Affrontare il melanoma come una salita in montagna: mai arrendersi alla fatica

LA BUONA DOMENICA. La storia di Emanuela Pellegrinelli. L’importanza della ricerca e della solidarietà. Volontaria per «Insieme con il sole dentro».

Quando si cammina in montagna per arrivare in cima bisogna dosare le forze, controllare il respiro, affrontare le salite con il ritmo giusto, senza arrendersi alla fatica. Emanuela Pellegrinelli di fronte alla diagnosi di melanoma ha scelto lo stesso approccio: vivere un giorno alla volta, senza mai perdersi d’animo, guardando sempre la vita dal suo lato migliore. Affrontare gli ostacoli indovinando l’azzurro oltre le nuvole.

Ha messo il suo sorriso e la sua dolcezza a servizio degli altri impegnandosi come volontaria nell’associazione «Insieme con il sole dentro. Melamici contro il melanoma» (www.insiemeconilsoledentro.it) e partecipando al progetto «Ferite di luce», mostra fotografica itinerante con 12 storie di donne coraggiose come lei, che offrono ispirazione e incoraggiano la prevenzione. Oggi 4 giugno un banchetto informazione dell’associazione sarà presente in via XX settembre alla manifestazione «50 miglia Bergamo Brescia».

Tutto è iniziato con una piccola macchia di sangue sulla maglietta. Così Emanuela si è accorta di avere sul fianco un neo «infiammato», ma all’inizio non gli aveva dato troppo peso. Era l’estate del 2019, e lei lottava con i venti contrari del destino, restando accanto alla madre e alla suocera, entrambe gravemente malate. «Era un neo piccolo, anche se mi sembrava un po’ aumentato di spessore - ricorda - ma in un periodo così difficile all’inizio ho sottovalutato questo sintomo».

Un film a doppia velocità

Si è rivolta a uno specialista, e da quel momento in poi l’evoluzione degli eventi è diventata rapidissima, come un film proiettato a doppia velocità: «Il dermatologo sospettava che fosse un melanoma, ma io non ero convinta, così ho chiesto un secondo parere. Anche questo consulto purtroppo, condotto con strumenti più sofisticati, ha confermato la diagnosi. Così il mio medico di base mi ha mandato d’urgenza all’ospedale Papa Giovanni XXIII, dove sono stata subito visitata e sottoposta a una biopsia. Il giorno seguente hanno asportato il melanoma».

Ci sono volute altre due settimane per avere l’esito dell’esame istologico: «È stato un periodo difficile, scandito dall’attesa e dall’inquietudine. Fino all’ultimo ho sperato che in realtà non fosse una lesione maligna».

Con l’esito dell’esame, Emanuela ha avuto un’altra brutta notizia: serviva un nuovo intervento di «allargamento» per asportare un linfonodo intaccato dalla malattia e i tessuti intorno al melanoma.

Si sentiva confusa e impreparata di fronte a una situazione più grande di lei, così ha cercato su internet qualcuno che potesse offrirle consigli e sostegno. Si è imbattuta nell’associazione «Insieme con il sole dentro» e ha incontrato la sua presidente Marina Rota. «Ci siamo trovate subito in sintonia - racconta -. Mi ha aiutato a mettermi in contatto con un altro medico dell’ospedale che mi ha guidato all’approfondimento delle analisi in quel momento così complicato».

Nell’arco di pochi giorni Emanuela si è resa conto che la situazione era seria: «I medici mi hanno spiegato che c’erano metastasi che interessavano ossa, polmoni e seno, forse anche altri organi. Pochi giorni dopo ero già in oncologia per valutare le possibili strade da seguire. Mi hanno proposto l’immunoterapia, che stimola il nostro sistema immunitario perché diventi un’arma contro le cellule tumorali, e mi hanno inserito in una sperimentazione».

«Ho scelto di affidarmi»

Così Emanuela ha toccato con mano l’importanza cruciale della ricerca contro il cancro: «Il medico non mi ha nascosto che per un melanoma metastatico al quarto stadio come il mio vent’anni fa ci sarebbero state poche speranze e scarse possibilità di sopravvivenza. Poi però ha sottolineato che oggi lo scenario è cambiato, esistono nuovi farmaci. Ho scelto di affidarmi, di crederci fino in fondo». Il primo farmaco ha provocato subito effetti collaterali importanti: «Ho avuto un’infiammazione dolorosa nella zona dell’asportazione, ma gli specialisti che mi seguivano sono intervenuti subito, rimodulando la terapia con un farmaco diverso e inserendomi in un altro studio sperimentale. Sono stata molto fortunata ad avere questa possibilità».

Travolti dalla pandemia

Nel frattempo è arrivata la pandemia, seminando dolore e incertezza anche nella famiglia di Emanuela: «Ci siamo ammalati tutti, ma io, più vulnerabile a causa delle terapie, ho preso il Covid in forma molto grave». Nei primi giorni di marzo del 2020, Bergamo era nel pieno dell’incubo della prima ondata: «Avevo febbre e tosse, stavo malissimo, mi sentivo un peso insostenibile sul petto. Mi hanno fatto una radiografia a domicilio che ha confermato la presenza di una polmonite bilaterale interstiziale. Mentre il nostro ospedale collassava per i troppi pazienti, mi ha salvato la mia famiglia: mio marito Donato e i miei figli Mattia, Arianna e Alice si sono assunti il compito di curarmi a casa, mantenendosi in contatto con il mio medico di base. Si sono procurati i farmaci e le bombole di ossigeno e mi hanno assistito giorno e notte. Non mi ricordo quasi nulla di quel periodo, per tre settimane ero scivolata in uno stato di semi-incoscienza, poi pian piano mi sono ripresa».

In quel periodo Emanuela ha dovuto interrompere la sua terapia: «All’inizio non sapevo cosa fare, era impossibile contattare l’ospedale, così al momento di iniziare la cura per il Covid ho sospeso gli altri farmaci». Una volta ristabilita ha ripreso: «Ho fatto in tutto 18 infusioni, una al mese, più tre pastiglie al giorno. A un certo punto purtroppo ho avuto problemi di tossicità del farmaco, che mi provocava ulcerazioni e piaghe. I tentativi di contrastare questi effetti non sono andati a buon fine, e i medici hanno deciso di sospendere la somministrazione. Nel frattempo comunque le Tac di controllo mostravano miglioramenti, e questo mi ha rassicurato. Ora sono in follow up. Secondo gli oncologi il quadro clinico è stabile, basta monitorare la situazione attraverso controlli regolari, ogni sei mesi. Ogni volta, ovviamente, li affronto con un po’ di trepidazione, ma cerco di farmi coraggio. Ho visto la mia famiglia crollare al momento della diagnosi, e fin dall’inizio ho messo quindi in moto tutte le mie energie per portare avanti al meglio la situazione».

Pensieri positivi

Emanuela ha coltivato con impegno pensieri positivi: «Ho sempre avuto fiducia nel percorso terapeutico e il tempo mi ha dato ragione. La malattia mi ha cambiata profondamente: da quel momento ho cercato di godermi ogni minuto e dedicarmi a ciò che mi piace di più, come viaggiare, anche se nel periodo Covid era difficile. Abbiamo ripreso anche a frequentare più intensamente gli amici». Ha iniziato a prestare più attenzione e cura a se stessa: «Per tanti anni mi sono preoccupata soprattutto dei miei figli, seguendoli nelle attività scolastiche e sportive e di mio marito, dandogli una mano nel suo lavoro. Poi è arrivato il momento in cui ho avuto bisogno che loro aiutassero me, e loro mi sono stati vicino, in un modo commovente che mi ha resa orgogliosa e fiera».

Passioni e tempi lenti

Fra le passioni che ha riscoperto c’è quella di stare all’aria aperta e camminare in montagna: «Mi fa molto bene anche dal punto di vista fisico e i miglioramenti li ho visti anche nei risultati degli esami del sangue, in particolare nel periodo delle terapie. Per di più mi rilassavo, ammiravo la bellezza del paesaggio, respiravo aria pulita, mi distraevo: tutti effetti positivi, con riflessi concreti sulle mie condizioni di salute. Mi ricordo in particolare un paio di giorni trascorsi in un rifugio nel 2021 per Capodanno, in mezzo alla neve: ho provato un senso di pace che da tempo avevo dimenticato. Da quel momento mio marito e io abbiamo ripreso ad andare in montagna, anche in alta quota, per ritrovare quel senso di libertà e benessere».

Il cambiamento sperimentato da Emanuela di fronte alla malattia ha «contagiato» anche la sua famiglia: «Donato prima lavorava moltissimo, e difficilmente riusciva a ritagliarsi qualche serata libera. Da quando mi sono ammalata ha iniziato a dedicare più spazio alla famiglia, e per me è stato molto importante. Abbiamo deciso di goderci il nostro tempo insieme, realizzare alcuni desideri e piccoli sogni, fra i quali anche la ristrutturazione della nostra casa. I medici mi hanno incoraggiata a condurre una vita normale, anche se non è sempre facile».

Alcune abitudini sono state riviste e corrette: «Sono stata da una dietologa in oncologia che mi ha dato suggerimenti utili, invitandomi a variare l’alimentazione, ma senza eliminare le pietanze che mi piacciono. Credo che essere sereni e soddisfatti aiuti anche a mantenersi in salute. Mi sono accorta di aver trascorso una vita sempre di corsa, la malattia mi ha costretto a rallentare».

L’associazione

Emanuela si impegna attivamente come volontaria dell’associazione «Insieme con il sole dentro»: «Marina è il nostro punto di riferimento. Sono nate fra noi amicizie profonde e insieme promuoviamo iniziative di sensibilizzazione sulla prevenzione e sulla ricerca. Ho perso diverse persone importanti a causa di tumori, per i miei figli sogno un mondo in cui questa malattia killer possa essere debellata. Sono felice di aiutare l’associazione, perché si diffonda maggiore conoscenza e consapevolezza delle nuove cure e dell’importanza di aiutare la ricerca». Ha trasformato la sua casa in un set per scattare le foto del calendario e della mostra «Ferite di luce», con la storia di dodici donne che hanno dovuto affrontare un melanoma: «Ci siamo divertite - sorride Emanuela -. Sono tutte persone speciali, ognuna racconta con sincerità e schiettezza come vive la malattia. Non amo apparire in pubblico, mi sento in imbarazzo, ma per una buona causa ho deciso di fare un’eccezione».

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