Guardie mediche, Lombardia sotto la media italiana

SANITA’. Nel 2021 erano dieci ogni centomila abitanti. Ora il sistema non regge più. Il problema dei salari.

La fotografia ha i contorni oggettivi dei numeri. E quei numeri, risalenti al 2021 seppur diffusi solo nei giorni scorsi, oggi dovrebbero tradursi in una situazione ancor più carente. In Lombardia nel 2021 si contavano 997 medici titolari di continuità assistenziali: in pratica, 10 medici ogni 100mila abitanti. Una presenza che è quasi la metà rispetto alla media nazionale, pari a 18 medici titolari ogni 100mila abitanti: dati peggiori alla Lombardia li avevano solo Valle d’Aosta (3 medici di guardia medica titolari ogni 100mila abitanti), Friuli-Venezia Giulia (4 ogni 100mila abitanti), Emilia-Romagna (5 ogni 100mila abitanti) e la Provincia autonoma di Trento (6 ogni 100mila abitanti).

Il report

È quanto emerge da un report dell’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, in cui si sottolinea che «per la guardia medica a livello territoriale si registra una realtà notevolmente diversificata sia per quanto riguarda la densità dei punti di guardia medica sia per quanto concerne il numero dei medici titolari». Difficoltà con cui fa i conti anche la Bergamasca, come emerso di recente con lo scenario di possibile chiusura di 20 delle 27 sedi della continuità assistenziale in territorio orobico: il nodo, al di là dell’atavica carenza di medici di medicina generale (comune a gran parte del Paese), è legato anche alla «flessibilità» dei nuovi contratti proposti inizialmente ai medici di continuità assistenziale.

«La continuità assistenziale attualmente è pagata attorno ai 23 euro all’ora: quella cifra poteva andare bene quando c’erano molti medici e il carico poco gravoso. Oggi, con carichi di lavoro molto forti, il contesto è diverso – premette Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo -. C’è poi una questione legata alla flessibilità dell’organizzazione: sul territorio non può essere rigida, non può essere quella degli ospedali e del pubblico impiego».

Passo indietro. Per garantire il funzionamento della continuità assistenziale, l’Ats – alla scadenza del precedente contratto – aveva inizialmente proposto ai medici una contrattualizzazione a 24 ore la settimana, raccogliendo in un primo momento l’adesione di 38 medici sui 70 potenzialmente interessati. Qui si gioca il tema della «flessibilità»: da diversi medici c’era ad esempio la disponibilità ad accettare incarichi di 12 ore settimanali, più compatibili con le altre attività rispetto ai contratti da 24 ore; sullo sfondo, anche altri dettagli contrattuali (per esempio sul numero massimo di turni mensili) che avrebbero facilitato un più ampio reclutamento di camici bianchi.

Sul tema della flessibilità, Ats aveva già pubblicato nei giorni scorsi «un nuovo bando di avviso pubblico per la predisposizione della graduatoria aziendale, che prevede anche la possibilità di conferimento di incarico a 12 ore/settimana, oltre l’incarico di 24 ore/settimana già previsto».

Dieci nuove adesioni

Una novità è emersa ieri: «Altri 10 medici hanno confermato la disponibilità» a ricoprire l’incarico di continuità assistenziale, spiega l’Ats in una nota «nei prossimi giorni provvederà alla loro contrattualizzazione. Ats sta coinvolgendo i medici di assistenza primaria titolari, chiedendo la disponibilità a collaborare nella copertura dei turni per lo svolgimento del Servizio».

Sul tema della flessibilità, Ats aveva già pubblicato nei giorni scorsi «un nuovo bando di avviso pubblico per la predisposizione della graduatoria aziendale, che prevede anche la possibilità di conferimento di incarico a 12 ore/settimana, oltre l’incarico di 24 ore/settimana già previsto. Con questo strumento Ats intende recepire i suggerimenti dalla categoria dei medici, per rendere più flessibile lo svolgimento dell’attività presso le sedi di continuità assistenziale, in compatibilità con le singole attività dei professionisti».

Riflessi e soluzioni

La riduzione delle sedi di guardia medica, rileva Orazio Amboni, responsabile del Dipartimento Welfare della Cgil Bergamo, innescherebbe «un circolo vizioso che peggiorerà la situazione: chi ha urgenza inevitabilmente si rivolgerà ai pronto soccorso ospedalieri dove i tempi di attesa sono quindi destinati a peggiorare ulteriormente». «L’attuale situazione della medicina generale e della continuità assistenziale – ragiona Marcello Brambilla, segretario provinciale della Fismu, Federazione italiana sindacale dei medici uniti – spinge il cittadino sempre più verso un sistema basato su assicurazioni private. I problemi della continuità assistenziali sono legati ai compensi, alle condizioni, alla mancanza di flessibilità. Alla base c’è un precariato che si protrae da trent’anni, con un buco generazionale di medici che si è creato nel frattempo. La soluzione, anche sulla scorta di una direttiva europea del 1993, sarebbe quella di un decreto ministeriale che crei delle stabilizzazioni».

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