Ospedale degli Alpini all’esame Fase 2
Si valuta la chiusura a fine maggio

Il responsabile sanitario Valoti: «Emergenza posti letto cessata, ora monitoriamo la ripresa delle attività economiche: se i contagi non aumentano, smantelliamo». Ottantotto i pazienti accolti in un mese in Fiera, nessun decesso.

«La speranza è che non serva più», confida il responsabile sanitario Oliviero Valoti. E così, l’ospedale da campo dell’Associazione nazionale alpini (Ana) allestito alla Fiera di Bergamo potrebbe avviarsi verso la chiusura. «L’obiettivo è di tenerlo operativo sino alla fine di maggio – spiega Valoti –, poi valuteremo in base a quanto sarà accaduto da qui ad allora. È un presidio strategico, che s’era prospettato di realizzare per decongestionare gli ospedali bergamaschi nel momento di massima affluenza di pazienti Covid, ma che fin dall’inizio s’era deciso di tenere aperto per motivi precauzionali anche una volta terminato il culmine dell’emergenza. Questo perché si pensava potesse servire qualora nelle regioni partite in ritardo come contagi rispetto alla Lombardia si fossero raggiunti picchi preoccupanti. E, fortunatamente, ciò non si sta verificando. Il secondo motivo era il timore di un ritorno della recrudescenza del virus e il nuovo innalzamento del numero di contagi. E pure questa evenienza, per ora, non s’è verificata. Ma non scordiamoci che è appena partita la fase due, con la ripresa delle prime attività economiche. Così, ci siamo dati ancora un periodo cuscinetto per analizzare come si evolve la situazione. Se il numero dei contagi rimarrà tale che i pazienti possano essere accolti dagli ospedali, questo presidio verrà smantellato. Se, invece - ma speriamo di no - i contagi torneranno a crescere, valuteremo soluzioni diverse».

L’ospedale Ana alla Fiera è stato definito la nona torre del «Papa Giovanni» di Bergamo (l’ottava è il nosocomio di San Giovanni Bianco che fa parte della stessa Asst), del quale è in pratica un reparto esterno di terapia intensiva. Erano 142 i posti letto previsti originariamente, ma il presidio Ana ha sempre ospitato non più di una quarantina di pazienti. «Attualmente ne sono ricoverati 36. Non siamo mai arrivati all’operatività massima perché non serviva, per fortuna – ragiona Valoti, che dell’Asst Papa Giovanni è direttore dell’Emergenza intra-extra ospedaliera –. Non è questione di numeri risicati nel personale: se ci fossero serviti più medici e infermieri, la Protezione civile era infatti pronta a fornirceli per portarci a pieno regime».

Tre i moduli, tutti per pazienti Covid, anche intubati: uno gestito da Emergency, uno per malati meno gravi dove opera la quota di personale reclutato dal «Papa Giovanni» tramite i bandi della Protezione civile e della Regione, e uno sotto il controllo del contingente di medici, infermieri e tecnici russi, che proprio giovedì 7 maggio saluterà.

«Se ne andranno dopo aver svolto un ottimo lavoro. I pazienti curati da loro verranno trasferiti negli altri moduli», osserva Valoti. Tra questi c’è il cinquantenne bergamasco con traiettorie cliniche ad alto chilometraggio. Ai primi di marzo era stato accolto al pronto soccorso dell’Humanitas Gavazzeni. Era molto grave e venne intubato, ma era il periodo in cui a Bergamo e in Lombardia scarseggiavano i posti in terapia intensiva. «Così, grazie all’Unità di crisi istituita dalla Regione Lombardia, era stato trovato un posto in un ospedale dell’Umbria, dove è stato trasportato in elicottero – ricostruisce Valoti –. È sempre rimasto grave, ma poi si è cronicizzato. Gli hanno praticato la tracheotomia che lo aiuta a respirare. Da noi è arrivato il 30 aprile. Venerdì verrà dimesso e trasferito in una struttura adeguata alle sue esigenze».

Ottantotto sono i pazienti transitati dal 6 aprile, quando qui arrivarono i primi 4 contagiati gravi. Era iniziato tutto domenica 22 marzo, quando il padiglione B della Fiera di via Lunga era stato svuotato e s’era cominciato a stendere il pavimento in linoleum. Al lavoro i volontari della logistica Ana, con il direttore Antonio Tonarelli a dirigere le operazioni sotto la supervisione del direttore generale della Sanità alpina Sergio Rizzini. Serviva fare in fretta e così gli alpini chiesero aiuto agli artigiani bergamaschi: volevano 12 volontari, per lo più imbianchini e gente capace di montare pareti in legno; il presidente di Confartigianato Giacinto Giambellini di lì a poche ore si presentò con 80 persone. Il tam-tam alla fine richiamò quasi 300 volontari, molti dei quali tifosi atalantini della Curva Nord, che andarono a unirsi ai quasi 200 impiegati dall’Ana. In poco più di una settimana l’ospedale della Fiera era bell’e che pronto, e quello che è successo in quei giorni è diventato il paradigma della forza di volontà e della generosità dei bergamaschi. «Questa impresa resterà nella storia della città», ebbe a dire la direttrice generale del Papa Giovanni Maria Beatrice Stasi. A lavori ultimati, tre artigiani vollero mettere la ciliegina sulla torta a quest’opera, ricavando da due travi di legno una croce che andasse a dare dignità alla camera mortuaria. È bellissima, ma non è finora servita: gli 88 pazienti passati da qui sono tutti sopravvissuti.

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