«Dopo il Covid il pubblico chiede teatro»

LA LIRICA. Alex Esposito: «C’è voglia di vivere le proprie emozioni Ma la politica guarda più al calcio». Sul giornale di Brescia l’intervista allo specchio con Annalisa Stroppa.

Basso-baritono d’esportazione, di casa al Teatro alla Scala, nella sua terra natale Alex Esposito è tornato per dar vita alla «Bottega Donizetti», fabbrica di nuovi talenti della lirica promossa dalla Fondazione Teatro Donizett i. La magia potente della sua voce segue la strada maestra di grandi interpreti come Michele Pertusi o Samuel Ramey. 
Lo sentiamo mentre è protagonista della produzione in corso de «Le contes d’Hoffmann» al Teatro La Fenice di Venezia.

«È un opera fantastica di Jacques Offenbach, molto intrigante. Ci sono diavoli, tentazioni, bambole meccaniche, uno spettacolo noir. È un’opera a episodi, ma diversamente dal Trittico di Puccini, dove le parti non sono correlate, qui il comune denominatore è il poeta Hoffmann. Il quale nell’osteria del teatro racconta tre suoi amori precedenti, tutte vicende entro le quali il diavolo ci ha messo lo zampino: ha ammazzato una donna, un’altra, appunto, era una bambola meccanica...».

I colleghi di Brescia che lavorano nella lirica?

«Mi viene in mente Riccardo Frizza, un grandissimo direttore d’orchestra nonché direttore musicale del Festival Donizetti Opera. Una figura che unisce Bergamo e Brescia: ho lavorato spessissimo con lui e ne ho una grande stima. Poi c’è Annalisa Stroppa, mezzosoprano, che da noi ha fatto “La Favorite” lo sorso anno e sta facendo una grande, meritatissima, carriera».

Come va la sua, attualmente?

«Mi stanno scritturando per fare personaggi diabolici, “Faust” di Gounod alla Fenice nel 2021, farò “Mefistofele” di Boito ancora alla Fenice. Da personaggio buono, come i mozartiani Leporello e Papageno, sto passando all’altra parte. Dà molta soddisfazione costruire i personaggi cattivi e iconici con i registi, anche sotto il profilo psicologico, o con riferimenti cinematografici».

Il cinema in questo contesto?

«Sì. Nell’”Atto di Antonia” de “I Racconti di Hoffmann” il protagonista cattivo sembra Nosferatu. Nell’”Atto di Olimpia” è un diavolo meno spaventoso, un personaggio alla Johnny Depp,; l’ultimo diavolo è molto cool: sono tre identità diverse del male».

Come sta la lirica, secondo lei?

«Dal punto di vista del pubblico è un momento felice, il teatro va esaurito in tutte le recite. Nei teatri italiani la richiesta dopo il Covid è molto alta. Sia per il teatro musicale che in quello di prosa. E questi sono numeri, non valutazioni. C’è voglia di vivere in presenza l’emozione. Lo streaming è bellissimo, senza di quello il teatro sarebbe morto in era Covid, ma il teatro è come la pizza, va mangiato e consumato nel posto dove è nato: la pizza se la porti a casa e la riscaldi non è più buona. L’opera in teatro è una cosa diversa rispetto al web, è come vedere il cinema in sala o in tivù. La gente vuole andare all’opera. Diverso è il versante amministrativo, chi governa dovrebbe darci una mano. La lirica è uno spettacolo costosissimo, e non perché siamo pagati tanto ma perché per alzare il sipario ci vuole uno sforzo di chi ci lavora, dalle maestranze ai tecnici, dai parrucchieri e i sarti a chi suona e canta: tante professionalità diverse. Chi canta in scena è la punta dell’iceberg. Con l’introito dei biglietti non si fa tanto».

I contratti sono fermi da decenni e quindi ci sono scioperi.

«Per i nostri governanti il teatro non è indispensabile per i cittadini. Personalmente provo una grande rabbia nel vedere tanti soldi buttati per il calcio, a causa del quale spesso si mette a ferro e fuoco una città; di contro il teatro in generale, prosa o danza, opera o operetta che sia, che dà comunque linfa all’animo umano, viene considerato non indispensabile. I politici si danno da fare per venire alla prima ma poi non se ne interessano più».

La Bottega Donizetti come va?

«Sono molto felice, l’ultima edizione l’ha curata il mezzosoprano Sonia Ganassi. Vedere giovani come il tenore Omar Mancini, ora a Berlino e al Gran Théâtre de Genève, o il baritono Lodovico Filippo Ravizza in Scala (“Nozze di Figaro”) e alla Fenice (“Don Giovanni”), mi fa pensare che la strada è giusta e ricca di soddisfazioni. Alla Bottega non si insegna a cantare, ma a stare sul palcoscenico».

Cosa servirebbe per cambiar approccio all’opera?

«L’educazione, la matematica e la musica sono ugualmente importanti, la storia del teatro non è meno importante della letteratura. Noi italiani siamo conosciuti all’estero per questo. I bambini sono come dei computer: a seconda dei file che inserisci, loro lo assorbono».

Leggi anche l’intervista ad Annalisa Stroppa su «L’Eco di Bergamo» in edizione cartacea e cartacea online o sul sito de «Il Giornale di Brescia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA