Oltre 27 mila bergamaschi vivono in zone a rischio di allagamenti

Rapporto Ispra: nel 2020 si è continuato a costruire (+113,5 ettari), diminuita la capacità di drenaggio del suolo.

Mesi e mesi di «fermo», di cantieri bloccati, di lavori in stand by. Eppure, niente da fare. Le colate di cemento non si sono arrestate nemmeno nell’anno della pandemia, quando il mondo – tutto – è rimasto in sospeso. L’incremento maggiore nel 2020 si registra proprio in Lombardia, con 765 ettari di cemento in più in 12 mesi, seguita da Veneto (682 ettari), Puglia (493), Piemonte (439) e Lazio (431). A Bergamo l’aumento è stato di 113,5 ettari (dati Ispra). Ulteriore suolo consumato significa ulteriore terreno impermeabilizzato, un fenomeno che induce l’acqua a scorrere in superficie aumentando la pericolosità idraulica dei territori, inclusi quelli bergamaschi.

Secondo l’ultimo rapporto targato Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), il 4,3% del territorio di Bergamo e provincia è ad alta probabilità di allagamenti – significa 117 chilometri quadrati su una superficie complessiva di 2.755 –, il 5,6% ha una media probabilità di rischio idraulico (154 chilometri quadrati), mentre il 7,7% (211 chilometri quadrati) ha una probabilità «soltanto» contenuta.

Dati che, seppur leggermente inferiori alla media regionale (7,9% del territorio ad alta probabilità di alluvione, 10,2% media, 20,3% bassa) e a quella nazionale (5,4% alta, 10% media, 14% bassa), inducono gli esperti ad un’attenta riflessione, sia sul fenomeno sia sulle cause. E sì, c’è lo zampino dell’uomo. Scrive l’Ispra nel rapporto 2021 sul consumo di suolo: «Su fenomeni naturali quali le alluvioni, l’effetto delle attività antropiche» si traduce in «un aumento della probabilità di accadimento e aggravamento delle conseguenze avverse. Ciò avviene a seguito della sottrazione di spazi di naturale espansione delle piene, della riduzione della capacità di drenaggio delle superfici per effetto di un significativo e progressivo consumo di suolo e dell’intensificazione dei fenomeni estremi per effetto dei cambiamenti climatici». Due i fattori che incidono quindi, secondo gli esperti, sui pericoli di allagamenti del territorio: da un lato l’attività umana con il crescente consumo di suolo, dall’altro (e in qualche modo connessi) i cambiamenti climatici.

La popolazione esposta

Ma il rischio idraulico territoriale si misura anche attraverso altri tre indicatori chiave. Il primo è quello che rileva la popolazione esposta, ovvero il numero di cittadini che risiedono in aree a rischio alluvione. Attenzione, in questo caso – a differenza della aree allagabili sopra citate, che includono anche aree deserte, come vallate o strade - si parla di rischio e non di probabilità proprio perché si considera solamente il territorio costruito ed abitato, dove l’alluvione costituirebbe, appunto, un rischio concreto per persone o edifici. Ebbene, secondo l’Ispra (dati 2020) a Bergamo 27.520 persone vivono in aree ad alto rischio idraulico, pari al 2,5% della popolazione (contro il 2,1% di quella regionale e il 4,1% di quella nazionale). Sono invece 51.428 i cittadini che risiedono in aree a medio rischio allagamento, ovvero il 4,7% dei bergamaschi (contro il 4,4 % dei lombardi e l’11,5% degli italiani) e, infine, 117.599 persone, ovvero il 10.8% della popolazione orobica (14,4% regionale, 20,6% nazionale) abita in aree a contenuto rischio idraulico.

I beni culturali

Ma, come noto, allagamenti e alluvioni possono provocare gravi danni anche al patrimonio culturale delle città. A Bergamo i beni culturali esposti ad alto rischio idraulico sono 138 su 2.597 (pari al 5,3%, contro il 5,4% regionale e il 7,8% nazionale), 202 quelli costruiti in aree a medio rischio alluvione (7,8%, contro 8,5% regionale e 16,5% nazionale), mentre 423 (ossia il 16,3% del totale, contro il 22,1% regionale e il 24,3% nazionale) sono i beni culturali collocati in spicchi di territorio a contenuto rischio idraulico.

Gli impianti industriali

Nei monitoraggi condotti a livello nazionale particolare attenzione viene posta anche sugli impianti industriali costruiti in aree allagabili: nella Bergamasca, su un totale di 185 impianti, se ne contano 41 sorti in zone a medio-alto pericolo di alluvione, e 35 in aree con pericolo contenuto.

Una galassia di dati che, in filigrana, nasconde un interrogativo cruciale. C’è modo di documentare e misurare l’impatto concreto che il consumo di suolo in aree a pericolo alluvioni ha e ha avuto nel favorire proprio il rischio idraulico? Sì, secondo l’Ispra, che cita dati nazionali. «Dal 2012 ad oggi – osservano gli esperti – il suolo non ha potuto garantire l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana, che ora scorrono in superficie, aumentando la pericolosità idraulica dei nostri territori» .

Un fenomeno che si sperava fosse rallentato, nei tempi sospesi dei lockdown e della pandemia. E invece.

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