Donazione pediatrica «a cuore fermo». Al «Papa Giovanni» il 1° trapianto in Italia

L’INTERVENTO. Un 16enne cerebroleso salva un bimbo di 7 anni: la prognosi è ancora riservata, ma Mattia ora sta bene. Anche il fegato e i due reni donati ad altrettanti bambini. L’eccezionale operazione eseguita all’ospedale di Bergamo.

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Chissà perché le storie più belle fioriscono dal dolore e dalla sofferenza. Forse perché nel dolore e nella sofferenza, nelle pieghe di un cuore martoriato, il pensiero si dilata fino ad abbracciare e a comprendere il dolore e la sofferenza altrui, rendendoci capaci di gesti di profonda solidarietà, in grado di far rinascere la speranza, di ridare futuro a chi è a un passo dal baratro. Come nella storia di Nicholas e Mattia, due nomi di fantasia, anche se della fantasia gioiosa tipica dei più piccoli, nelle loro vite non ce n’è stata granché.

Fino a giovedì, fino a quando Nicholas e i suoi genitori hanno deciso di mettere tra le mani di Mattia, rimasto senza più carte da giocare nella sua partita contro la morte, un «jolly» in grado di far saltare il banco. E di farci riflettere. Di farci riflettere sul valore della vita e della morte. Fin dove spingersi con le cure e con l’idea di una medicina onnipotente, e quando invece non oltrepassare la soglia oltre la quale inizia l’accanimento terapeutico.

Prelievo cardiochirurgo pediatrico Nicola Uricchio

I genitori di Nicholas questa profonda riflessione l’hanno iniziata 16 anni fa, quando il frutto del loro amore venne alla luce con una grave cerebropatia, dovuta ad una emorragia cerebrale al momento della nascita. Da allora e fino a giovedì, la loro è stata una vita fatta di sofferenza e di dolore, di speranze e di delusioni, sedici anni accanto a un figlio che cresceva giorno dopo giorno in un letto d’ospedale, in una sorta di stato vegetativo.

Il futuro è sempre più buio, fino a quando, a inizio settimana, diventa tutto nero: Nicholas cade vittima di una polmonite particolarmente grave che gli impedisce di respirare autonomamente. Viene intubato, ma le prospettive di sopravvivenza si riducono drasticamente a fronte di una serie di manovre «salvavita» piuttosto invasive, ad un passo dall’accanirsi su quel corpo inerme. I suoi genitori dicono «Basta», per Nicholas è giunta la fine e rivolgendosi ai rianimatori di un ospedale dell’alta Lombardia chiedono che i trattamenti di supporto vitale a cui il ragazzo è sottoposto vengano sospesi. La gravità della situazione è tale che i medici non possono che concordare con la richiesta di mamma e papà. Ma questa è gente che quando «spegne» una vita pensa istantaneamente a come tenerne accesa un’altra, e così chiedono ai due genitori di prendere in considerazione l’ipotesi di donare gli organi di Nicholas. Mamma e papà ci pensano, ne parlano tra loro, e poi decidono che non c’è modo migliore di ricordare Nicholas se non quello di consentire al suo cuore, ai suoi reni e al suo fegato di ridare la vita a ragazzi come lui per i quali un sottile filo di speranza c’è ancora.

Ma il tempo è un altro nemico da battere: ce n’è poco e deve essere speso al meglio, anche nell’interesse del donatore. E qui entra in campo Mattia, cittadino dell’Est europeo residente alle porte di Bergamo, sette anni, di cui l’ultimo anno e mezzo passato ad attendere un cuore nuovo per una brutta miocardiopatia dilatativa che ogni giorno che passa lo porta sempre più vicino alla morte. È in cura al «Papa Giovanni», dove però le opzioni per tenerlo in vita sono sempre di meno. Dai primi accertamenti risulta «compatibile» con Nicholas, dunque si può provare.

Ma come? Come bypassare tutti i problemi connessi allo «spegnimento» di un cuore e poco più tardi alla sua «riaccensione», sempre nel petto del donatore, in pazienti dove la morte non è accertata con criteri neurologici? Il programma di «donazione a cuore fermo controllata» (diverso dalla donazione da cadavere) può essere una soluzione. Un donatore dopo morte cardiaca (DCD – Donation After Cardiac Death) è infatti un donatore che ha subito lesioni cerebrali devastanti e irreversibili e potrebbe essere vicino alla morte, ma non soddisfa i criteri formali di morte cerebrale. In Italia la «donazione a cuore fermo controllata» è consentita - 116 donazioni di questo tipo nel 2022, con l’effettuazione di quasi 220 trapianti - ma per pazienti pediatrici non è mai stata applicata: sarebbe la prima volta. E i medici del «Papa Giovanni» - che da pochissimo hanno l’autorizzazione per procedere anche in questi casi - non si tirano indietro e decidono, anche loro, di giocare il tutto per tutto per salvare Mattia.

Per i genitori di Nicholas, l’angoscia sembra però non finire mai. Il ragazzo viene portato al «Papa Giovanni» intubato, per poi sospendere i trattamenti di supporto vitale: con lui i genitori, che prima che tutto accada, vengono lasciati soli in sala operatoria per un ultimo bacio, un ultimo abbraccio, un’ultima carezza. Poi tutto si spegne e per venti minuti il tempo resta sospeso a mezz’aria, aspettando che l’elettrocardiogramma certifichi che il cuore non batta più. Con una procedura complessa, e utilizzando la «Ecmo», una particolare tecnica di circolazione extracorporea, gli organi di Nicholas vengono nuovamente perfusi (ma non il cervello, escluso dal flusso circolatorio del sangue da due palloncini collocati nelle carotidi), in attesa che il cuore ricominci a battere. Come sempre avviene in questi casi, sono momenti carichi di tensione, con il pensiero che oscilla tra la vita che ha appena lasciato il corpo di Nicholas e quella che sta per ricominciare nel petto di Mattia. Il personale ospedaliero che ha ruotato attorno a queste due operazioni è stato semplicemente fantastico e tutto va alla perfezione: anche se la prognosi è ancora riservata, Mattia è ora nel suo letto di ospedale pronto a vivere - forse come non mai - un felice Natale con mamma e papà. Il suo fegato ha ridato la vita ad un altro bimbo, operato al «Papa Giovanni», i due reni hanno portato la vita in altrettanti bambini ricoverati lontano da Bergamo.

Restano i genitori di Nicholas, con il loro dolore, la loro sofferenza, ma con l’intima soddisfazione di essere riusciti a perpetuare il ricordo del loro «piccolo». Non solo. Hanno con loro quel «supplemento di saggezza», come lo definisce Papa Francesco, che ha consentito a mamma e papà di rifuggire «dall’insidiosa tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona». Per Nicholas hanno saputo dire di no. Per tutti noi una grande lezione.

Dicono che il battito cardiaco si perda nello spazio infinito per milioni di anni, senza «spegnersi» mai. Dicono. Per Nicholas non può essere che così.

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