro hanno un «residuo di pena» inferiore a un anno, 85 tra uno e 2 anni, 79 tra i 2 e i 3 anni, 58 tra i 3 e i 4 anni. Totale: 296 condannati con un «fine pena» entro i 4 anni, «ed entro i 4 anni si può accedere alle misure alternative – ricorda Gelmi -. Se vi fosse una sistematica applicazione, supportata da un sostegno sociale con politiche specifiche per la casa e il lavoro di questi soggetti, andremmo incontro a uno svuotamento assolutamente significativo».

Le proposte

Per Valentina Lanfranchi, garante dei detenuti di Bergamo, «la costruzione di nuove carceri non è la priorità vera. È un tema, certo, ma le criticità principali sono altre: occorrono interventi per far fronte all’aumentare delle dipendenze e dei problemi psichiatrici, serve rafforzare il personale di polizia penitenziaria, amministrativo e sanitario, favorire le misure alternative. Bisogna partire dalle garanzie di dignità e diritti».

Di «situazione drammatica» parla Alfonso Greco, segretario generale del Sappe Lombardia, il Sindacato autonomo polizia penitenziaria: «Sono numerosi i detenuti che hanno un residuo di pena breve e che andrebbero accolti in strutture adeguate, con un regime differenziato. Tutto ciò che è utile a ridurre la popolazione carceraria è opportuno è adeguato, ma le nuove carceri, da sole, non risolverebbero il problema: servono interventi organici, rafforzare gli organici di polizia penitenziaria anche per ridurre gli eventi critici, aumentare gli educatori e gli psicologi, favorire le misure alternative, ammodernare le strutture che già ci sono». Altro tema: in sofferenza ci sono appunto anche gli organici, a partire da quello della polizia penitenziaria che in via Gleno conta 132 agenti effettivi a fronte dei 243 previsti, mentre gli amministrativi sono 17 sui 22 previsti. Realizzare nuove strutture necessiterebbe anche di ulteriore personale. Ma quel personale non c’è, al momento.

«Nel momento in cui si entra in carcere per scontare la pena, si è abbandonati a se stessi – commenta l’avvocato Enrico Pelillo, presidente della sezione di Bergamo della Camera penale della Lombardia Orientale -. Questo perché, nonostante le intelligenze e la passione dei singoli a partire dalla direzione del carcere di Bergamo, ci si scontra con carenze strutturali e di organico: la congestione del carcere di Bergamo si è cronicizzata. La soluzione, più che costruire nuove strutture, è rafforzare le misure alternative e la funzione rieducativa della pena: le statistiche, peraltro, mostrano chiaramente come la recidiva sia infinitamente più bassa tra chi usufruisce di misure alternative e di percorsi di reinserimento nella società».

Le sinergie necessarie

«C’è una responsabilità collettiva che riguarda tutti», riflette Marcella Messina, assessore alle Politiche sociali del Comune di Bergamo. Palafrizzoni mantiene un dialogo costante con via Gleno, che «si traduce concretamente con diverse azioni, anche economiche a supporto di progetti, ma anche l’integrazione tra pubblico e privato diventa centrale per garantire più occasioni di emancipazione. Credo però che la situazione del carcere soffra di alcune altre carenze presenti nella società: in primis il trattamento delle dipendenze, dei disturbi psichiatrici i cui servizi e le cui risposte non sono sufficienti e sono causa di disagio forte e il carcere non può essere l’unica risposta». Il disagio è appunto una criticità quotidiana. Sono circa 300 i detenuti di Bergamo con problemi di dipendenze, e il 60% di questi soffre anche di problemi psichici. Gelmi aggiunge un punto: «Più che nuove carceri, serve rafforzare i presìdi sanitari: sono servizi già in difficoltà sul territorio, in carcere la situazione è ancora peggiore». «Del sovraffollamento – ragiona don Luciano Tengattini, cappellano del carcere di Bergamo – se ne parla in questi giorni anche a livello nazionale, per via dei suicidi, ma spesso poi il tema cade nel dimenticatoio. È un problema che c’è da sempre, sempre in aumento, con uno scoramento per chi vi opera quotidianamente. Il carcere rischia di diventare un “contenitore” per le situazioni irrisolvibili. Invece per queste persone c’è bisogno di altro». Don Dario Acquaroli, l’altro cappellano di via Gleno, mette a fuoco la questione di fondo: «Serve una riflessione più generale sulla pena e sulla giustizia: come fare in modo che l’articolo 27 della Costituzione sia veramente praticato? Oggi affrontiamo criticità crescenti di dipendenze e di problemi psicologici o psichiatrici. La soluzione – conclude – non è aumentare i posti in carcere: è risolvere queste problematiche».

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