Massimo Cincera: «Il futuro? Innovazione e radicamento»

L’INTERVISTA. Massimo Cincera, dopo 22 anni alla guida del Gruppo editoriale Sesaab, passa a un nuovo ruolo. «Giornale, tv e radio restano il core business, ma i ricavi vanno cercati anche altrove: affiancheremo le aziende».

Non è abituato a stare fermo (all’attivo ha almeno sette maratone e un paio di trasferte in bici all’anno per raggiungere la casa in Liguria). Massimo Cincera si prepara quindi a una nuova sfida. Non solo personale (tra un mese diventerà nonno), ma anche professionale. Dopo 22 anni nel Gruppo editoriale Sesaab (dal 2003 al 2018 come amministratore delegato e dal 2018 a oggi come presidente) resta infatti nel gruppo ma con un altro ruolo, lasciando la parte editoriale per lanciare un nuovo progetto legato ai servizi alle aziende.

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Per l’editoria 22 anni sembrano un’«era geologica».

«Nel 2003 era proprio un altro mondo, basti pensare che internet era usato pochissimo, Facebook e gli smartphone non esistevano. L’editoria aveva una capacità di generare flussi di reddito importanti, la pubblicità cresceva del 10% ogni anno e le copie tenevano, con record di vendite».

Dal 2007 le cose cambiano con la crisi Lehman Brothers e l’irruzione del digitale.

«Il giornale come fonte principale di informazione entra in crisi e i ricavi ne risentono».

Come si è reagito?

«Con l’espansione del digitale della nostra proposta editoriale, oggi abbiamo 12mila abbonati digitali tra Bergamo e Como, un numero tra i più alti in Italia. Il problema, però, è come far rendere la base digitale a livello locale, non si è ancora trovato un modello».

Il digitale non basta?

«L’innovazione non può prescindere dal radicamento. E infatti abbiamo creduto molto nell’“incontro” con le comunità di riferimento: con Edoomark incontriamo 20mila ragazzi all’anno, dalle medie alle superiori; Skille segue con progetti specifici il mondo dell’imprenditoria; Eppen si occupa degli eventi. Non c’è alternativa: comunità digitali e comunità fisiche vanno tenute insieme».

Crede ancora nel futuro della «carta»?

«Credo nel futuro dell’informazione, che poi sia sul supporto cartaceo o altro non saprei. Non sono certo che la carta possa resistere per sempre. Credo invece che durerà sempre l’informazione, se di qualità e di alto livello».

Gli abbonamenti cartacei sono però in fase espansiva.

«La scelta di rinnovare il sistema di consegna a domicilio nel 2023, garantendo altissimi standard di puntualità, si è rivelata molto apprezzata. L’abbonamento cartaceo può avere ulteriori sviluppi».

L’Intelligenza artificiale è una minaccia o un’opportunità per l’editoria?

«Deve essere un “warning”, perché il cambiamento non si fermerà, e per alcune professioni sarà più impattante. Bisogna lavorare là dove l’Intelligenza artificiale non arriva, cioè sul piano relazionale e della qualità».

In questi 22 anni qual è stato il momento più difficile e quello che le ha dato più soddisfazioni?

«La difficoltà e il più grande orgoglio hanno coinciso col periodo del Covid. L’Eco di Bergamo e tutto il gruppo sono stati quell’elemento che è riuscito a tenere unita una comunità messa a durissima prova. Siamo riusciti a dare voce e identità forte a un territorio, aiutando anche le persone a rielaborare il lutto».

Il legame con la comunità è il valore aggiunto dell’editoria locale?

«L’editoria locale ha un ruolo insostituibile: attraverso i giornali locali le comunità si aggregano e si danno un’identità comune. Le nostre città senza giornali sarebbero un’altra cosa. C’è però anche una debolezza: come dicevo prima, il digitale locale da solo non regge con numeri così piccoli».

L’editoria non passa un bel periodo, lascia la nave in burrasca?

«Lascio un gruppo editoriale a zero debiti, e che ha fatto investimenti importanti anche nella direzione della sostenibilità. Grazie a un’intuizione importante, il gruppo oggi ha 5 rotative. Csq che è diventato il centro stampa di riferimento in Italia. Alcune scelte inizialmente criticate, come il cambio di formato del giornale, si sono invece rivelate vincenti. La solidità del gruppo deve essere un orgoglio per tutti».

Il gruppo quindi non sta cambiando pelle?

«La parte editoriale - giornale, Tv, radio - resta il core business del gruppo, il punto è trovare risorse da portare all’editoria, che da sola fa molta fatica a mantenersi».

Il suo nuovo incarico va in questa direzione?

«La scelta strategica è cercare ricavi da fonti al di fuori dell’editoria. Non mi occuperò più di editoria, ma facendo tesoro dell’esperienza maturata nel campo della comunicazione, mi occuperò di servizi alle aziende, con uno sguardo che si allarga a tutto il territorio nazionale».

Che tipologie di servizi verranno offerti?

«Affiancheremo le aziende che vogliono lavorare sulla narrazione di sé stesse, quelle che vogliono rimettere al centro il valore del lavoro, la capacità di attrarre giovani e personale qualificato. Lo faremo sulla scorta di oltre 20 anni di studio delle nuove forme della comunicazione. Tra le ultime competenze a salire a bordo c’è il team di Yoonik, 50 artisti illustratori che già si occupano della promozione di brand nazionali e internazionali. Poi ci sono i colleghi di Delta Index che lavorano con le generazioni Z e Alfa per favorire l’attrattività delle aziende nei confronti dei giovani. C’è la redazione di Brand Journalism che aiuterà le imprese a far emergere i valori di interesse delle loro attività e infine Moma con i servizi digitali. Racconteremo storie imprenditoriali bellissime tramite immagini, parole, podcast e tutto ciò che serve a farsi conoscere».

Problema, quello di farsi conoscere, che riguarda anche le imprese bergamasche.

«Tutto nasce dall’esperienza maturata sul territorio, dove i temi del lavoro e dell’impresa sono costitutivi. Le radici restano solide, porteremo in giro l’autenticità di Bergamo e dei suoi valori».

Giovani e lavoro sono due temi centrali anche per il Patronato San Vincenzo, di cui è presidente dal 2014.

«C’è un legame storico tra Patronato e L’Eco, che deriva dall’amicizia tra Don Bepo Vavassori e Don Andrea Spada. La relazione tra Patronato e L’Eco mi è servita moltissimo, proprio a partire dalla centralità del tema del lavoro, inteso anche come strumento educativo».

Vuole ringraziare qualcuno in particolare?

«Sono riconoscente al Vescovo Amadei, al Vescovo Beschi e ai loro collaboratori che hanno accompagnato il mio lavoro in Sesaab (don Mansueto Callioni, don Lucio Carminati, don Mario Eugenio Carminati). Tutti i direttori che si sono succeduti nelle testate giornalistiche, in particolare gli attuali direttori Alberto Ceresoli e Diego Minonzio. Non da ultimi le collaboratrici e i collaboratori che hanno seguito il mio percorso».

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