Arte e sacro, un dialogo da recuperare

L’intervista Il curatore per il settore design della Triennale di Milano Marco Sammicheli: «Artisti e religiosi si parlino affinché le chiese rispondano anche nell’estetica allo spirito del tempo».

Non sono semplicemente architetture. Progettare una chiesa significa incrociare un complesso di fattori: identità, riconoscibilità, misticismo, accoglienza, comunità. E se le architetture religiose storiche erano ormai familiari e rassicuranti, nel mondo che cambia rapidamente le sperimentazioni contemporanee sono sempre molto controverse. Aspettando «Le Vie del Sacro» - il progetto formativo e lavorativo per giovani dai 19 ai 30 anni, affidato a Fondazione Bernareggi e condiviso da Diocesi di Bergamo e di Brescia, per dare «nuova voce» al loro vasto patrimonio artistico in occasione della Capitale della Cultura 2023 - il 27 giugno alle ore 20.45, nella Chiesa dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, la Fondazione propone un incontro aperto a tutti con Marco Sammicheli, curatore per il settore design, moda e artigianato della Triennale di Milano e direttore del Museo del Design Italiano, che dialogherà con don Giuliano Zanchi sulle relazioni tra l’arte sacra e l’uomo di oggi. Dà il titolo alla serata «Disegnare il sacro» (Ed. Rubbettino, 2016), il saggio in cui Sammicheli esplora alcune esperienze di architettura sacra contemporanea. Gli abbiamo chiesto qualche affondo su questo tema complesso e di stringente attualità.

Che cosa si intende per design sacro?

«Una volontà progettuale che vede insieme da un lato architetti, designer e artisti, dall’altro la committenza religiosa che si rivolge a queste energie per sintetizzare vicino a un’estetica contemporanea un’architettura, un’arte e un arredo, che poi sono le chiese e tutto ciò che contengono. Per tutta la sua storia la Chiesa è stata capace di creare luoghi dove le comunità potessero sentire un senso di appartenenza ma che fossero anche luoghi accoglienti, pur nella maestosità e qualità del manufatto. Dall’ultimo terzo del secolo scorso si è verificato una sorta di scollamento con questa tradizione importante e ricca di buone pratiche. Qualche anno fa ho scritto il mio libro proprio con la volontà di mappare dei buoni casi e riaccendere il dibattito, perché tanto la comunità di artisti, architetti e designer, quanto quella degli addetti ai lavori, come i liturgisti, i religiosi, le commissioni di arte sacra delle diocesi, tornassero a riflettere sull’opportunità di parlarsi di nuovo, perché le chiese possano recuperare la capacità di rispondere allo spirito del tempo».

Ad oggi il design sacro è un problema o una sfida? E Bergamo, che conta già diverse sperimentazioni significative, come si colloca?

«Lo stato dell’arte ha una schiacciante e rilevante maggioranza di fallimenti, casi in cui questo dialogo o non c’è stato o ha portato a risultati di scarso livello. Ma già nel 2014, quando fui invitato alla Biennale di Venezia, portai Bergamo come esempio virtuoso di Diocesi, non solo italiana ma internazionale, che aveva iniziato a ripensare profondamente i rapporti tra chiesa e comunità creativa. Il lavoro che conduce l’architetto Paolo Belloni, progettista tra le altre anche della nuova chiesa e centro pastorale di Cavernago, è positivo per la cura e attenzione nei confronti della storia del contesto, per la volontà di accompagnare la comunità così come il committente-sacerdote ad abbracciare la costruzione di una chiesa che dovrà essere da quel momento in poi una nuova, bella casa di una comunità. Viceversa, se guardiamo agli episodi di edifici culto che hanno coinvolto importanti architetti della scena internazionale, quali Mario Botta e Vittorio Gregotti, sono luoghi che non hanno saputo agganciarsi al contesto e alle esigenze di una comunità. Magari destano curiosità e interesse di un addetto ai lavori, ma alla prova della realtà qualcosa non ha funzionato».

Un altro nodo complesso è il rapporto tra l’edificio di culto e il tessuto urbano in cui si inserisce.

«C’è il tema della riconoscibilità e quello della confusione e del livellamento dell’edificio sacro, che quando è costruito potrebbe somigliare a un edificio residenziale o a un museo. Non dico che gli edifici di culto contemporanei debbano avere un’iconografia immediatamente riconoscibile perché legata a codici del passato. Oggi il sacro va cercato anche attraverso elementi che non sono quelli dei nostri genitori e nonni. Tuttavia il tema della facciata e del sagrato sono fondamentali. Ricucire con il tessuto urbano un’idea di piazza, di luogo che sia membrana di comunicazione tra comunità religiosa e laica, è un tema che non si può trascurare. Così come l’edificio di culto contemporaneo deve comunicare in facciata un senso di accoglienza e di appartenenza, anche nei materiali o nei codici costruttivi».

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