«Racconto il muro della vergogna»

L’APPUNTAMENTO. L’attrice Kasia Smutniak il 21 novembre presenterà al «Conca Verde» di Bergamo il suo primo film da regista, dedicato al confine di 186 km costruito in Polonia nel 2022.

L’attrice e regista polacca Kasia Smutniak martedì 21 novembre, alle 20.45, sarà al Cinema Conca Verde di Bergamo, in occasione dell’uscita del suo primo documentario, «Mur» (1 ora e 50 minuti). Il film verrà replicato anche venerdì 24 novembre alle 18.45 e martedì 28 alle 20.45 sempre presso il Conca Verde (prevendite consigliate e disponibili su sas.18tickets.it).

Kasia Smutniak, attrice di tante importanti opere italiane, esordisce alla regia con un film che è allo stesso tempo un diario intimo e una denuncia. Siamo nel marzo 2022, da pochi giorni la Russia ha invaso l’Ucraina e l’intera Europa si è mobilitata per dare asilo ai rifugiati. Il Paese che si è distinto per tempestività e generosità è stata la Polonia, lo stesso Paese che ha appena iniziato la costruzione del muro più costoso d’Europa per impedire l’entrata di altri rifugiati. Una striscia di terra che corre lungo tutto il confine bielorusso, chiamata zona rossa, impedisce a chiunque di avvicinarsi e vedere la costruzione del muro.

Il tema del film

Cercando di riconciliarsi con il proprio passato, Kasia Smutniak si interroga sull’ipocrisia dell’Europa moderna. Parla di muri visibili e invisibili, insormontabili e costruiti appositamente per dividere gli esseri umani. Si interroga sull’accoglienza e sul soccorso che un continente democratico deve compiere. Il documentario è stato presentato in anteprima mondiale al Festival di Toronto e al Festival di Roma. Ora arriva nelle sale con Luce Cinecittà e a dicembre nella stessa Polonia.

«Quello che stava accadendo nel mio Paese ad un certo punto non riuscivo più ad accettarlo, a stare da parte – ha raccontato l’attrice –. Già dopo aver accompagnato Diego Bianchi per un reportage di “Propaganda Live” sui migranti che dal confine bielorusso cercano di entrare in Europa dalla Polonia, avevo sentito che stava scattando qualcosa e così ho deciso di ascoltare il mio io profondo e sono tornata a casa». Ha girato il documentario in prima persona, con attrezzatura ultraleggera di telefonini e piccole macchine cinematografiche. Un viaggio pericoloso, sfidante, con «l’urgenza di documentare quello che si stava cominciando a costruire, nel silenzio generale, compreso quello dei giornalisti, ossia un muro di confine in acciaio lungo 186 chilometri e alto 6 metri tra l’europea Polonia e la Bielorussia. Un muro divisivo come sono tutti i muri, come quello che sta accadendo in questi giorni continua a dimostrare, un muro che ricordava quello del ghetto ebraico davanti al quale sono cresciuta». Smutniak, accompagnata da Marella Bombini, si avventura nella zona rossa, nei boschi dove i migranti provano a fuggire verso l’Europa, rimpallati esattamente come in «Green Border» di Agnieszka Holland tra Polonia e Bielorussia in situazioni di totale disumanità.

In «Mur», Smutniak ha fatto una scelta registica precisa nel suo bell’esordio: non fa vedere i migranti, «volevo che il mio punto di vista fosse lo stesso degli spettatori, e mi sembrava il modo più sincero per raccontare questa indicibile realtà».

Ed effettivamente «Mur» è un documentario asciutto, che mostra la disumanizzazione di tutto, ma non si vede nulla. Smutniak si sporca le mani, corre dei rischi, vive l’impegno dei volontari attivisti che sul posto fanno da presidio civile, conosce Silvia, una attivista italiana instancabile, e tanti altri.

Da un viaggio così come si torna? «Diversi sicuramente, i miei canali emozionali si sono aperti e ho deciso di dedicare la mia energia a poter raccontare storie che secondo me sono urgenti come questa - risponde la regista -. Mi sono sentita sottovalutata tante volte, ora si è abbassata un po’ la guardia, voglio raccontare storie e prenderne parte». «Mur» non resterà il suo unico film, lascia intendere.

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