Covid, le 3 ondate a confronto. Si riapre, ma questa volta i contagi sono ancora alti

Rispetto alla prima e alla seconda ondata, la ripresa di oggi deve fare i conti con l’incidenza e la media mobile dei nuovi casi più elevate

A che punto è la notte, e quanto vicina sia un’alba senza nuove eclissi, lo tratteggiano i numeri e le date. E oggi che la socialità torna quasi normale, o meglio in quell’apparente normalità di convivenza col virus, alcuni indicatori fanno intendere che lo scenario sia più rischioso rispetto alle due precedenti «date X».

Una accanto all’altra s’affiancano le tre diverse fasi epidemiche – o ondate, anche se molti considerano la recrudescenza di febbraio-marzo una appendice strettamente correlata alla seconda ondata autunnale – che si sono succedute da febbraio 2020. Scoppiata lì la prima bomba, tremendamente potente anche perché inaspettata, dopo un ferreo lockdown si è dapprima ripartiti gradualmente con le attività produttive dal 4 maggio 2020 e poi dal 18 maggio hanno riaperto anche bar e ristoranti, quel che accade da oggi. Per la seconda ondata, la data che fa da parametro è l’11 gennaio: dopo le feste natalizie con un’altalena di colori uguale per tutto il Paese, da quel momento tornò il classico meccanismo a zone con valutazione settimanale introdotto per la prima volta a novembre, e la Lombardia ripartì dall’arancione. Da oggi, come noto, si scrive una pagina nuova con la Lombardia tinta di giallo.

Clicca qui per guardare il grafico che mette a confronto la curva delle tre ondate.

Quanto sono durate le tre fasi epidemiche, e in quale scenario si è arrivati alla conclusione di ciascuna? Nell’analisi, riferita ai dati della provincia di Bergamo, si sono presi in considerazione periodi di tempo uniformi, cioè poco meno di tre mesi in cui sono inclusi l’inizio, l’apice e la conclusione (o meglio, le riaperture) della parabola. Con una specifica: alcuni indicatori non sono disponibili per i primissimi giorni della prima ondata, ricordando peraltro che i numeri ufficiali di contagi e decessi di marzo e aprile 2020 sono notevolmente sottostimati. Una prima sintesi, utile per ragionare all’imbocco della svolta di oggi, è che entrambe le ultime due ondate sono state più diluite della prima, cioè meno ripide e più lunghe. La fase di febbraio-marzo 2021, nello specifico, in Bergamasca è stata più critica di quella di ottobre-novembre. Ma c’è una differenza fondamentale rispetto al passato, oggi: l’arma in più dei vaccini.

I contagi

Imparagonabile appunto quel che successe nella primavera scorsa qui nell’epicentro della tragedia, l’andamento della prima ondata mostra una salita ripidissima e una discesa decisamente più rapida: da metà maggio, all’imbocco della riapertura, la media mobile dei nuovi casi giornalieri era attorno al centinaio e l’incidenza oscillava sulla soglia dei 60 casi settimanali ogni 100 mila abitanti; il culmine, toccato il 21 marzo, mostrava viceversa una media mobile di 429 nuove infezioni e un’incidenza a quota 271, dunque alla ripartenza la circolazione del virus era del 77% inferiore rispetto al picco. Quando si è cercato di ripartire dopo la seconda ondata (peraltro in arancione, in Lombardia), la media mobile indicava 91 nuovi casi giornalieri e l’incidenza si attestava a 58 casi settimanali ogni 100 mila abitanti, il 66% in meno rispetto al culmine raggiunto il 10 novembre (media mobile a 274, incidenza a 173). Oggi, appunto, la media mobile dei nuovi positivi viaggia attorno a 160 e l’incidenza si adagia su quota 100: valori più alti rispetto alle precedenti due ripartenze, e in ribasso «solo» di circa il 50% rispetto ai valori più critici di questa coda virale (il 13 marzo, media mobile dei contagi a 348 e incidenza a 220).

Guarda il grafico del confronto fra i contagi delle tre ondate.

Gli ospedali

Un peso drammatico opprimeva gli ospedali bergamaschi nella primavera di un anno fa, con punte di duemila ricoverati in contemporanea (e centinaia i bergamaschi curati fuori provincia), ma la discesa fu più rapida: a metà maggio 2020, infatti, i pazienti Covid nelle strutture orobiche erano già diventati circa 600 (un terzo, e il ricovero fuori provincia era meno frequente). Il picco delle due ondate successive è stato pressoché identico, con l’asticella della pressione ospedaliera arrivata a sommare 800 ricoverati sia a fine novembre sia a fine marzo. In inverno il calo è stato più marcato, il 10 gennaio i pazienti erano 249 (pressione ridotta a circa un terzo rispetto al picco); oggi si è poco sotto quota 400 (pressione «solo» dimezzata): vuol dire ripartire con i reparti Covid ancora popolati in maniera importante.

I decessi

Il bilancio più drammatico, quello delle vittime, resta ufficialmente incalcolabile con contezza per marzo e aprile 2020. Da maggio in poi, tuttavia, i numeri «formali» divennero più affidabili, e lo scenario alla prima riapertura indicava una media mobile dei decessi molto simile a quella che si è poi sempre mantenuta da allora e sino a oggi: 5 decessi al giorno allora, 2 decessi all’appuntamento di ripartenza di gennaio 2021, 3 decessi (sempre secondo la media mobile) ora.

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