Inchiesta giovani 1/8. Sono davvero bamboccioni? Ridiamo loro il futuro e lo sapremo

Fosse un dato positivo, saremmo i più bravi d’Europa. Purtroppo, però, non è così, tanto che la percentuale dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni che non frequentano la scuola, non hanno un lavoro, e non seguono percorsi di formazione - i cosiddetti «Neet» - ci condanna inesorabilmente all’ultimo posto nella Vecchia e Nuova Europa: 23,44% (pari a 2 milioni e 116 mila giovani) contro una media europea che si ferma al 12,9%.

Dietro la lavagna e senza appello, se è vero, come dicono i dati Istat del 2018, che la Croazia si ferma al 15,6%, la Romania al 17%, la Bulgaria al 18,1% e la Grecia al 19,5%.

A preoccupare non è soltanto il dato complessivo, ma anche la sua «scomposizione»: che il 15% dei «Neet» abbia tra i 15 e i 19 anni, ci può anche stare (turandosi il naso...), ma è difficile tollerare che il 38% sia tra i 20 e i 24 anni, e - ancor di più - che il 47% abbia tra i 25 e i 29 anni. Sebbene sia uscita dall’agenda politica ormai da qualche tempo, quella dei «Neet» è in realtà una vera e propria emergenza del Paese, anche se nessuno sembra darsene peso, più propenso a viverla con accondiscendente ineluttabilità piuttosto che a considerarne i devastanti effetti negativi, e non solo su chi ne è suo malgrado protagonista, ma sull’intera comunità, partendo dal nucleo fondamentale della nostra società, la famiglia. La questione, in ogni caso, chiama in causa anche un malinteso senso protettivo dei genitori nei confronti dei figli, i «bamboccioni», secondo la discussa battuta dell’allora ministro Padoa-Schioppa. Al di là di tutto, comunque, vivere da «Neet» - acronimo dell’inglese «Not in education, employment or training», comparso per la prima volta Oltremanica ormai vent’anni fa - significa vivere un forte disagio sociale e provare un reale sentimento di emarginazione di fronte all’impossibilità di partecipare e condividere un progetto di crescita collettivo.

Non solo i «Neet» si sentono privi (e privati) del proprio futuro, ma sentono anche di non avere alcuna opportunità di riuscire a crearselo. E sappiamo bene in cosa possano sfociare situazioni di disagio continuo e ripetuto vissute in giovane età: dipendenza (da alcol, droga, gioco d’azzardo...) ma anche delinquenza, con tutte le conseguenze del caso. Nel nostro Paese, la percentuale dei «Neet» ha continuato a crescere tra il 2007 e il 2014, passando dal 18,8% al 26,2% (il dato più alto registrato) per poi scendere lentamente al 23,44% del 2018. Se si è arrivati a questo punto, evidentemente, qualcosa non ha funzionato, o comunque ha funzionato molto poco. I fattori sono ovviamente diversi - familiari, culturali, economici e sociali - e puntare il dito contro questo o quello servirebbe a ben poco. Certo è che una delle «voci» di maggior peso non può non essere quella della scuola. L’Italia continua a rimanere tra le ultime nazioni europee per numero di laureati, tasso di abbandono scolastico e competenze. E un elemento - l’Istat - sottolinea come «particolarmente preoccupante», il 14,5% (nel 2018, contro il dato medio europeo fermo al 10,6%) legato ai giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno lasciato la scuola dopo aver al massimo raggiunto la licenza media. Un dato in leggero aumento rispetto al 13,8% del 2016. Solo Malta, Romania e Spagna hanno fatto peggio di noi, ma questo non può essere motivo di consolazione.

Cosa fare per invertire la tendenza? La sfida è quella di ridare a questi giovani un ruolo attivo nelle complicate dinamiche legate allo sviluppo del Paese, ma la politica sembra interessata ad occuparsi d’altro, e quanto fatto negli anni passati (con il Fondo per le politiche giovanili da una parte e il programma ideato dalla Ue «Garanzia Giovani» dall’altro) non ha dato risultati particolarmente significativi. I fronti sui cui lavorare sono diversi, come spiegano gli esperti nelle pagine che seguono, ma non si può prescindere dalla necessità di «fare rete» (una, non mille) per concentrare sforzi e opportunità. «Essere giovani - cantava Bob Dylan - vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro». Ma oggi alimentare le speranze dei «Neet» (e sarebbe già un risultato lodevole) non basta più: diamo loro le chiavi per aprire il proprio futuro. È un impegno morale a cui nessuno può più sottrarsi.

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