Nove giovani preti, un segno di speranza: accolti dalla Chiesa di Bergamo in festa - Le foto

SABATO 27 MAGGIO. In Cattedrale alle 17 riceveranno l’Ordinazione sacerdotale. La loro scelta definitiva rappresenta una lettura fiduciosa nel futuro. Cresceranno insieme alle comunità parrocchiali alle quali saranno destinati.

Nove preti nuovi per la Chiesa di Bergamo. O meglio nove preti chiamati a essere nuovi per la nostra Chiesa. Perché la capacità di rinnovamento di una Chiesa, di una pastorale, di una proposta di fede – nuove come lo sono sempre le cose vive, al contrario di quelle tenute sotto naftalina – dipende molto anche dalla novità dei suoi preti.

E non è un discorso clericale, o di delega. E nemmeno di conformazione della Chiesa al gusto contemporaneo. La fede nel corso della storia è andata avanti, giorno dopo giorno e secolo dopo secolo, perché qualcuno ha scelto di darle volto attraverso i propri gesti e la propria storia. E tra questi, ci sono anche i preti: coloro che hanno desiderato fare della fede la loro vita, al netto delle incoerenze personali e delle riuscite effettive, più o meno apprezzabili. Un prete è anzitutto questo: un uomo che si dice pronto a scommettere il suo tutto, l’intero del proprio tempo e della propria vita, per l’invisibile di Dio e per ciò che è ben visibile del Suo popolo. In ogni epoca c’è stato almeno un momento in cui si ha avuto l’impressione collettiva, per ragioni molto differenti, che la fede cristiana fosse al capolinea: troppo insensata per il secolo dei Lumi, troppo oppressiva e rassicurante per la filosofia del Novecento, una mitologia del panorama interiore o un modo per legittimare il potere sociale per le scienze umane… Ma la cosa straordinaria, che ha permesso la sopravvivenza del popolo di Dio, è stata proprio la fede di alcuni giovani.

Essi sono nati e cresciuti facendo i conti con ciò che, in ogni epoca, sembrava avere in tasca la forza di spegnere la timida fiamma del vangelo. E sono riusciti a credere. Hanno saldato in se stessi la frattura tra i dubbi della storia e il loro bisogno di trovare risposte credibili. Nel loro «sì», è ospitato il «sì» di tutti i credenti: è ancora possibile credere. Ogni età storica, insieme ai propri veleni, produce anche gli antidoti: questi passano dalla scelta di libertà dei giovani, coloro a cui appartiene il futuro.

Guardare al miracolo non dovuto e quasi strano di nove ordinazioni sacerdotali di altrettanti ragazzi della nostra diocesi è dunque un segno di speranza. Per un po’ di anni difficilmente si ripeterà l’occasione di avere un numero simile. Mentre sabato alle 17 saliranno i gradini dell’altare in Cattedrale a Bergamo per presentarsi di fronte al Vescovo Beschi, faranno salire di un gradino di senso anche il significato che la fede può avere nell’oggi del nostro mondo occidentale. Per una riconoscenza dunque che va al di là degli aspetti individuali, sono almeno due le cose che, da credenti, dobbiamo a questi ragazzi. La prima è un impegno per le giovani generazioni. Il colpo d’occhio di nove preti è ancora più anacronistico, se si considera quanto si sia spostata in avanti l’età delle scelte definitive. Anzi, il «per sempre» sembra quasi non essere più l’opzione migliore. Questi giovani non sono delle mosche bianche, né degli eroi eccezionali che hanno riserve di coraggio indisponibili ai loro coetanei. Semplicemente, hanno maturato una lettura diversa del tempo a loro disposizione, a partire dall’incontro con un’esperienza di bene, che è la fede nel Dio di Gesù Cristo. Oggi è sparita dal senso comune l’idea della vita come una freccia orientata verso il meglio, perché è sparita l’idea che esista un bene: magari opinabile, magari con cui non tutti sono d’accordo, magari insufficiente… Ma se non esiste un meglio per cui si possa vivere, non ha senso scegliere, rinunciare a qualcosa e abbracciare qualcosa d’altro.

Il futuro della Chiesa

Il futuro si è inceppato e si vive in un eterno presente in cui lo stress cerca di riprodurre almeno qualcosa del brivido dato dalla tensione verso il domani. Senza una civiltà adulta in cerca di un bene all’altezza di questo nome, il tempo si appiattisce sull’oggi. I giovani forse non chiedono buone ragioni di vita a chi li ha preceduti, ragioni per cui valga la pena impegnarsi totalmente? La vera questione, anche come credenti, è se siamo ancora capaci di indicare un bene possibile dentro cui la vita fiorisce, o siamo preda dell’anestesia che rende ogni scelta equivalente, «purché ti renda felice e non faccia male agli altri». Questo augurio rischia di essere troppo poco per ospitare lo slancio della libertà e del desiderio. Senza un bene più grande di se stessi, sparisce la possibilità del dono di sé. La seconda cosa che interpella è legata a una promessa di accoglienza. Nove giovani saranno preti: dall’oggi al domani ci vengono restituiti come pastori di comunità. Nessuna magia, perché rimangono al contempo i ragazzi che abbiamo conosciuto. Certamente sono già preti appena escono dalla Chiesa, ma lo diventeranno veramente soltanto giorno dopo giorno, insieme alla loro comunità. C’è una comunione di destino che lega il pastore e il suo gregge: si influenzano reciprocamente, nel bene e nel male. Fare il prete oggi è molto meno codificato di qualche anno fa: semplificando parecchio, si potrebbe dire che fino agli anni Cinquanta, sapevi che fare il prete era dire Messa, fare la catechesi e celebrare i sacramenti. Dal racconto dei grandi curati degli anni Ottanta si imparava rapidamente la giostra di dedizione e di dono dell’evangelizzazione made in oratorio. Ma oggi la missione si gioca in un campo più aperto, con meno righe e quadretti prestabiliti. C’è bisogno di ascoltare la domanda e la spinta di futuro di cui questi giovani sono portatori, anche quando sembra così diversa rispetto a ciò a cui si è abituati, e nello stesso tempo occorre dare loro una mano a farsi carico di ciò che già c’è ed è importante non disperdere. Accoglienza, ascolto, richiesta di passione e di dedizione: sono gli atteggiamenti che fanno germogliare i semi migliori.

L’evento

Un evento di grande gioia e speranza per la Chiesa di Bergamo. Domani alle 17, in Cattedrale, nel corso di una solenne Concelebrazione eucaristica, il vescovo Francesco Beschi ordinerà sacerdoti nove diaconi (il rito sarà trasmesso in diretta su BergamoTv). Questi i loro nomi e le parrocchie di provenienza: don Lorenzo Bellini, 25 anni, di Telgate; don Paolo Capelletti, 25 anni, di Cologno al Serio; don Marco Nicoli, 27 anni, di Desenzano al Serio; don Andrea Patelli, 30 anni, di Credaro; don Attilio Rossoni, 39 anni, di Colognola in città; don Gabriele Trevisan, 26 anni, di Pontida; don Andrea Vecchi, 29 anni, di Villa di Serio; don Matteo Vezzoli, 27 anni, di Romano; don Simone Zappella, 31 anni, di Chiuduno. Il rito delle ordinazioni è contrassegnato da momenti intensi. Il primo è la presentazione e l’elezione degli ordinandi.

Don Gustavo Bergamelli, rettore del Seminario, li chiamerà per nome e loro risponderanno «Eccomi!», segno della disponibilità ad accogliere il sacerdozio. Poi davanti al vescovo, a cui don Bergamelli chiederà la loro ordinazione. Dopo l’omelia, gli ordinandi si disporranno ancora davanti al vescovo per le interrogazioni sui loro impegni: esercitare per sempre il ministero sacerdotale, predicare la Parola di Dio, insegnare la fede cattolica, celebrare i Sacramenti, pregare assiduamente, consacrare la vita per la salvezza degli uomini. Ogni ordinando si avvicinerà al vescovo, promettendo «filiale rispetto e obbedienza» a lui e ai successori. Poi gli ordinandi si prostreranno a terra, mentre l’assemblea intonerà le Litanie dei Santi, segno della convocazione in preghiera della Chiesa di ogni tempo. Poi, durante il canto del «Veni Creator», il vescovo imporrà le mani sul loro capo, segno della trasmissione dello Spirito, e reciterà la preghiera di ordinazione. Gesti poi ripetuti dai concelebranti. Da questo momento saranno sacerdoti per sempre. Seguiranno la vestizione degli abiti sacerdotali (stola e casula) e l’unzione delle mani con il sacro Crisma, per significare la particolare partecipazione al sacerdozio di Cristo. Quindi il vescovo metterà il calice con il vino e la patena con il pane nelle loro mani, segno della centralità dell’Eucaristia nella vita di ogni prete. Infine l’abbraccio con il vescovo e i concelebranti, fra il caloroso applauso di parenti, amici e fedeli.

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