«In fuga da Pola e Fiume, a Bergamo una nuova vita»

GIORNO DEL RICORDO. Il racconto di Remigio ed Edoardo, arrivati bambini in città dopo il Trattato di pace. Il viaggio in treno merci e il campo profughi.

Il 10 febbraio, Giorno del ricordo, rinnova la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo Dopoguerra. Quest’anno ricorre il ventennale dell’istituzione della giornata commemorativa di una delle pagine più buie della storia contemporanea: migliaia di persone gettate nelle foibe per la pulizia etnica voluta da Tito in Istria e in Dalmazia. Il 10 febbraio del ‘47 venne firmato il Trattato di pace, che introdusse l’opzione per gli italiani di optare per la cittadinanza italiana. Tra esuli e optanti c’erano Remigio Giacometti ed Edoardo Uratoriu che, seppur allora bambini, conservano un ricordo nitido di quel periodo.

«Tre anni in uno stanzone»

Remigio Giacometti, classe ’19, di Dignano, è orfano di padre quando fugge in Italia con la madre nel ‘47: «Un fratello di mia madre riesce a trovare rifugio a Pola che, come Trieste, è divenuta un’enclave degli anglo-americani e in quanto dipendente del monopolio dei tabacchi chiede il trasferimento a Bergamo. Io e mia madre decidiamo di raggiungerlo ma prima dobbiamo portare a Pola dei vestiti. Lo facciamo in treno, un po’ alla volta, per evitare che i titini se ne accorgano. Se avevo paura? Eccome – racconta Remigio –. Potevamo muoverci perché mio nonno aveva un permesso speciale per andare a Pola a vendere parte del suo raccolto, così riusciamo ad accumulare tutto il necessario e ci imbarchiamo sulla nave “Toscana” che da Pola ci porta a Venezia», continua. «Attraccati al porto di Venezia ci sono problemi per sbarcare, tanto che io, essendo piccolo, vengo mandato sottocoperta. Riusciamo a scendere e a prendere il treno per Brescia, ricordo bene la fermata di Verona, con le crocerossine che ci davano latte caldo. A Brescia prendiamo un treno merci e arriviamo a Bergamo».

Qui vengono portati al campo profughi della Clementina. «Quando sono entrato ho visto un enorme stanzone con dei tavoli in mezzo e ai lati tanti letti. Noi ne abbiamo preso uno che è diventato la nostra casa. All’inizio non c’era privacy ma nel tempo abbiamo messo dei teli e ognuno si è creato il proprio box. Qui siamo rimasti con un altro centinaio di esuli per tre anni», ricorda Remigio. «A un certo punto mia madre trova un lavoro alla “Pirelli” di Redona e io vengo mandato a Biella in un collegio per esuli dove resto fino alla fine della quinta elementare», continua Giacometti. «Terminata la scuola elementare rientro a Bergamo e vado a vivere con mia madre Antonia nelle nuove case di viale Venezia, costruite per i profughi». Dopo la firma del Trattato di pace verranno raggiunti dal nonno materno che, prima di approdare a Bergamo, girerà molti campi profughi a testimonianza della diaspora che ha diviso tante famiglie, alcune delle quali non sono più riuscite a ritrovarsi.

«L’attesa dei documenti»

Edoardo Uratoriu, invece, è venuto in Italia dopo l’entrata in vigore del Trattato di pace per volere della madre. Nato nel ‘46, fiumano di terza generazione, è figlio di un tornitore: «Io e la mia famiglia vivevamo bene perché mio padre, tornitore capace, piaceva agli jugoslavi, ma le continue sparizioni di famiglie operate dai titini spaventavano mia madre. La preoccupano così tanto da convincere mio padre a lasciare Fiume, quindi con l’opzione chiediamo il trasferimento a Bergamo, dove già vive mio zio Bruno, autista del servizio pubblico», racconta Edoardo. «Chiesta l’opzione gli jugoslavi ci fanno aspettare per i documenti che danno in momenti diversi ai vari componenti della famiglia.

Una delle tante violenze psicologiche subìte da chi voleva lasciare quei territori», continua Uratoriu. Nel 1948 partono e dopo un viaggio in treno da Fiume a Udine, vengono accolti in un centro profughi. «Restiamo qualche settimana e poi prendiamo il treno per Bergamo. In città abbiamo la fortuna di essere ospitati a casa di mio zio, perciò io e mia sorella non viviamo il dramma dei nostri amici nei campi profughi. I ragazzi della mia età sceglievano di fare una vita ritirata per non dire agli amici bergamaschi che erano profughi senza una casa. Si immagina invitare un amico a casa quando vivi in uno stanzone con altre cento persone?».

Le commemorazioni

Il Comune di Bergamo, in collaborazione con la sezione di Bergamo dell’associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, ha organizzato diversi momenti istituzionali. Alle 9, al Parco delle Rimembranze alla Rocca, la deposizione delle corone d’alloro, le letture a cura degli studenti del Liceo «Mascheroni» e la preghiera a cura dell’associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. Alle 10, nella piazzetta di fronte alla Chiesa di Maria Immacolata Concezione alla Clementina, omaggio alla targa in ricordo degli esuli della Clementina. Alle 11, nella chiesa di San Francesco d’Assisi in viale Venezia, la Messa officiata da don Mario Marossi. Alle 18, in Sala Galmozzi in via Tasso, la presentazione del libro «Il disonore delle armi. Settembre 1943: l’armistizio e la mancata difesa della frontiera orientale italiana», con l’autore Roberto Spazzali, e Maria Elena Depetroni, delegata dell’associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia presso il ministero dell’Istruzione e del merito.

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