
Cronaca / Bergamo Città
Venerdì 25 Aprile 2025
Il 25 aprile: «La storia corre veloce, ma libertà e giustizia sociale non sono valori negoziabili»
LA LIBERAZIONE. Carlo Salvioni, presidente del Comitato antifascista dal 2009: «In questi 80 anni i principi costituzionali si sono affermati ed estesi ma vanno sempre difesi. La piazza espressione di un pluralismo unitario».

Non c’è 25 Aprile senza Carlo Salvioni. Anche stamattina il presidente del Comitato bergamasco antifascista prenderà la parola dal palco e coordinerà gli interventi. Nel 2009 - da avvocato ad avvocato - ha raccolto il testimone di Eugenio Bruni. «È ora che lo passi anche io», butta lì. In piazza, però, c’era anche da prima: «Dagli anni ’70 in poi ci sono stato più o meno sempre. Sono del ’41 e già a 20 anni militavo in Nuova Resistenza, l’organizzazione giovanile che si richiamava ai valori della Resistenza».
Quest’anno è l’80° anniversario della Liberazione: uno spartiacque?
«Quando c’è un numero tondo è sempre un traguardo importante. È trascorso quasi un secolo dalla Liberazione, la storia ha avuto una grande accelerazione, gli equilibri usciti dalla guerra e dall’89 hanno avuto ulteriori modificazioni e altri cambiamenti sono in corso».
Cambiamenti positivi o negativi?
«Quando si è dentro ai cambiamenti non si sa mai dove si va a finire, lo si capisce solo dopo, con il distacco storico. Si può esprimere solo una volontà».
E qual è la sua?
«Che il grande lascito della Resistenza, quei valori di libertà e giustizia sociale, che per noi che apparteniamo alla tradizione storica delle democrazie occidentali non sono negoziabili, restino sempre profondamente attuali. Vanno declinati secondo i tempi, ma restano imprescindibili».
Li vede in pericolo?
«Ho sempre avuto un’attitudine positiva e quindi vedo il bicchiere mezzo pieno. In questi 80 anni i valori costituzionali si sono affermati e anche estesi. C’è stata un’alternanza di governi, il quadro costituzionale e i valori che stanno alla base della Costituzione sono sempre stati rispettati. Certe “nostalgie” sono più sentimental-elettorali che effettive».
Non è d’accordo con l’analisi di alcuni storici che vedono delle analogie tra i tempi che stiamo vivendo e i periodi precedenti alla prima e alla seconda guerra mondiale?
«Tutte e due le analisi possono avere delle “basi”. L’aggressione della Russia all’Ucraina ricorda molto l’aggressione alla Polonia del ’39; e ora il discorso dei dazi richiama le guerre protezionistiche di fine ’800. La storia non si ripete, ma di sicuro questi riferimenti sono inquietanti, e in generale c’è preoccupazione, sia nel mondo economico-finanziario sia tra i cittadini. Vanno evitati i rischi di una guerra che nessuno vuole».
La pace è uno dei temi forti della piazza del 25 Aprile ma è diventato divisivo.
«Tutti vogliono la pace, ma i modi per volerla sono diversi. Le opzioni sono due: sventolare le bandiere arcobaleno davanti ai carri armati, pensando che si fermino. O avere una capacità di difesa sufficiente per scoraggiare chi pensa di aggredire».
Lei quale opzione sceglie?
«Io ho una visione realistica: si evita la guerra se le forze in campo sono paritarie. È un dovere costituzionale, sancito dall’articolo 52, proteggere la patria e i cittadini. La pace vera è quella giusta, senza prevaricazioni, ma per evitare le guerre servono anche i mezzi per difendersi. Ci sono due romanzi-capolavoro di Vasilij Grossman - Stalingrado e Vita e destino - che ci ricordano il filo rosso fondamentale».
Qual è?
«La libertà, quel desiderio profondo che distingue l’uomo dal resto e che dà senso alla vita, quel valore non sopprimibile e non negoziabile. Se la libertà sarà soffocata in qualche modo, l’uomo reagirà sempre con rivolte e guerre, per tornare ad averla. Ci sarà sempre il bisogno di difenderla».
Una visione che potrebbe suscitare i fischi della piazza.
«“Libero fischio in libera piazza”, come diceva Pertini. La piazza del 25 Aprile è sempre stata vivace, pronta a dissentire se qualche discorso non piace, ma mai amorfa. Una piazza pluralista e unitaria».
Anche quest’anno darete il «microfono» a rappresentanti di mondi diversi: istituzioni, Anpi, studenti, Reti, l’ex magistrato Gherardo Colombo.
«Per citare il presidente Mattarella “la Resistenza è un grande fiume con tanti affluenti”. La Festa della Resistenza è pluralistica, perché chi partecipò alla Resistenza aveva sogni e aspettative diversi, ma per un obiettivo unico: conquistare la libertà in un quadro di giustizia sociale. Come Comitato, quindi, abbiamo sempre lavorato con questa idea di “pluralismo unitario”, per non lasciare fuori nessuno e riportare tutti in questo alveo. Con un’attenzione particolare all’equilibrio di genere e ai giovani».
Le nuove generazioni hanno la responsabilità di portare avanti i valori della Resistenza?
«I valori devono essere abbracciati e vissuti dalle nuove generazioni, nei loro modi e con le loro capacità. Non siamo qui a fare la paternale».
Come interpreta l’invito del governo a celebrazioni sobrie per il 25 Aprile in rispetto dei giorni di lutto per la morte del Papa?
«Francamente risulta di difficile comprensione. Nessuno mi ha saputo spiegare, neanche in Prefettura, che cosa significhi questo invito alla sobrietà. La manifestazione del 25 Aprile è fondamentale nel calendario civile dell’Italia Repubblicana. A essere maliziosi, forse è un invito in linea con le propensioni dell’attuale maggioranza che governa il Paese. E, come diceva Andreotti, a pensare male si fa peccato ma la si indovina quasi sempre».
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