L’escalation di Omicron, martedì su «L’Eco» l’intervista a Signorelli

I dati Il 20-25% dei bergamaschi sono venuti in contatto con la nuova variante. Il virologo lecchese: «Questo virus non è ancora un’influenza».

È forse lo spartiacque nella storia di questo virus. Nel tempo infinito della pandemia, Omicron sembra aver segnato un giro di boa netto: un prima e un dopo. Di nuovo, come da inizio pandemia, i numeri s’affiancano al racconto: da quando questa variante è comparsa in Bergamasca, con i primi casi ufficiali comunicati il 17 dicembre 2021, di lì in poi si sono contati ufficialmente oltre 173mila contagi. Aggiungendoci pure il «sommerso», la cifra oscura delle infezioni non tracciate (perché si è in qualche modo sfuggiti al tampone, oppure perché asintomatiche), è verosimile arrivare a 200-250mila bergamaschi entrati in contatto con la variante in poco più di sei mesi.

Il primo caso a novembre

Alfa e Delta, le prime due varianti capaci di generare ondate successive alla prima esplosione trainata dal ceppo originale di Wuhan, più patogene ma meno diffusive, paiono ormai la preistoria. Identificata per la prima volta in Sudafrica, Omicron esordisce ufficialmente in Italia il 27 novembre 2021: quel giorno i laboratori del «Sacco» hanno in mano i risultati del sequenziamento del tampone di un manager campano da poco rientrato dall’Africa, è il primo caso italiano. Il 12 dicembre sono comunicati i primi casi lombardi (a Milano, Lodi e Magenta), il 17 tocca anche a Bergamo. È l’inizio dell’escalation.

Verso l’endemia

Omicron pare aver innescato una fase di transizione verso l’endemia . «Questo virus non è ancora un’influenza, i casi gravi ogni tanto si vedono ancora – specifica Carlo Signorelli, professore ordinario di Igiene e Sanità pubblica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano -. Questo picco di luglio non era previsto, il virus ci ha abituato alle sorprese». Mutare, in fondo, è nella storia del virus: «Le varianti che abbiamo visto nell’ultimo periodo tendono a essere più contagiose ma meno aggressive – spiega Signorelli –. È capitato anche per altre malattie prima del Covid. Il virus si adatta: se muore la persona infetta, muore anche il virus. Se invece il virus riesce a convivere, sopravvive la specie».

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