Sfida a distanza Lega-Pd. Salvini a Pontida: «Ecco i 6 impegni per il Paese». Letta: «No a un’Italia come l’Ungheria»

Verso le elezioni. Due idee di Italia contrapposte, separate anche fisicamente da una trentina di chilometri, e a sette giorni dal voto: la Lega con Salvini nel pratone di Pontida, il Pd con Letta in piazza a Monza.

Due idee di Italia contrapposte, separate anche fisicamente da una trentina di chilometri, e a sette giorni dal voto. Chi esalta «concretezza dei valori e buon governo locale» dimostrato sul campo dai sindaci e chi scommette tutto su autonomia regionale, flat tax e il revival dei decreti Sicurezza di salviniana memoria. Si è giocata sui contenuti - più che sui numeri, inevitabilmente a favore della Lega - la sfida delle «piazze» andata in scena in contemporanea in Lombardia tra la Lega di Pontida e il Pd dei sindaci che in centinaia hanno occupato la piazza dell’Arengario, l’antico palazzo comunale di Monza. In ballo c’è la rimonta agognata da entrambi i partiti, che potrebbe passare attraverso i voti del Nord, feudo storico dei leghisti ma ormai sempre più in bilico.

A contenderselo non è solo il partito di Giorgia Meloni (più favorito dai sondaggi) ma anche quello di Enrico Letta. Che non a caso è candidato pure a Vicenza e che scommette sulla carta del «tutto è ancora possibile» in vista del 25 settembre. Proprio per questo il segretario Dem sceglie di radunare centinaia di sindaci a Monza, l’ex roccaforte di Berlusconi (che ne ha acquisito nel frattempo la squadra di calcio) espugnata a giugno, «contro ogni pronostico», da Paolo Pilotto. La speranza del centrosinistra è, quindi, che la città porti fortuna alla competizione di domenica. Al contrario sul prato di Pontida trionfa la tradizione. Quella delle bandiere del leone di San Marco o di Alberto da Giussano o qualche camicia verde anche se manca il folklore del passato.

Eppure contro quel popolo si scaglia Letta: «Oggi Pontida è diventata provincia dell’Ungheria». La sferzata, che richiama il sostegno della Lega al presidente Orban, serve all’ex premier a distinguersi ancora: «Noi non vogliamo un’Italia che strizza l’occhio a Orban e Putin - rimarca Letta - Vogliamo un’Italia che sia nel cuore dell’Europa ed è fedele alle sue alleanze». Matteo Salvini dal palco replica con ironia: «Quelli di sinistra hanno una passione per la geografia, oggi è l’Ungheria, ieri la Russia». Ma su Budapest tiene il punto: «Lo rispetto le scelte democratiche di tutti».

Altra distanza è sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. È Francesco Boccia del Pd a incalzare il centrodestra:«Salvini e Meloni continuano a minacciare modifiche al Pnrr, ma hanno mai chiesto ai sindaci se sono d’accordo nel fermare gli investimenti già avviati?». La Lega - e Fratelli d’Italia in particolare - non hanno mai fatto mistero della necessità di ritocchi. I Dem attaccano pure sull’ambiente: «Dal centrodestra non sentiamo una parola», denuncia il sindaco di Milano, Giuseppe Sala e chiede: «Andate a dirlo ai familiari vittime della Marmolada e di quello accaduto nelle Marche che l’ambiente non è urgente».

Salvini a Pontida: «Siamo centomila»

L’ultima volta a Pontida aveva appena lasciato il Viminale dicendo addio al governo. Tre anni dopo, sullo stesso palco, Matteo Salvini è pronto a tornarci insieme al centrodestra. Anzi fa una promessa «Io, Giorgia e Silvio siamo d’accordo su quasi tutto e per 5 anni governeremo bene e insieme». E assicura: «Niente scherzi né cambi di casacca. Quello che c’è nel programma è sacro». E visto che «scripta manent» il leader della Lega approfitta di telecamere e fotografi, piazzati sul pratone del «sacro suolo» padano, e davanti a loro chiede ai suoi ministri e governatori di firmare i 6 punti in cui concentra le priorità del partito.

Un impegno «a prendere per mano questo Paese» sottoscritto davanti a 100 mila militanti. Tanti secondo la Lega al raduno nella Bergamasca, che segna il gran ritorno dopo la pausa del covid. A colpo d’occhio, in realtà, sembrano parecchi di meno e senza troppi clichè folkloristici del passato. solo magliette con il logo «Io credo in Matteo» e sul retro la data delle elezioni di domenica. In ogni caso nessuna sorpresa sui temi e tutti condivisi nel partito: dallo stop al caro bollette al nucleare, da flat tax al 15% e pace fiscale a Quota 41, dal ripristino dei decreti Sicurezza e una giustizia giusta fino all’autonomia regionale.

Ma è proprio sul cavallo di battaglia più sentito dai veneti - l’autonomia, ferma al referendum votato lì nel 2014 - che si scatena il governatore Luca Zaia sul palco. «Chiunque andrà a governare, non avrà scelta», avverte con tanto di coreografica maxi bandiera del leone di San Marco e la scritta «Autonomia subito» che fa srotolare dai suoi consiglieri durante il suo intervento. Lui intanto parla con un foulard con gli stessi colori rosso-oro infilato tra i passanti del pantalone. E infine avverte: «L’autonomia vale anche la messa in discussione di un governo». Stesso messaggio racchiuso in un cartello che qualcuno mostra nel prato: «Il 98,1% dei veneti vuole l’autonomia - si legge - ,Salvini siamo stanchi, ragionaci sopra». Parole (quelle di Zaia ma anche del governatore lombardo Attilio Fontana poco prima) che parecchi interpretano come un avvertimento tacito agli alleati di centrodestra. In particolare a Giorgia Meloni, da sempre più sorda all’autonomia e più attenta a presidenzialismo e centralismo. Oppure un penultimatum tutto interno alla Lega, nel duello spesso raccontato tra Salvini e Zaia, entrambi consapevoli che l’emorragia di voti, che si teme proprio in Veneto, potrebbe essere cruciale dopo il 25 settembre.

A parte la «sorpresa» della firma collettiva dei big del partito (probabilmente anche un escamotage per mostrare plasticamente la fiducia dei «suoi» nel leader, a scanso di divisioni interne), il «capitano» lancia un’altra chicca da Pontida: cancellare il canone Rai dalle bollette della luce, che fu introdotto dal governo Renzi e che secondo il partito vale 1,7 miliardi l’anno. «Si può fare, lo fanno altri 10 Paesi», spiega il segretario e rimarca: «Novanta euro per un pensionato e un disoccupato significa fare la spesa tre volte in più». Non dedica troppo spazio al rivale, quel Pd che prova a rubargli la scena scendendo in piazza ala stessa ora a Monza con centinaia di sindaci. «A Letta mandiamo un bacione. Ora è nervoso perché sta vedendo 100 mila persone. Ma Enrico, un panino con la salamella c’è anche per te», ironizza.

Si fa serio quando rende omaggio ai volontari e attivisti che non ci sono più, mentre ricorda le «radici» della Lega, alias Umberto Bossi e riconosce: «Siamo qui grazie a te». Il fondatore del Carroccio però non c’è: alla vigilia dei suoi 81 anni che festeggerà tra poche ore, ha deciso di restare nella sua Gemonio. E spiega l’assenza con una foto che il figlio Renzo posta su Facebook: «Un giorno per la famiglia, per gli affetti», scrive in posa con il sigaro in mano sul divano». Sul palco invece interviene anche se zoppicante per un brutto mal di schiena il ministro Giancarlo Giorgetti che ammonisce a smetterla con «cattiverie e dicerie sui social». E, fedele allo spirito governista, rivendica: «Stare al governo è un continuo equilibrio tra ciò che si vorrebbe fare e cosa in concreto si può far. Avremmo voluto fare di più, ci siamo impegnati al massimo delle nostre capacità ma sempre avendo nel cuore lo spirito di Pontida».

Letta a Monza: «Pontida, provincia dell’Ungheria»

A una settimana dal voto del 25 settembre il Pd tira la volata finale di questa campagna elettorale in Lombardia e sfida la Lega di Pontida dalla piazza centrale di Monza, con il segretario Enrico Letta e 500 tra sindaci e amministratori locali: «Non c’è nessun destino già scritto - rimarca Letta - se noi vogliamo che questo destino cambi, e noi lo vogliamo». A pochi chilometri di distanza da Pontida, 34 per la precisione, e nelle stesse ore in cui il popolo della Lega si ritrova sul «Pratone», Letta rimarca in modo netto la differenza con il centrodestra. «Pontida oggi è diventata provincia dell’Ungheria. Noi non vogliamo un’Italia che si leghi all’Ungheria come Salvini oggi ha voluto proporre di fare. L’idea che l’Italia diventi oggi un paese come l’Ungheria di Orban è esattamente l’opposto di quello che noi vogliamo fare. Non vogliamo che l’Italia segua il messaggio di Pontida, cioè il modello dell’Ungheria: non vogliamo che vada verso una democrazia che si sta perdendo, non vogliamo un’Italia che cede a Putin e Orban. Vogliamo una Italia che sia cuore dell’Europa e che sia fedele alle sue alleanze». Così il segretario del Pd, Enrico Letta, a margine di una manifestazione a Monza.

In piazza Roma a Monza, città strappata al centrodestra alle scorse comunali, dove Silvio Berlusconi si è candidato al Senato, ci sono tanti sindaci del centrosinistra, da quello di Milano, Beppe Sala, a quello di Firenze, Dario Nardella, fino a quelli di Bergamo, Giorgio Gori e alla sindaca di Ancona, Valeria Mancinelli, mentre Roberto Gualtieri, sindaco di Roma e Antonio Decaro, primo cittadino di Bari e presidente di Anci sono collegati. In tutto sono venti gli interventi dei primi cittadini e amministratori prima che sul palco a concludere l’evento salga Enrico Letta. D’altronde, oggi «i sindaci progressisti e riformisti sono il 70% di quelli italiani. Siamo la sinistra di prossimità, la sinistra popolare, quella che vince in mezzo alla gente e non fa propaganda» rivendica Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e coordinatore dei primi cittadini dem.

Per il segretario del Pd Monza è il «simbolo di quello che succederà domenica» perché proprio nella città capoluogo della Brianza alle amministrative di giugno il centrosinistra ha strappato la città al centrodestra, con la vittoria del sindaco Paolo Pilotto, anche se i sondaggi lo davano in svantaggio. «Siamo a Monza - spiega Letta - perché abbiamo deciso di scegliere una città simbolo di buon governo ma soprattutto una città che la destra era sicura di vincere al primo turno». Per questo Monza diventa «la piazza della riscossa» e il Pd «l’unico vero grande partito nazionale» perché l’Italia che si raduna a Pontida «non va da nessuna parte - prosegue il segretario - non c’è partito del Nord contro partito del Sud perché l’Italia è una e unita».

Nardella fa appello agli indecisi «pensate a cosa di buono abbiamo fatto e se siete contenti di come stiamo governando le nostre città, allora dateci fiducia anche per governare il Paese». Ma il più applaudito è il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che chiude gli interventi dei primi cittadini sottolineando che «possiamo vincere, possiamo perdere ma lotteremo fino all’ultimo voto», perché in questa campagna elettorale «non è tutto scontato e bisogna con fiducia guardare al Paese e ai nostri concittadini proprio come fanno i sindaci».

Sul palco sale anche Valeria Mancinelli, la sindaca di Ancona, e Letta la abbraccia in segno di solidarietà per le vittime del maltempo. «Dobbiamo lavorare perché non succeda mai più - spiega il segretario Dem -. Noi non sopporteremo atteggiamenti negazionisti sull’ambiente» e anche sul Pnrr «basta ciance su rinegoziare soldi europei: si usano subito perché il Paese ne ha bisogno». «È un dovere scendere in campo - sottolinea in collegamento il sindaco di Roma Roberto Gualtieri - per dire agli italiani che questo voto è fondamentale. E’ un grande ballottaggio, ci sono solo per la destra che fa tornare l’Italia indietro e un voto per proseguire sulla strada per rendere il Paese più sostenibile, giusto e inclusivo».

Il senso della volata finale lo rende molto bene Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente di Anci, che paragona il Pd a Forrest Gump: «Nessuno avrebbe scommesso sulla corsa di Forrest, ma lui compie un’impresa straordinaria. Quella deve essere la metafora degli ultimi giorni della nostra campagna elettorale. Dobbiamo correre e correre e vincere».

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