«Sul confine», un giallo ironico legato a Bergamo

Il libro. Il romanzo d’esordio di Alberto Marzocchi, giornalista e maestro di sci di Piazzatorre

«Certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano». Lo diceva Antonello Venditti, all’inizio degli anni Novanta, in una canzone che ha saputo attraversare il tempo, accompagnando generazioni di giovani e meno giovani. Ed è un verso che ben si adatta al percorso affettivo - e personale - di Alberto Marzocchi. Classe 1990, ha lasciato l’alta Val Brembana dopo la maturità, ma col cuore - e la testa - vi fa ritorno appena può: «Ho ancora la residenza a Piazzatorre. E la sposterò solo se costretto» scherza. Non è un caso che il suo romanzo d’esordio, intitolato «Sul confine - Una storia di giornalisti, ubriaconi e spie cattivissime» (edito da Scatole Parlanti), guardi alla montagna e, qui e là, sia pieno di riferimenti a Bergamo e alla sua provincia.

«Si tratta del mio secondo libro - racconta - ma il primo di narrativa. È un giallo atipico, perché nelle mie intenzioni dovrebbe divertire il lettore. In questo senso mi sono ispirato allo stile irriverente di Joe Lansdale e, per restare in Italia, al linguaggio colloquiale, quasi infantile, di Paolo Nori».

L’atipicità di «Sul confine» sta anche nel contesto creato dall’autore: «I fatti si svolgono nel 2055 - spiega Marzocchi - in un’ambientazione distopica. La distopia però non riguarda tanto la tecnologia, che mi sono immaginato tutto sommato simile alla nostra, quanto la società. C’è un governo dispotico, l’Unione europea non c’è più e sta per scoppiare una guerra tra Italia e Francia. In più, ho preso certi caratteri della nostra cultura e li ho portati alle estreme conseguenze: le persone si ammazzano di alcol dalla mattina alla sera e sono poco interessate a ciò che succede intorno a loro». Marzocchi, che di professione fa il giornalista ed è, a proposito di montagna, maestro di sci, ha collaborato per quattro anni con «L’Eco di Bergamo», a 24 anni ha iniziato a collaborare con «Repubblica», poi con Radio Capital, finché nel 2018 Peter Gomez lo ha voluto nella redazione milanese de il Fatto Quotidiano. Tra i tre protagonisti del suo romanzo c’è un giornalista: «Tutti e tre sono personaggi improbabili, che vengono coinvolti in una vicenda che sarebbe oggettivamente seria, cioè un omicidio, se solo loro non la rendessero buffa - spiega Marzocchi -. Il giornalista viene dalla Bergamasca, anche se nella storia non viene specificato dove. E ha una figlia che è soprannominata, in modo affettuoso “Brachetì”. Era il nomignolo che mi dava mia nonna quand’ero piccolo: “Braca de òss” o, appunto, “Brachetì de òss”».

I tre sventurati, loro malgrado, finiscono per essere indagati dalle forze dell’ordine. Così a un certo punto sono costretti a compiere un viaggio apparentemente suicida. E qui ritorna la montagna: «Il clou del romanzo si svolge lungo il confine tra Italia e Francia, a Claviere, in alta Val di Susa - racconta Marzocchi - perché è tra quei due Paesi che sta per scoppiare il conflitto. Ma io, confesso, a Claviere non sono mai stato. Così mi sono immaginato che i miei personaggi salissero sul Monte Torcola, sopra Piazzatorre, e che i fatti più importanti del libro si svolgessero dove sciavo da piccolo».

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