Ricciardi: «Covid, il liberi tutti è un errore»

L’INTERVISTA. Via l’obbligo di quarantena: critico Walter Ricciardi, già consigliere dell’ex ministro Speranza. «Nuove varianti più contagiose, occorre scegliere sull’evidenza scientifica. Invece non ci sono tracciamenti».

«L’obbligo della quarantena per i positivi andava mantenuto, perché il Covid non è un’influenza e in America si sta diffondendo una nuova variante molto più contagiosa di quelle precedenti. Quello che sta accadendo in altre parti del mondo è indicativo di quello che succederà di nuovo anche in Italia e ancora una volta non saremo preparati». Parole di Walter Ricciardi, docente d’Igiene e Medicina preventiva dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e consigliere scientifico dell’allora ministro della Salute Roberto Speranza, ai tempi del Covid. Non si scompone, quando gli diciamo che in tanti nel Paese lo accusano di eccessivo allarmismo: «È la solita vecchia storia – dice – tra chi vuole vedere la realtà e chi vuole negarla».

Lei dunque avrebbe mantenuto la quarantena.

«Sì perché il Covid, lo ripeto, non è un’influenza, che già di per sé non è da trascurare, ma una malattia così insidiosa che se colpisce una persona fragile ha un tasso di letalità dieci volte superiore rispetto all’influenza. E ancora: la Francia, che è uno dei Paesi che dispone dei dati, ha due milioni di persone con il Long Covid. Per non parlare della Gran Bretagna e degli Stati Uniti».

Lei pensa che l’obbligo sarebbe stato rispettato?

«Il problema non è il rispetto dell’obbligo, ma fare le cose basandosi sull’evidenza scientifica. Certo, il nostro Paese non è particolarmente propenso a rispettare le regole, però il problema è che la sanità pubblica si trova in una crisi senza precedenti, sia dal punto di vista della prevenzione che della cura. E se non prende decisioni basate sull’evidenza scientifica, cessa di essere il punto di riferimento dei suoi cittadini, condannandone molti a pericoli che potevano essere evitati».

Quanti tamponi si possono stimare oggi in Italia?

«Pochissimi e soprattutto privati. Non c’è più la spinta della sanità pubblica e questo lo capisco, perché non c’è più neanche la pressione dei primi due anni. Ed è anche la conseguenza della situazione immunitaria data dai vaccini e dal fatto che il Covid ha contagiato un numero importante di persone. La situazione è diversa rispetto al passato, però in Italia non abbiamo più dati né sui casi, né sui tamponi, né sulle vaccinazioni».

E non esiste più neanche un tracciamento.

«Non esiste più nulla. Ci si è arresi a una situazione di fatto, con la retorica del “lasciamoci tutto alle spalle”, e alla fine anche i pochi che sono attenti vengono condannati ad essere disattenti».

Lei ha parlato di una variante molto contagiosa presente negli Stati Uniti che presto potrebbe arrivare in Europa. Con quali rischi?

«Quello che sappiamo è che il virus sta accelerando le sue capacità di trasformazione, cercando di aggirare le nostre resistenze immunologiche. Non sappiamo ancora quanto è aggressiva, ma è un elemento da non sottovalutare».

Quindi non sappiamo neppure se i vaccini che abbiamo a disposizione saranno ancora efficaci.

«È molto probabile che quelli modificati contro le varianti più recenti lo siano, ma non ne siamo certi al 100%. Va verificato».

Il Sistema sanitario italiano sarebbe in grado, oggi, di fronteggiare una nuova pandemia?

«È certamente più pronto perché ha un’esperienza che prima non aveva. Determinati meccanismi di isolamento e di protezione degli operatori sarebbero di sicuro più rapidi. In realtà la situazione è addirittura peggiore rispetto al pre-Covid. C’è una penuria di operatori e non si riesce a fare fronte alle esigenze correnti, figuriamoci alle emergenze. Poi è chiaro che l’Italia è un Paese molto reattivo; di fatto però la lezione non l’abbiamo imparata, perché invece di investire e di rafforzare il Servizio sanitario, ce lo ritroviamo più debole».

Lei avrebbe proseguito con la vaccinazione di massa?

«Quando si vaccina bisogna valutare tre elementi: la capacità dei vaccini di essere protettivi, e non c’è dubbio che questi lo sono; lo stato di salute dell’ospite, ovvero della popolazione umana, che in questo momento sta perdendo le sue protezioni, e quindi andrebbe rivaccinata; e la capacità del virus di riprodursi. Le decisioni devono essere prese sulla base di questi tre elementi. Prevedo una rivaccinazione per le persone fragili in autunno per potenziare le difese immunitarie, anche se hanno già avuto 4-5 dosi di vaccino».

Nel 2020 e nel 2021 si parlava di diffusione del virus legata alla stagionalità. Ci dobbiamo aspettare qualcosa di nuovo questo inverno?

«Sicuramente. Quello che succede nel resto del mondo è indicativo di ciò che accadrà anche qui. In America c’è un aumento di casi del 50% ogni settimana e non siamo ancora in inverno. La stessa cosa sta succedendo in Australia. Come sempre torneranno i germi e ancora una volta non saremo preparati».

E come dovremmo prepararci?

«Le faccio un esempio: i Paesi del Nord Europa e gli Stati Uniti stanno potenziando i sistemi di ventilazione nelle scuole; in Italia non si è fatto ancora niente».

Sì è tanto indagato sulla condotta dei politici, soprattutto durante la prima fase della pandemia, ma i procedimenti sono stati tutti archiviati. Lei che idea si è fatto?

«Ci sono state varie fasi della pandemia; nella prima l’Italia ha fatto un lavoro straordinario, reagendo per prima dopo la Cina alla situazione catastrofica in atto, ed è stata presa ad esempio da moltissimi Paesi. Poi c’è stata una seconda fase, in cui invece non si sono mantenute una serie di misure importanti e purtroppo la seconda e la terza ondata sono state peggiori della prima. Sostanzialmente l’Italia, nella prima parte, ha fatto benissimo, poi un po’ meno».

Lei è stato per due anni consigliere dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza; se oggi fosse consigliere di Orazio Schillaci, quale sarebbe il suggerimento che si sentirebbe di dargli?

«Siccome so che lui è genuinamente a favore della sanità pubblica, il consiglio che gli darei è di dimostrarlo con i fatti, perché ciò che serve al Servizio sanitario nazionale è la concretezza, a partire da maggiori finanziamenti. E poi gli suggerirei di realizzare le cose che dice, che sono del tutto condivisibili, ovvero pagare di più i medici e fare un programma straordinario delle assunzioni».

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