Legge la storia di un manager senza lavoro pubblicata vicino alla sua: lo assume

Bertoli, fondatore di Banca Fineco, su l’Eco era finito per la rinascita dopo aver rischiato la vita per il Covid: «Mi ha colpito la sua umiltà, ora posso dire che trovarlo è stato un affare».

Uno è il mago della finanza che, dopo aver pericolosamente ansimato tra gli sfiati rumorosi dei macchinari di un reparto Covid, cominciava a respirare la brezza di una nuova vita. L’altro è il manager informatico che la pandemia aveva precipitato in una condizione disperata: senza lavoro, passato da un mensile a 4 zeri al dover dipendere dalla retribuzione della moglie insegnante, con la vergogna nel cuore e la preghiera che la sua vicenda venisse pubblicata in forma anonima perché i figli non scoprissero.

Due storie affacciate una sull’altra nell’inserto «Domenica» dell’Eco di Bergamo del 17 maggio 2020, una a pagina 52, l’altra a pagina 53: la risalita e la caduta. Ma è successo che quelle due storie affiancate hanno finito per attorcigliarsi, dando vita a una terza, straordinaria storia . Il mago della finanza, dopo aver scorso il pezzo che parlava di lui, è stato catturato dal titolo di quello a fianco («Da 20.000 euro al mese al niente da mangiare»), rimanendone colpito. « Mi sono rivisto in lui nei momenti difficili della mia vita, mi è venuto in mente mio padre che era rimasto disoccupato e noi bambini che a casa non avevamo niente, mi sono ricordato dell’angoscia che provavamo . L’idea che qualcuno potesse tornare a casa sconfitto com’era accaduto a mio padre, mi inorridiva. Ma mi è rimasta anche impressa l’umiltà con cui si è raccontato, ho pensato che per un padre di famiglia non era semplice farlo. E mi sono detto: uno così lo voglio conoscere».

A Gianfranco Bertoli, 66 anni, cresciuto a Calcio e ora residente a Credaro, fondatore di Banca Fineco e pupillo di Ennio Doris di Mediolanum, le parole di quel manager da 20 mila euro al mese che si diceva disposto a fare anche il giardiniere pur di tornare a un lavoro sono rimaste dentro . Così ha chiamato il nostro giornale facendosi dare il numero dell’altro. «Le andrebbe di lavorare per me?», gli ha domandato secco al telefono. «Ero stupito, ma non ho fatto grandi ragionamenti davanti alla proposta. Ho detto: vediamo», confida Marco Sacchi, milanese di 58 anni, che dal 15 giugno 2020 - e cioè, 29 giorni dopo quei due articoli - dirige i settori innovazione tecnologica e ricerca e sviluppo della Multiply, società di mediazione creditizia con sede in via Maglio del Lotto a Bergamo - nata come start-up con 6 dipendenti e ora arrivata a 50 - di cui Bertoli è il responsabile . Al cronista che aveva intercettato la notizia già un anno fa, l’imprenditore di Calcio aveva chiesto di attendere. «Marco era ancora in prova, pubblicare la storia di questo gesto, che non ho fatto per narcisismo ma per puro interesse della Multiply, mi pareva una doppia vigliaccata: avremmo mancato di rispetto nei suoi confronti, perché rischiava di essere illuso qualora l’assunzione non fosse andata in porto; e avremmo rischiato di prendere in giro i lettori», spiega il 66enne.

Ora che è entrato a pieno titolo negli ingranaggi della Multiply, Marco Sacchi può raccontarsi in altro modo. Ed è curioso apprendere che in soccorso di chi ha perso il lavoro perché aveva deciso di dedicare più tempo alla famiglia sia venuto uno che, prima di arrivare a un passo dalla morte, al lavoro aveva dedicato la vita, trascurando spesso i familiari («Ma quand’ero in ospedale ho riflettuto e ora non è più così», assicura Bertoli). «Avevo una società di consulenze e lavoravo per una nota azienda di telefonia – ricostruisce Marco -. A gennaio 2020 sono rimasto senza lavoro. A vevo scelto di rivedere la mia vita, di dedicare più tempo ai miei figli Benedetta e Alberto di 8 e 13 anni. Il mondo del lavoro non è però in grado di digerire che qualcuno possa rallentare. Ti chiedono perché hai mollato. Non è previsto uno schema in cui sei qualcosa di diverso. A certi livelli o sei dentro o sei fuori : la professione viene sempre prima di tutto. Poi, certo, la pandemia ha dato la botta finale».

Così, mentre Gianfranco in ospedale s’aggrappa ai respiri, Marco si ritrova in casa col cruccio che quella insolita e prolungata presenza tra le mura domestiche non sia percepita dai figli per quello che realmente è. Una mano a dissimulare gliela dà il lockdown. «Stavo in attesa, mandavo curriculum, contattavo amici, tappato nella mia abitazione con mia moglie, Alberto e Benedetta: una pattuglia che aspettava la sera senza ben capire che cosa stava succedendo fuori».

«Nella mia vita mi sono ritrovato nei panni di Marco e sono riuscito a risalire grazie all’aiuto di gente che mi ha dato fiducia – interviene Gianfranco -. Ci tengo a dire che la possibilità gliel’ho offerta non per fargli della carità. Non assumerei mai nessuno che non sia in grado di rendermi per quello che vale, nessun imprenditore serio lo farebb e . Il mio è stato un atto solidaristico, ma anche utilitaristico, perché mi serviva una persona che avesse le sue competenze. L’impressione è stata da subito buona. Marco è uno dei tipi più entusiasti che abbia mai conosciuto, si entusiasma come un ragazzino e ha questo sguardo stralunato, da matto, tipico delle persone curiose. Della sua figura avevo bisogno solo part-time, così gli ho chiesto che cosa si sentisse di fare oltre a quello. Lui mi ha risposto: “Faccio tutto quello che serve” e questa è stata musica per le orecchie di uno come me che in passato ha fatto anche le pulizie e il magüt . Quando una persona è così, difficilmente ti delude se la assumi: e così è stato».

«A 58 anni di solito c’è la voglia di affermare ciò che si è fatto. Ma io sono affascinato dall’imparare sempre cose nuove – osserva Marco –, perché ti costringono a studiare sempre, a ripartire da zero pur con le tue basi». E se Gianfranco non avesse letto l’articolo? «Avrei continuato a cercare un lavoro – risponde Marco -. Riconosco che questa vicenda avrebbe potuto prendere molte pieghe». Due articoli affiancati: è il caso che ha voluto finisse così? Il 58enne ammette che è uno dei fattori, ma che un po’ ha influito «il mio coraggio di raccontare una storia scomoda da raccontare». Gianfranco obietta, invece, che «le cose non succedono mai per caso». «Credo ci sia una Provvidenza» dice lui, svelando un retroscena. «Il 15 maggio la consulente che faceva questo lavoro in Multiply mi ha annunciato che dal 30 giugno avrebbe smesso di lavorare per noi. Mi avrebbe lasciato in braghe di tela perché io di computer ci capisco poco. Due giorni dopo leggo sul giornale la storia di Marco. No, non penso che ci sia il caso dietro tutto questo».

Sarebbero troppe le coincidenze. Perché c’è da sapere che anche Bertoli deve dire grazie a una pagina di giornale. «Avevo 26 anni, lavoravo alla filiale dell’allora Cariplo di Caravaggio – ricorda Gianfranco -. Mai e poi mai avrei pensato di lasciare la banca. Ma un giorno il direttore mi rimbrotta davanti ai clienti per un’operazione. Io gli replico che pensavo di aver fatto l’interesse dell’istituto. Lui mi risponde: “Lei qui non è pagato per pensare”. Se non fosse intervenuta la guardia, credo che lo avrei appeso al muro. Poi vado alla mia scrivania ed esclamo: “E per oggi non lavoro più!”. Mi sono messo a sfogliare platealmente un giornale e mi sono imbattuto in un annuncio: “Cercasi consulente finanziario” . Così, ho detto che mi sarei licenziato. Col senno di poi devo ammettere che era una battuta da ganassa . Ma poi ho telefonato davvero al numero indicato dall’annuncio: era la Dival, una delle prime società di Doris». Un mese dopo Bertoli lascerà la filiale, iniziando il suo decollo.

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