Ora rallenta la curva dei morti
In Bergamasca sono 4.800 - Mappa

Dopo il picco nella terza settimana di marzo l’andamento dei decessi ha iniziato a calare. Aggiornamento dell’indagine tra tutti i Comuni: 305 mila possibili contagiati in tutta la provincia.

La linea sembrava puntare verso l’alto e non fermarsi mai. Un picco che non è un semplice tratto grafico su un foglio di carta. È l’emblema del dramma che sta vivendo la provincia di Bergamo. Non ancora concluso, purtroppo. Ma dall’incubo di settimana scorsa, quando il numero delle morti reali ha portato alla luce la tragedia fino ad allora nascosta, qualcosa è cambiato.

Il picco si è trasformato in curva lenta e sinuosa verso - si spera - la normalità. Nei giorni scorsi abbiamo chiesto un nuovo aggiornamento ai Comuni bergamaschi per continuare l’indagine lanciata insieme ad InTwig. Lo stesso lavoro che ha contribuito a svelare le tante morti non monitorate: persone venute a mancare nel letto di casa, nelle rsa, senza tamponi per stabilire la positività al Covid-19. Qui in provincia di Bergamo - più che in altre zone della Lombardia - il divario tra la fotografia parziale scattata dall’ufficialità e l’ondata reale che ha travolto i paesi è ancora molto evidente.

L’ultimo aggiornamento dei dati alla prima settimana di aprile dice che in Bergamasca i morti reali per tutte le cause sono stati 5.700, di cui 4.800 riconducibili al coronavirus. Sono circa 300 in più rispetto alla fine di marzo.

L’analisi approfondita si basa sulle cifre fornite da quasi tutti i Comuni: 196 su 243, che rappresentano il 91% della popolazione di tutta la provincia. Partendo da questa realtà è possibile, grazie al riferimento del tasso di letalità all’1,57% (già applicato nella prima parte dell’indagine), stimare i contagi complessivi. Dai 288 mila si passa, con l’ultimo aggiornamento, a 305 mila bergamaschi contagiati dal coronavirus.

Che abbia colpito soprattutto le fasce più anziane della popolazione è ormai chiaro. Quanti nonni hanno perso le famiglie bergamasche. Quanti anziani sono morti nelle case di riposo. In molti piccoli paesi, soprattutto nelle valli, è scomparsa un’intera generazione. Bergamo se n’è accorta subito. Ora arriva la conferma analitica, grazie ai dati diffusi da Istat che ha deciso di pubblicare un tempestivo aggiornamento sulla mortalità dall’1 gennaio al 28 marzo. Dai grafici si può analizzare l’impatto soprattutto sulla fascia di popolazione dai 65 anni in su: nella settimana del picco, quella del 21 marzo, la mortalità degli anziani è cresciuta addirittura dell’889% rispetto alla media degli ultimi cinque anni. L’unico aspetto positivo di questa rappresentazione è che la curva si è poi piegata verso il basso, nonostante il divario tra la mortalità attesa e quella di quest’anno sia ancora molto tangibile.

La situazione bergamasca è molto particolare nella sua drammaticità. In nessuna delle altre province il virus ha causato così tante morti. InTwig negli ultimi giorni ha esteso l’indagine anche a Brescia, Cremona e Milano oltre ad aver integrato i dati Istat delle altre province. Allargando lo sguardo a tutta la Lombardia risulta evidente la portata inferiore del contagio fuori dalla Bergamasca. In tutta la Regione si stima che siano poco meno di un milione di contagiati, intorno al 10% dell’intera popolazione. Mentre i morti sono 15mila, il doppio rispetto alle cifre ufficiali. «Da questa analisi territoriale emerge un asse verticale del contagio Bergamo-Brescia-Cremona - spiega Aldo Cristadoro, fondatore di InTwig e professore di «metodi digitali per la ricerca sociale» dell’Università degli Studi di Bergamo -. Dai dati dei decessi si conferma la presenza di due grandi focolai, uno in Bergamasca e uno nella bassa pianura lombarda, che hanno generato il contagio nel resto della regione. Più ci si allontana da queste aree e più il tasso di contagiati diminuisce».

Un altro studio, sempre sulla mortalità, è stato condotto dall’università di Bergamo che ha deciso di stimare i decessi reali sulla base dei necrologi pubblicati da L’Eco di Bergamo. «In attesa delle fonti ufficiali abbiamo cercato di evidenziare la differenza rispetto a un marzo “normale” digitalizzando tutte le necrologie - spiega Paolo Buonanno, professore di Economia dell’università di Bergamo, che ha condotto la ricerca insieme a Sergio Galletta e Marcello Puca -. Abbiamo ricavato informazioni preziose di 2.985 persone che purtroppo ci hanno lasciato. Da una nostra analisi i necrologi coprono circa il 60% dei morti effettivi, con alcuni limiti di distribuzione territoriale». Anche dalla curva di pubblicazione sembra che negli ultimi giorni le morti siano in calo. «Si è iniziato a intravedere il picco da metà marzo - continua Buonanno - poi dal 25 in poi registriamo una diminuzione. Ovviamente è un’indicazione parziale, ma da questi dati è evidente che l’eccezionalità di questo marzo». Un’eccezionalità che, lo speriamo tutti, non si ripeta mai più.

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