Il Governo vara il piano «sfolla» carceri. «Ma a Bergamo non cambierà molto»

IL NUOVO DECRETO. Si punta alla detenzione domiciliare per chi ha dipendenze. «Ma pochi i posti nelle comunità». Edilizia penitenziaria, via Gleno non c’è. Don Tengattini: «Il disagio psichico è un problema grave, andava affrontato».

Tra gli addetti ai lavori circola una battuta venata di scoramento: al netto dei dettagli, sono le stesse proposte di un anno fa. Nel luglio del 2024 il governo varava un decreto legge sulle carceri: si prevedeva l’istituzione di un «albo» delle strutture residenziali per l’accoglienza e il reinserimento sociale di detenuti con problemi di dipendenza da sostanze stupefacente e con un residuo di pena inferiore ai 12 mesi, e sullo sfondo si ribadiva l’impegno a migliorare l’edilizia penitenziaria. Martedì 22 luglio, di nuovo, il Consiglio dei ministri ha messo sul tavolo un pacchetto per provare ad attenuare il sovraffollamento: un disegno di legge per favorire la detenzione domiciliare per il recupero di detenuti con dipendenza da droga o alcol, un decreto per rendere più rapida la liberazione anticipata e un programma dettagliato per ricavare più posti letto.

L’impatto su Bergamo

Ne beneficerà anche la casa circondariale di Bergamo, dove i problemi sono ormai cronici? Il contatore del ministero della Giustizia segna – i dati sono aggiornati a martedì – 586 reclusi in luogo di 319 posti regolamentari, solo in lievissima flessione ai picchi non lontani di 600 detenuti, e un tasso di affollamento al 183,4%. «L’impressione – riflette don Luciano Tengattini, uno dei cappellani della casa circondariale – è che nella prassi concreta cambierà poco. In questi ultimi provvedimenti non è stato toccato il tema del disagio psichico, una problematica grave e diffusa che rende difficile la gestione della vita quotidiana, anche perché il personale non ha una formazione di questo tipo. Nell’anno giubilare si sarebbe potuto ragionare anche su altre strade, magari dando un segno tangibile come la liberazione anticipata per quelle persone che hanno una pena residua di 2-3 mesi e hanno già scontato anni di reclusione». Per Valentina Lanfranchi, garante dei detenuti di Bergamo, «le misure annunciate dal ministro Nordio sono molto simili a quelle presentate lo scorso anno, e nel frattempo poco è cambiato. Ci sono tanti problemi di fondo e uno di questi, non affrontato, riguarda gli organici della magistratura: pensiamo al carico di lavoro che c’è sui Tribunali di sorveglianza, con i tempi che si allungano. Una giustizia lenta non è giustizia».

l Piano nazionale per l’edilizia penitenziaria 2025-2027 al momento non indica interventi su Bergamo. In un’ottica di «vasi comunicanti», via Gleno potrebbe comunque indirettamente beneficiarne

A proposito di diritto. L’avvocato Enrico Pelillo, presidente della Camera penale di Bergamo, si dice «un ottimista di natura, e allora spero che qualcosa si muova davvero», ma il realismo impone anche altre considerazioni: «Le affermazioni di principio del ministro Nordio sono corrette: le persone con dipendenze devono essere curate in altre strutture e non in carcere, è una vita che ci sgoliamo per dirlo. Ma la realtà dei fatti è un’altra: i posti nelle comunità sono pochi e il disagio nelle carceri è alto, lo testimoniano gli oltre 40 suicidi in cella in Italia da inizio anno, col rischio di battere il record dello scorso anno».

Dipendenze e comunità

Le ultime rilevazioni indicano in via Gleno circa 400 detenuti con problemi di dipendenza da droga o alcol, a livelli diversi, e in molti casi abbinata a un disagio psichico più o meno manifesto. Il disegno di legge appena messo a punto – e che quindi seguirà un iter meno rapido rispetto a un decreto legge – mira a introdurre un «nuovo regime di detenzione domiciliare per condannati tossicodipendenti e alcoldipendenti»: secondo la sintesi di Palazzo Chigi, le nuove norme consentiranno a queste persone, in caso di pena detentiva anche residua inferiore a 8 anni (o 4 anni per i reati di maggiore pericolosità sociale), di «chiedere in ogni momento di esser ammessi alla detenzione domiciliare presso una struttura autorizzata all’esercizio dell’attività sanitaria e socio-sanitaria, sulla base di uno specifico programma terapeutico socio-riabilitativo residenziale». In altri termini, dovrebbe essere più snella l’uscita dal carcere verso una comunità terapeutica, o si potrà direttamente iniziare a scontare lì la pena.

«Pensare che tutte le persone con problematiche di dipendenza possano accedere a una comunità è una stortura rispetto alla realtà – riconosce Fabio Loda, coordinatore di Federsolidarietà Bergamo, il ramo di Confcooperative più impegnato in ambito sociosanitario -: i posti in comunità sono limitati e per questioni di accreditamento (la procedura amministrativa che permette di essere “riconosciuti” e contrattualizzati dal Servizio sanitario nazionale, ndr) non possono essere facilmente ampliati».

Edilizia penitenziaria

Al tempo stesso, «pensare di avere strutture solamente dedicate a persone in misura alternativa alla detenzione non è praticabile – prosegue Loda, riferendosi anche all’albo annunciato un anno fa da Nordio -: si andrebbero a creare situazioni di potenziali ghetti, oppure una sorta di carcere privato». Il Piano nazionale per l’edilizia penitenziaria 2025-2027 al momento non indica interventi su Bergamo. In un’ottica di «vasi comunicanti», via Gleno potrebbe comunque indirettamente beneficiarne per via dei potenziamenti previsti in altre case circondoriali lombarde: a Bollate è previsto un padiglione con 200 nuovi posti, a Opera uno per 392 reclusi, a San Vittore è in progettazione una riqualificazione, un altro nuovo padiglione è indicato a Vigevano, a Brescia Verziano sono stati annunciati 220 nuovi posti. «Le nuove strutture – commenta Fausto Gritti, presidente dell’associazione Carcere e Territorio – non risolvono le cause profonde del problema, anche perché vi è una grave carenza di polizia penitenziaria, educatori e altre figure professionali necessarie a gestirle. Guardiamo invece con molto interesse alla detenzione domiciliare per i detenuti tossicodipendenti, misura che per essere attuata ha però bisogno di adeguate risorse economiche». Insomma, buoni propositi ma anche problemi all’orizzonte: «Siamo molto favorevoli alle misure alternative per i detenuti con pene residue inferiori ai due anni (il ministero ha anche avviato una ricognizione di questo tipo, ndr), ma se non si abbinano a progetti relativi a casa e lavoro e alle risorse economiche necessarie – fa notare Gritti – abbiamo la forte preoccupazione che la maggior parte di questi detenuti non potrà accedere a questo fondamentale provvedimento».

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