Salvezza e speranza nei racconti sulla fine del mondo

«Si era, come sempre, alla fine del mondo»: Enzo Fileno Carabba sceglie una frase di Borges per offrire una chiave di lettura de «L’arca di Noè» (Ponte alle Grazie), rilettura simbolica che parte dalla Bibbia e arriva ai giorni nostri. «Nell’arca - scrive Fileni - gli esseri viventi impararono insieme il trucco per rinascere. Quello che appresero in quel tempo dobbiamo cercare di ricordarlo adesso». Lo scrittore prende in prestito una delle storie più antiche ed evocative e la reinterpreta con freschezza e attualità, calandola nella contemporaneità: il diluvio è un’immagine che si adatta ad ogni grande crisi.

Poetico, evocativo, questo re-telling spinge a chiedersi, per esempio «cosa merita di essere salvato», e invita alla speranza: «quando sembra che il mondo sia finito, è il momento di costruire un’arca per farlo ricominciare». C’è un diluvio al contrario ne «Il signore delle acque» (Nutrimenti) di Giuseppe Zucco: non piove più, l’acqua si concentra nel cielo formando una massa sempre più pesante. In questa atmosfera apocalittica un bambino cerca di orientarsi nella confusione che afferra anche i suoi genitori. Prendendolo per mano l’autore cerca le risposte alle grandi domande della vita, per capire cosa resti «quando non abbiamo più niente».

La consapevolezza di una catastrofe imminente attraversa anche «Incontriamoci alla fine del mondo» di Nadia Mikal (Hot Spot - Il Castoro): cambia gli equilibri e le relazioni tra i personaggi. Al centro una famiglia che cerca di ricomporsi superando le divisioni proprio perché «il mondo sta per finire». Invece di arrendersi alla disperazione, dice al lettore, meglio coltivare - sempre e comunque - la gentilezza e l’amore.

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