Daniela Gennaro Guadalupi: «Il Festival Pianistico ora si deve allargare»

Interviste allo specchio. Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con Il Giornale di Brescia e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura 2023. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bergamasco e uno bresciano, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bergamasco. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bresciano, invece, vi rinviamo a Il Giornale di Brescia: il link in fondo all’intervista.

Daniela Gennaro Guadalupi inizia l’intervista a parti invertite. La presidente del Festival Pianistico attacca con una domanda: il festival è più dei bresciani o dei bergamaschi? In carica dalla primavera 2021, imprenditrice di lungo corso, con innumerevoli impegni e cariche, ha idee chiare, distinte e ambiziose. «Vorrei che ogni bergamasco si rendesse conto dell’asset culturale che da sessant’anni (età della creatura che per prima ha unito Bergamo e Brescia) viene alimentato con le risorse di questa città. Il fondatore è stato Agostino Orizio, la controparte bergamasca Filippo Siebaneck con l’Ente per il turismo».

E come pensa di procedere?

«Mi piacerebbe allargare l’associazione di Bergamo che divide a metà la quota del Festival con Brescia: vorrei che l’attuale associazione degli Amici del festival raggiungesse i 120 mila associati. Vorrei che ogni bergamasco sentisse il festival suo, che dentro di sé dicesse: “Questo festival è anche mio”. Finora l’associazione di Bergamo non ha molto una luce propria, mentre a Brescia la “Gasparo da Salò” ha una sua identità solida. Ecco vorrei che l’associazione diventasse più attiva sul territorio, un modello culturale che unisce e si raccorda con tutte le altre anime culturali. Quest’anno della Capitale della Cultura è quello giusto per farlo».

Ci sono passi già avviati?

«Abbiamo rinnovato il consiglio degli Amici del Festival. Stanno aderendo molte persone che amano molto la terra bergamasca e di diversa estrazione culturale, competenti o appassionate di musica: differenti professionalità che concorrano a valorizzare questa associazione. C’è un rapporto molto forte con la Fondazione Teatro Donizetti, che oltre a permetterci di far andare in scena, va oltre il mero scambio istituzionale. Abbiamo una comunanza di valori con Università: abbiamo stilato un protocollo con il precedente rettore. Lavoriamo per creare gli ascoltatori di domani, perché la musica va fatta comprendere, per essere apprezzata. Lo scorso anno abbiamo realizzato una prima serie di conferenze, quest’anno diventa una realtà articolata in maniera importante: in cartellone c’è un ciclo di conferenze-recital affiancate da arti performative, concerti e film proiettati in Sant’Agostino. Avevamo attivato anche una partnership con l’Università Cattolica di Brescia che però non si è ripetuta».

Quale è il suo motto?

«Allargare, allargare, allargare. Creare sinergie e contaminazioni tra le arti. Uniti si fa tanto, da soli si resta nella nicchia, nella “torre eburnea”. La nostra intelligenza è basata su stimoli veloci: dobbiamo ricordarcelo, se vogliamo avvicinare i giovani. In questa direzione vanno i sei concerti sul territorio, a San Pellegrino, a Mozzo, per la prima volta ad Almenno San Salvatore, Gorle, Vertova, Nembro. E la mattina successiva ci sono gli incontri con i ragazzi delle scuole primarie. Un colloquio con allievi del conservatorio, impostato in modo che si sentano liberi di far domande... Anche con il nuovo Politecnico della arti bergamasco c’è una stretta collaborazione».

Insomma lei vuol rilanciare alla grande lo spirito iniziale del Festival, pioniere di questa Capitale della Cultura a doppia cittadinanza?

«Sì. Anche nel consiglio del Pianistico auspico un allargamento molto importante».

Cos’è per lei la musica?

«Mi dà serenità, gioia e soprattutto una carica incredibile. Io ho un carattere un molto sfaccettato: la musica, questa musica è quella che si attaglia pienamente al mio carattere».

Perché allargare il Festival verso nuovi territori della musica?

«Perché i bergamaschi lo hanno sostenuto per 60 anni, il Festival è frutto del lavoro bergamasco. Io lo vedo come un’eredità, vitale; deve lasciare qualcosa, non è solo un evento che finisce. Questo 60° deve lasciare un’eredità al territorio. Le sinergie con l’Università, oltre al Daste e Spalenga, l’Accademia Carrara rinnovata, sono occasioni di contaminazioni incredibile. È un momento particolare per Bergamo, sta cambiando la geografia della città. Culturalmente si deve andare oltre: è molto, molto importante per la nostra città».

Leggi sul sito del Giornale di Brescia l’intervista a Pier Carlo Orizio, direttore artistico del Festival di Brescia e Bergamo, pubblicata anche sul nostro giornale «L’Eco di Bergamo» in edizione cartacea.

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