«L’imputato non frenò, voleva travolgerli». Le motivazioni della condanna a Scapin

Ecco perché la morte di Carissimi e Ferrari va considerata omicidio volontario e non incidente come fece il gup. Rivalutate le posizioni degli amici delle vittime.

«Tornerò». Il responsabile della sicurezza della discoteca Setai di Orio lo sentì pronunciare da Matteo Scapin all’indirizzo dei ragazzi che lo avevano aggredito fuori dal locale in quella notte fra il 3 e il 4 agosto 2019, prima che la lite prendesse la sua piega tragica e si concludesse con l’investimento mortale di Luca Carissimi e Matteo Ferrari, 21 e 18 anni, di Bergamo.

È un particolare che finora era rimasto sotto traccia, ma che la Corte d’assise d’appello sottolinea nelle motivazioni della sentenza con cui a maggio Scapin, 35 anni, di Curno, tuttora ai domiciliari, è stato condannato per omicidio volontario a 11 anni e 4 mesi (riconosciute le attenuanti generiche e quella della provocazione). Lo fa per evidenziare lo spirito di rivalsa dell’imputato e smontare la tesi dell’indole docile e dell’atteggiamento remissivo, in virtù della quale il giudice di primo grado, il gup Massimiliano Magliacani, era arrivato a smontare l’accusa dell’omicidio volontario - sostenuta fin dall’inizio dal pm Raffaella Latorraca, l’originario titolare del fascicolo -, derubricando il reato in omicidio stradale (6 anni e 8 mesi, la pena inflitta al termine del processo in abbreviato). Posto che, rimarca la Corte d’assise d’appello, «anche in personalità miti, docili e remissive - e non è dimostrato che quella di Scapin si atteggi secondo queste caratteristiche - possano maturare estemporanei processi volitivi tesi a comportamenti violenti, specie in situazioni di stress tali da infrangere freni inibitori anche di consistente resistenza».

L’investimento dopo la lite

Scapin investì i due ragazzi, che viaggiavano in sella a uno scooter Vespa, dopo la lite cominciata all’interno e proseguita all’esterno del Setai e dopo che uno dei due - Ferrari - con il casco aveva infranto il lunotto della Mini del 35enne mentre quest’ultimo e la fidanzata, diretti a casa, erano fermi a un semaforo rosso all’incrocio con la Cremasca, ad Azzano San Paolo. Per la difesa (avvocati Andrea Pezzotta e Riccardo Tropea) si era trattato di un incidente: Scapin, impaurito e annebbiato dall’alcol, non era riuscito a evitare la Vespa mentre cercava di superarla. Non così per il nuovo titolare del fascicolo, il pm Guido Schininà, e per i familiari delle due vittime e i loro legali (Francesca Longhi e Alessandro Magni per i Carissimi, Dimitri Colombi per i Ferrari), che dopo aver presentato ricorso si sono visti riconoscere la loro lettura dell’episodio dai giudici bresciani. «Per nulla plausibile che lo scontro sia avvenuto accidentalmente, quale frutto di una condotta di guida convulsa» e che «l’imputato non si rese conto della Vespa», scrive la Corte. La quale privilegia la ricostruzione «che vuole l’imputato aver intenzionalmente indirizzato la propria auto per raggiungere e tamponare la moto».

«Scapin non frenò - si legge nella sentenza - perché quel che stava accadendo era esattamente ciò che egli voleva accadesse e, una volta raggiunto il suo obiettivo, non gli restava altro da fare che allontanarsi dal posto il più velocemente possibile». Dolo eventuale, concludono i giudici bresciani, perché verosimilmente l’imputato, osservano citando il consulente del pm, «intendeva “disarcionare” i due responsabili della rottura del lunotto e non già “abbatterli”». Ma farlo a quella velocità (74 km/h la Mini, 20 di meno la Vespa), significava accettare il rischio che i due in scooter cadessero riportando lesioni letali, come purtroppo è accaduto.

«Amici delle vittime credibili»

Contrariamente al gup Magliacani, la Corte non dà molto credito alla ricostruzione della fidanzata dell’imputato, mentre attribuisce attendibilità a quanto raccontato dai due amici delle vittime che seguivano su un’altra moto e che per il gup invece, essendo in compagnia con Carissimi e Ferrari, non offrivano garanzie di equidistanza dal fatto. «Ho potuto notare la Mini andare con decisione addosso alla moto dei miei amici, anzi, ho proprio percepito un leggero spostamento verso destra dell’auto, con l’intenzione di volerli colpire volutamente», aveva raccontato uno dei due. Dichiarazione sovrapponibile a quella rilasciata da un testimone neutro, un giovane al volante di una Polo che seguiva la Mini, e che è probabilmente risultata tra gli elementi determinanti per interpretare la manovra come volontaria: «Una volta partita, la Mini ha accelerato tantissimo e ha puntato lo scooter. Lo ha proprio cercato perché lo scooter era sulla destra e la Mini si è proprio spostata per investirli». La Corte fa poi notare che l’impatto fra Vespa e Mini «non fu repentino e fugace» (il contatto durò per 14,9 mt dopo l’urto iniziale).

Infine, tra le righe i giudici riconoscono quel pizzico di casualità che contribuisce - seppur in minima parte rispetto alle responsabilità di chi le provoca - a determinare certe tragedie: «Sarebbe bastato che Scapin avesse trovato la luce verde al semaforo e mai egli sarebbe stato raggiunto dalla Vespa».

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