«Sigaretta assieme ed empatia: scesi tra i rovi, così abbiamo salvato il giovane che voleva lanciarsi nel vuoto» - Video

CALUSCO. Parlano i carabinieri del soccorso sul ponte di Calusco. Sette minuti tra l’arrivo della telefonata al 112 di Zogno e la salita sull’ambulanza: «Grande lavoro di squadra tra la centrale e la pattuglia di servizio».

«Da quando mi è stata passata la telefonata dal numero unico 112 a quando i colleghi di pattuglia mi hanno riferito che il ragazzo era in salvo sull’ambulanza sono trascorsi solo sette minuti. Un tempo in sé breve, ma che è parso interminabile per l’apprensione per quanto stava accadendo». È stato un lavoro di squadra tra la centrale operativa dei carabinieri della compagnia di Zogno e la pattuglia della stazione di Calusco a permettere il salvataggio, domenica mattina, di un ragazzo di soli 25 anni che minacciava di buttarsi nell’Adda dal ponte San Michele. A raccontare quei drammatici momenti sono gli stessi protagonisti: i tre carabinieri «eroi quotidiani» che hanno portato a termine il salvataggio.

La corsa al ponte di San Michele

Sono il vice brigadiere Lorenzo Gallo, 52 anni, dal 2000 in servizio alla centrale di Zogno, il maresciallo Pietro Melchiorre, 39 anni, da soli 19 giorni tornato in servizio alla stazione di Calusco dopo una parentesi, dal 2019, alla stazione lecchese di Olginate, e l’appuntato scelto Lucio Formicola, 41 anni, a Calusco dal 2006. «Erano le 9,10 di domenica e quel giovane mi ha detto chiaramente: se non arrivate entro cinque minuti, mi butto nell’Adda – racconta Gallo –. A quel punto ho immediatamente allertato i colleghi di pattuglia perché raggiungessero prima possibile il ponte San Michele. Nel frattempo, continuavo a farlo parlare». La stazione di Calusco ha giurisdizione su 7 Comuni, ma in questo caso il destino ci ha messo del suo: «Ci trovavamo in centro a Calusco per un servizio perlustrativo, così in pochi minuti siamo arrivati al ponte – prosegue il maresciallo Melchiorre –: essendo domenica mattina non c’era traffico e, visto il tipo di intervento, abbiamo evitato di usare le sirene».

Arrivati al San Michele, però, sulla carreggiata stradale non c’era: «Era di sotto, sulla linea ferroviaria – continua il maresciallo –, in una zona inaccessibile, tanto che abbiamo dovuto scavalcare una recinzione e calarci per cinque, sei metri tra i rovi»

Arrivati al San Michele, però, sulla carreggiata stradale non c’era: «Era di sotto, sulla linea ferroviaria – continua il maresciallo –, in una zona inaccessibile, tanto che abbiamo dovuto scavalcare una recinzione e calarci per cinque, sei metri tra i rovi. Lo chiamavamo per nome, ma non lo vedevamo. Percorrendo poi il ponte l’abbiamo visto: seduto al centro del viadotto, con le gambe penzoloni verso sud, su oltre ottanta metri di vuoto».

«La mamma ha chiamato per ringraziarci»

A quel punto Melchiorre e Formicola si sono avvicinati: «Lo spazio era davvero ridotto e rischiavamo potesse passare il treno: per fortuna non è accaduto in quei momenti – evidenzia l’appuntato Formicola –. Si vedeva che stava male. Diceva che voleva farla finita, che erano quattro notti che non dormiva, che i suoi problemi di droga erano degenerati». «Abbiamo iniziato un dialogo con lui: ma cosa stai facendo? Dai, ripensaci e torna dentro – continuano i due militari –. Poi, visto che aveva in mano un mozzicone, abbiamo acceso assieme una sigaretta. E a un certo punto l’abbiamo preso di peso dai due lati e riportato di qua dal parapetto e affidato al personale sanitario. Ci ha poi chiamato la mamma per ringraziarci. Ma per noi è stato un dovere: lo rifaremmo ogni giorno».

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