L’antieroe di Piperno in cerca
di colpe per la sua infelicità

Di chi è la colpa della propria cronica permeabilità al senso di colpa. Del proprio dolorosamente percepito e vissuto amletismo. Di quell’incrocio fatale fra timidezza e viltà che diventa invalidante, bloccante. Della propria infelicità.

«Di chi è la colpa», ultimo, mal perdibile romanzo di Alessandro Piperno (Mondadori, pp. 434, euro 20), a cinque anni dal precedente «Dove la storia finisce», si presenta come autobiografia, dalla fanciullezza ad un’inoltrata, per più versi infruttifera adultità, de «il nostro eroe»: come ironicamente si autodefinisce, almeno in un luogo, il personaggio che dice Io, altrimenti consegnato a significativa, sistematica anonimia. Magrolino, occhiali da secchione, perfetto prototipo di bambino, poi adolescente solitario e un po’ solipsista, il Nostro trova nella musica, nell’immaginazione, nel mai pago scandaglio della psicologia propria e altrui, una forma di autosufficienza redentiva.

Con questo bel bagaglio di inclinazione introspettiva, perplessità esistenziale, scarsissima disposizione a «prendere in mano le situazioni», lucido-disingannata incapacità a «raccontarsela», il nostro anti-eroe si trova in inopinata zona di intersezione fra due blocchi familiari decisivamente diversi: mamma e papà in croniche, mortificanti difficoltà economiche, protagonisti di scenate notturne all’arma bianca, che inducono il bambino e ragazzo a una forma di autoclausura. E, dall’altra parte, l’affollata tribù ebraica dei Sacerdoti, famiglia d’origine della madre, che, specie attraverso gli uffici del Pigmalione zio Gianni, inizia il Nostro alle delizie dell’edonismo.

Nella pullulante genealogia di questi ultimi, da cui la madre, per cause sempre taciute al figlio, si è allontanata per vent’anni, il Nostro incontra Francesca, che, con processo di innamoramento antipodico all’originale («ce fut comme une apparition»), diventerà la sua Madame Arnoux. Non «coup de foudre» ma fascinazione dapprima intermittente, insinuante, di fronte a una bellezza volutamente nascosta, se non mortificata: poi, dopo notte d’amore a Ny, pensiero ossessivo, oggetto privilegiato del desiderio, pulsione inappagata. Non a caso, nell’ultima parte, si affoltano riferimenti espliciti all’«Education sentimentale» (e Piperno, a Tor Vergata, insegna Letteratura francese). Errore, però, leggere il romanzo con preminente attenzione alla trama. Il punto fortissimo sta nelle capacità di scrittura.

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