Il nuovo Sandokan? Un bergamasco ha riportato il personaggio di Salgari in tv

L’INTERVISTA. Lo sceneggiatore bergamasco Davide Lantieri racconta il progetto del ritorno di Sandokan sulla Rai: «Avventura ed esotismo con un respiro attuale».

Dopo anni di attesa e un’aspettativa crescente alimentata dall’anteprima alla Festa del Cinema di Roma, «Sandokan» è finalmente tornato sul piccolo schermo. Dal primo dicembre, infatti, Rai 1 propone la nuova serie in quattro serate (le prossime andranno in onda lunedì 8, 15 e 22 dicembre alle 21:30). Si tratta di una produzione monumentale di Lux Vide,

società del gruppo Fremantle, in collaborazione con Rai Fiction e diretta da Jan Maria Michelini e Nicola Abbatangelo. Il debutto non ha deluso: 6,2 milioni di spettatori e il 33% di share, uno degli esordi più forti della stagione. Girata quasi interamente in Italia, la serie vanta un cast internazionale di grande richiamo.

A interpretare Sandokan è il celebre attore e modello turco Can Yaman; al suo fianco Alessandro Preziosi nel ruolo di Yanez de Gomera, Ed Westwick in quello di Lord James Brooke e l’esordiente Alanah Bloor nei panni di Lady Marianna, la Perla di Labuan. L’ambizione del progetto è chiara: dare nuova vita all’epopea avventurosa di Emilio Salgari, rinnovandola in chiave moderna senza tradirne lo spirito originale.

Tra gli autori della sceneggiatura compaiono Alessandro Sermoneta, Scott Rosenbaum e... un bergamasco. Parliamo di Davide Lantieri, classe 1980, studi in città al Liceo Classico Paolo Sarpi, laurea in Storia all’Università degli Studi di Trieste e diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Lantieri ha scritto una dozzina di film, tra cui «Santocielo» (2023), «Il Grande Giorno» (2022), «3/19» (2021), «18 Regali» (2020), «Odio l’estate” (2020),«L’intrepido» (2013), oltre alle serie «I delitti del Barlume» e «Monterossi». Abbiamo rivolto alcune domande all’autore che ha contribuito alla rinascita televisiva del leggendario pirata della Malesia.

Innanzitutto, quando è nata la passione per la cinematografia?

«Dopo l’università ho lavorato per un documentario prodotto da Lab80. È stato lì che ho capito quanto mi piacesse raccontare per immagini. Un’amica mi ha poi suggerito di provare l’ingresso al Centro Sperimentale. Sono stato ammesso e nel 2005 mi sono trasferito a Roma».

Com’è arrivata la proposta di lavorare a «Sandokan»?

«La chiamata è arrivata direttamente da Lux Vide, con la richiesta di produrre il soggetto di serie. Io e Alessandro Sermoneta ci siamo messi al lavoro, realizzando un soggetto dettagliato. È stato faticoso ma anche stimolante. L’obiettivo è stato da subito quello di dar vita a una storia avventurosa e al contempo sentimentale. Come modelli ci siamo dati alcuni classici della Disney, ad esempio “Il Re Leone”, ma pure grandi film dal sapore epico come “Lawrence d’Arabia” o “Master & Commander”».

Qual è stato l’approccio nel riprendere un classico così radicato nell’immaginario collettivo per svilupparlo in chiave moderna?

«Devo ammettere che non conoscevo benissimo Salgari, quindi ho iniziato a leggere e studiare le sue opere. Mi sono subito accorto di quanto, pur essendo iconici, certi romanzi possano risultare datati agli occhi delle nuove generazioni. Da questa consapevolezza è nata l’idea di non limitarci a un adattamento, ma di “smarcarci” un po’. Il nostro intento è stato quello di scrivere una sorta di prequel: raccontare come Sandokan diventi Sandokan».

In che modo è stato «aggiornato» il mondo salgariano con taglio cinematografico?

«Abbiamo conservato gli stilemi fondamentali e gli elementi più riconoscibili dell’universo di Salgari, cercando però di dare alla storia un respiro più attuale. Chi sta guardando la serie ritroverà l’avventura, l’esotismo, l’azione, ma filtrati attraverso un linguaggio più moderno e dinamico. Lo definirei un Sandokan “svecchiato” pur restando fedele all’originale».

Parliamo proprio del protagonista. Che tipo di Sandokan ritroviamo? È diverso da quello interpretato nel 1976 da Kabir Bedi?

«Sandokan è una figura pop, ribelle, direi quasi anarchica. Giovane, impulsivo, carismatico e animato da un forte desiderio di libertà. In televisione naturalmente emerge la dimensione più emozionale, fatta di amore, amicizia e avventura. Ma Sandokan, oltre ad essere un personaggio rivoluzionario, è sorprendentemente attuale: la lotta contro il potere costituito, l’oppressione coloniale, la difesa della terra... sono tutte questioni contemporanee che toccano la globalizzazione, la tutela ambientale, l’identità culturale. Sandokan non è solo un personaggio, è un simbolo di libertà che attraversa le generazioni».

Cosa può raccontare della produzione sul set?

«È stato un progetto imponente. Le riprese si sono svolte tra l’isola della Réunion, il Lazio, la Toscana e la Calabria. A Lamezia Terme, per esempio, è stata ricostruita la colonia inglese di Labuan. Un’importante innovazione riguarda le riprese sulla nave: tutto girato in studio, con ledwall e fondali digitali. Per l’Italia è una novità significativa, direi un salto tecnico che innalza la serie a un livello internazionale».

E adesso possiamo aspettarci nuove avventure della Tigre della Malesia?

«La seconda stagione è già in lavorazione. Ma non posso aggiungere altro...».

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