Negli «Echi di strade perdute» le tappe del viaggio parallelo di Salbitani

MOSTRA. Dal 13 giugno negli spazi dell’ex monastero ad Astino verranno esposte 52 immagini in bianco e nero di un maestro della fotografia italiana. «Sono un sognatore di mondi migliori, un po’ come Robin Hood».

Dopo anni di silenzio, che hanno fatto di Roberto Salbitani (Padova, 1945) un maestro della fotografia italiana che viaggia nell’ombra, l’autore sceglie Astino per tornare a raccontarsi al pubblico, con una mostra e un importante libro (Ed. Electa) che condividono il titolo «Echi di strade perdute». È il nuovo appuntamento estivo con la fotografia che esplora il paesaggio, promosso da Fondazione Mia e pensato da Corrado Benigni per gli spazi dell’ex Monastero dove, dal 13 giugno al 16 novembre, saranno esposte 52 immagini in bianco e nero, molte delle quali inedite, che hanno come protagonista il paesaggio urbano, tra i segni della metropoli, dal centro alle periferie fino agli spazi intermedi e dimenticati tra città e campagna.

Il percorso di ricerca

Una ricerca da sempre al centro dell’obiettivo di Salbitani, a cominciare dal progetto «La città invasa», ritenuto un caposaldo delle nuove correnti espressive della fotografia apparse negli anni Settanta, e di cui la mostra espone diverse immagini. E poi, «Viaggio» (1974-1982), «Viaggio in terre sospese» (1975), «Viaggio nel sud-Italia» (1981-1982), «Il punto di vista del topo» (1986-1992), «Autismi» (1997-2007): i «titoli»« dei suoi percorsi di ricerca sono una dichiarazione dei temi più indagati, quali la denuncia della disumanizzazione delle moderne città-spettacolo, sempre più sopraffatte dal consumismo, e la dimensione esistenziale del viaggio in quanto modalità di vita esplorativa.

Visione frammentata

«In queste fotografie – spiega il curatore Benigni - l’autore mostra quella frammentazione della visione tipica della vita metropolitana, nella quale i manifesti pubblicitari, le vetrine, gli specchi – anche quelli retrovisori delle automobili –, i diversi ostacoli che si frappongono alla veduta unitaria di una scena o di un edificio divengono motivo primario della ripresa, nella restituzione della sensazione labirintica che pervade la vita di ogni abitante di ogni città del mondo». Se, dunque, le mostre che sino ad oggi si sono avvicendate ad Astino ci hanno accompagnato alla scoperta del paesaggio inanellando le ricerche di autori – da Ghirri a Basilico a Chiaramonte - che hanno partecipato al celebrato progetto fotografico collettivo «Viaggio in Italia», pensato da Ghirri per proporre una modalità inedita di guardare al paesaggio, con la mostra di Salbitani il focus si sposta su un «viaggiatore parallelo», che si è volontariamente sfilato da quel progetto scegliendo di ricercare e perseguire una sua rivoluzione dello sguardo, in solitaria, procedendo sempre «in direzione ostinata e contraria».

Un fotografo libero

Per Salbitani, infatti, vita e fotografia coincidono all’interno di una personalissima dimensione del viaggio: «Questa parola magica, utilizzata con tanta superficialità, è invece così importante nella mia vita che non riesco a definirla completamente. – ci confessa il fotografo - Non ho mai avuto né casa né soldi. Ho sempre fatto il fotografo libero. Col tempo ho capito che non è perché sono un sognatore di mondi migliori, un po’ come Robin Hood. Sono sfuggito a un tetto per la possibilità che mi togliesse la sorpresa, lo stupore. Come diceva Stevenson “viaggio per andare”, che significa essere sempre aperti alla conoscenza e all’esplorazione».

La combinazione di segni

Unica compagna del suo viaggiare è la macchina fotografica: «Un viaggiatore non ha bisogno della macchina fotografica, può viaggiare con i suoi occhi e con il pensiero. – prosegue Salbitani - Io stesso l’ho comprata senza sapere bene perché, ma poi l’ho usata per 50 anni. La fotografia non può sostituire e registrare certi momenti che semplicemente accadono lungo il viaggio. Emozioni e pensieri non si possono fotografare. La fotografia prende spunto dalla vita ma non viceversa. Tuttavia, riesce ad aggiungere qualcosa, a sintetizzare quel piccolo prodigio che è la combinazione di segni che ti riserva la realtà. Il mio immaginario ormai è diventato fotografico e mi consente di vedere cose che entrano in questo magico rettangolo in cui tutto tiene. Quello che spero è che chi osserva le mie fotografie si proietti dentro la scena e immagini a modo suo quello che è successo».

L’insegnamento itinerante

Senza dimenticare la parte importante che nella vita e nella professione di Salbitani ha sempre avuto l’insegnamento. Nel 1980 fonda il Centro Fotografia Giudecca nell’omonima isola veneziana dove fino al 1985 organizza programmi integrati di fotografia comprendenti corsi, esposizioni, incontri, lavori sul territorio e archivi storici; nel 1986 dà vita a Mogginano, in provincia di Arezzo, alla Scuola di Fotografia nella Natura, dove conduce stage fino al 1996. Successivamente la scuola si trasferisce in altre località immerse in paesaggi naturali: Tredozio (Faenza), La Montagnola (Siena). Dopo il 2000 i corsi confluiscono nelle attività del C.R.A.F di Spilimbergo ed attualmente si svolgono nel periodo estivo nei pressi di Spoleto. Dagli anni ‘90 inizia a condurre i suoi «Corsi in viaggio» che lo porteranno a praticare una forma di insegnamento direttamente sul campo. «Da me non vengono per apprendere la tecnica – precisa Salbitani - ma per imparare ad esprimersi visivamente e fotograficamente. Ogni persona ha il suo mondo e cerchiamo di far emergere gli aspetti positivi della personalità e, soprattutto, le cose rimaste un po’ sepolte».

© RIPRODUZIONE RISERVATA