«Il gesto d’amore di mia moglie un inno alla vita»

La storia. Trent’anni fa Carla Levati morì dopo aver dato alla luce il figlio, che poi non ce la fece: aveva scelto di non curarsi da un tumore. Il ricordo del marito.

«Ogni giorno in più per il mio bambino è un giorno in meno per me, la mia Carla lo aveva scritto in un diario». Valerio Ardenghi, 66 anni, ha gli occhi lucidi, strapazza un fazzoletto di carta per trattenere le lacrime e le emozioni. Il figlio Riccardo, 40 anni, guarda il papà con dolcezza. «Per noi sono giorni difficili» ripete con un filo di voce Valerio. Sono giorni di ricordi, giorni che parlano di Carla e di Stefano, «il mio angioletto».

Il 25 gennaio di trent’anni fa sua moglie, Carla Levati, morì poco ore dopo aver dato alla luce il secondogenito, Stefano. Fu una straordinaria scelta d’amore. La storia di «una madre, un padre, un figlio che si sono trovati stretti in un commovente patto d’amore perché ad un nuovo essere umano non fosse precluso l’accesso alla vita» disse pochi giorni dopo Papa Wojtyla, ricevendo il Pontificio Consiglio per la famiglia.

«Era una donna coraggiosa, il suo è stato un grande gesto d’amore» racconta il marito Valerio, carpentiere ora in pensione. Carla, all’epoca 28enne, aveva deciso di non sottoporsi alle cure per curare il tumore che l’aveva colpita all’apparato genitale, non voleva mettere in pericolo la vita che portava in grembo. Era il riacutizzarsi di un brutto male già comparso due anni prima che Carla aveva curato e sembrava debellato. «In quegli anni la preoccupazione di mia moglie era di poter ancora avere figli, era quello che chiedeva sempre ai medici che la visitavano. Con nostra grande gioia nel 1992 rimase incinta». Sembrava tutto procedere bene, ma poi iniziarono i mesi di sofferenza. «I primi mesi di gravidanza Carla stava bene – ripercorre Valerio –, poi tutto ad un tratto peggiorò. Il melanoma era aggressivo, a dicembre venne ricoverata all’ospedale di Alzano, volle uscire l’ultimo dell’anno per stare con noi un giorno, sentiva il bisogno di starci vicino. Il giorno dopo ritornò in ospedale, dopo Alzano fu ricoverata agli Ospedali Riuniti» ricorda il marito. Il 25 gennaio, era un lunedì, Carla entrava in coma, i medici decisero di intervenire con il taglio cesareo, l’unica possibilità per salvare il bimbo prematuro. Alla sera Carla moriva nella sua casa di Albano San’Alessandro, circondata dall’amore della sua famiglia. Il suo piccolo Stefano, uno scricciolo di appena 650 grammi, era in un’incubatrice nel reparto di Patologia neonatale dei Riuniti, aggrappato alla vita. «Il suo cuore è grande come una moneta mi dissero in ospedale. I medici avevano la speranza di poterlo salvare, ma le sue condizioni erano davvero critiche» ricorda Valerio. Anche Stefano non ce la fece, dieci giorni dopo la mamma moriva, «gettandoci in un dolore indicibile» racconta il papà. Che sospira: «Chissà, oggi magari sarebbe diverso...».

La storia di coraggio di questa giovane mamma di Albano all’epoca aveva commosso l’Italia, anche il regista Franco Zeffirelli aveva reso omaggio, sulle pagine del nostro giornale, a questa «donna straordinaria» che «ha accettato e ha voluto creare una vita sacrificando la propria». Nel 1998 Valerio e suo figlio Riccardo incontrarono Giovanni Paolo II in un’udienza in Vaticano. «Fu una grande emozione – racconta Valerio –, lessi una lettera dove ricordavo il gesto di Carla». La sua Carla ricevette anche una medaglia dalla Prefettura di Bergamo e un premio a Macerata per la Festa della mamma. Era una mamma speciale. «Ogni giorno penso a mia madre e a mio fratello, mio figlio si chiama Stefano» dice Riccardo, tre figli (Dafny, Grace e Stefano appunto), e nonno giovanissimo di Selena. Nel 1993 Riccardo aveva 10 anni e quel 25 gennaio lo ricorda nitidamente. «Ero in classe, una mia compagna mi disse che fuori da scuola c’era mio papà, era nato Stefano». Una gioia che durò però poche ore, «sapevo che la mamma era malata, che c’era qualcosa che non andava, ma mai avrei immaginato».

La storia di coraggio di questa giovane mamma di Albano all’epoca aveva commosso l’Italia, anche il regista Franco Zeffirelli aveva reso omaggio, sulle pagine del nostro giornale, a questa «donna straordinaria» che «ha accettato e ha voluto creare una vita sacrificando la propria»

Valerio mostra la foto della moglie, giovanissima con Riccardo in braccio. «Aveva 18 anni quando è nato Riccardo». Quel figlio che Valerio poi ha dovuto crescere da solo. «Ho potuto contare sull’aiuto di mia mamma e della mia famiglia – spiega –. Andavo al lavoro prestissimo e loro si occupavano di lui, poi arrivavo io e lo recuperavo a calcio o dalla nonna». Riccardo ricorda la sua mamma, le «sgridate» all’occorrenza, gli abbracci e i sorrisi, il lavoro, «faceva gli omini per gli armadi». «Per me era la mia mamma, speciale come lo sono tutte le mamme. Vado a trovarla al cimitero con i miei figli, a loro parlo spesso di lei». Sabato alle 18 nella chiesa parrocchiale di Torre de’ Roveri ci sarà una Messa per ricordare lei e il «gesto eroico compiuto trent’anni fa» come scrive la famiglia nel necrologio. Un «grande gesto d’amore», un inno alla vita.

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