«La diagnosi, la paura, la reazione.
E anche il mare mi ha dato la forza»

Barbara Sacchetto. Il tumore e la capacità di superarlo. «Anche grazie alle Pink Ambassador di Bergamo».

«Ho sempre avuto l’idea - scrive Saramago - che navigando ci siano soltanto due veri maestri, uno è il mare, e l’altro è la barca, E il cielo, state dimenticando il cielo». Affrontando il mare, come nella vita, si lascia il porto per una destinazione sconosciuta: attraversarlo può diventare una profonda esperienza spirituale e una scuola di vita. Viaggiare su una barca a vela «mi ha aiutato a guardare in me stessa, a sciogliere i nodi creati dalla malattia, a prendere il largo lasciando le mie zavorre» spiega Barbara Sacchetto, che vive a Bergamo, lavora in un istituto di credito e nel 2014 ha affrontato un cancro al seno. Negli ultimi anni ha partecipato per due volte, nel 2019 e quest’estate, al progetto «Pazienti a bordo» dell’associazione We Will Care onlus, che offre sostegno psicologico ai pazienti oncologici (www.wewillcare.it) ed è entrata nella squadra delle «Pink Ambassador Bergamo» della Fondazione Umberto Veronesi come testimonial per la prevenzione e la ricerca sui tumori.

La proposta di «Pazienti a bordo», gestita da Gabriella Pravettoni, psico-oncologa dello Ieo (Istituto oncologico europeo di Milano), prevede di trascorrere una settimana sull’isola di Caprera vivendo un’esperienza di psicoterapia di gruppo accompagnata da un corso di vela, in collaborazione con il Centro Velico Caprera. «Ho scoperto questa iniziativa casualmente – racconta Barbara Sacchetto – e ho pensato subito che fosse un’opportunità preziosa. Il male fisico si cura, ma i pazienti si trovano spesso in difficoltà ad affrontare tutto il resto».

Per prendere parte a questa avventura è necessario mettersi in gioco ed essere aperti alle novità: «Bisogna condividere una vita molto spartana, adatta alle attività di mare, seguendo i ritmi della base del Cento Velico, con persone sconosciute – sorride Barbara –. Al mattino ci sono lezioni di vela e psicoterapia di gruppo, e nel pomeriggio si sale sulle barche, in piccoli equipaggi, ognuno con il proprio compito. Non avevo esperienza, ero un po’ timorosa, ma il vento sull’arcipelago di Caprera è una presenza costante, e mi ha spinto a buttare il cuore oltre l’ostacolo, dando il mio contributo alla navigazione come alla vita del mio gruppo, che si chiamava “Oltreamare”. Eravamo a tu per tu con la natura e gli elementi, in un contesto che ha anche una forza simbolica, è una metafora di ciò che affrontiamo nella vita».

Sono molte le conseguenze che una patologia oncologica può innescare: «In una donna – osserva Barbara – può generare scarsa autostima, anche a causa dei tanti cambiamenti sgraditi nel corpo. Porta con sé malessere e spossatezza, inducendo la sensazione di non poter più condurre la stessa vita di prima, scombina gli equilibri familiari e di coppia. Ho visto altre pazienti e compagne di viaggio lasciare molti pesi a Caprera e tornare a casa come donne nuove. È successo anche a me, ma senza eccessi. Mi ero appesantita nel tempo a causa dei farmaci, una volta rientrata dal primo viaggio sono riuscita a trovare la motivazione giusta, ho consultato un nutrizionista, sono quasi ritornata in forma. Ho lasciato affiorare emozioni sopite, anche tanta rabbia che avevo seppellito dentro di me, e mi sono sentita più leggera». Anche per questo dopo tre anni ha deciso di tornare: «Questa volta mi sono impegnata a sciogliere i nodi e a proiettarmi verso il futuro. Il mio equipaggio stavolta si chiamava “Tempestose”, come la dragonessa di “Dragon Trainer”». Una volta terminato il loro viaggio i partecipanti sono invitati a dedicarsi alla raccolta fondi per contribuire alla creazione di nuovi equipaggi: «Anche noi – sottolinea Barbara – abbiamo promosso cene e attività».

Ora può ricordare e sorridere, ma ha riconquistato la sua serenità grazie a una consistente iniezione di tenacia e coraggio. Forte come i fiori che spuntano dappertutto, perfino dalle crepe dell’asfalto. «Ho scoperto di avere un tumore in una sera d’agosto del 2014, durante un controllo di prevenzione allo Ieo, dove vado da tanti anni. La mammografia era risultata negativa, mentre poi, all’ecografia, i medici hanno individuato un nodulo, e hanno subito eseguito l’ago aspirato. Ho aspettato l’esito con grande trepidazione. Purtroppo è risultato maligno, era un tumore piccolo ma cattivo, con un’alta percentuale di recidiva, da non sottovalutare. Su consiglio del medico di base mi sono affidata a Luigi Alberto Luini, chirurgo senologo allo IEO, che mi ha ispirato subito fiducia».

In quel momento Barbara si è sentita confusa: «La mente ti porta a navigare e non è un bene, soprattutto se si cercano riscontri in Internet. Fortunatamente mi sono resa conto rapidamente che dovevo affidarmi ai medici e fare il possibile per reagire, e che il mio destino era nelle mie mani, perché ogni storia è a sé».

All’inizio ha preferito non divulgare la notizia: «Ne ho parlato solo con mio marito Corrado. Ho due figli gemelli, Pietro e Irene, che allora avevano 12 anni. A loro ho detto solo che dovevo subire un piccolo intervento. Non ho avvisato neppure i miei genitori. Ho fatto questa scelta per proteggerli, per evitare che si preoccupassero. Ho preferito tacere anche sul lavoro, ho spiegato cosa stava accadendo solo dopo aver terminato le mie cure. Quando sono andata in ospedale per l’intervento di quadrantectomia ho detto soltanto che avrei dovuto assentarmi per qualche giorno e che non avrei potuto rispondere neppure alle e-mail».

L’operazione ha avuto un buon esito: «Anche il linfonodo sentinella era negativo. Nell’intraoperatorio hanno fatto il 50% della radioterapia. Sono rimasta in ospedale per due giorni e il terzo ero già in ufficio». Poi è iniziato un periodo impegnativo di cure, ma Barbara l’ha sempre affrontato con atteggiamento positivo: «Ho capito che l’esito dipendeva anche da me, ho cercato di procedere un passo alla volta, senza proiettare emozioni negative. Quando è arrivato il momento della chemioterapia, sono entrata in un progetto sperimentale che prevedeva l’applicazione di un casco per congelare il cuoio capelluto prima della somministrazione. In questo modo la perdita dei capelli si è ridotta, quasi annullata, tanto che nessuno se n’è accorto. Ho dovuto sopportare il mal di testa e il prolungamento dei trattamenti, che con questa procedura duravano tutta la giornata, ma ne è valsa la pena. Avevo comunque acquistato una parrucca che riproduceva fedelmente la mia pettinatura abituale, ma non l’ho mai usata».

Ci sono stati momenti duri, ma Barbara non si è persa d’animo: «Mi hanno sostenuto la mia forza di volontà e la consapevolezza che era necessario attraversare quel processo. Non ho mai smesso di lavorare su me stessa e questo mi ha aiutato. Ho dovuto seguire una terapia ormonale e ne ho subito gli effetti collaterali: mal di ossa, gonfiore, l’aumento di peso. Nonostante questo ho continuato a lavorare, senza fare particolari assenze, anche questo è stato uno stimolo utile».

Pian piano Barbara è uscita dalla tempesta, tornando alla vita di sempre, finché ha potuto ritenersi «guarita», sottoponendosi ai controlli periodici. Quando le si è presentata l’occasione ha accolto con gioia la possibilità di far parte del gruppo di «Pink Ambassador», che sta diventando un’importante rete di sostegno fra persone che hanno affrontato un tumore: «Mi interessa sostenere la ricerca, l’arma migliore per combattere il cancro. Vorrei che i miei figli vivessero in un mondo in cui questa malattia non faccia paura e non uccida. Ritengo inoltre fondamentale intraprendere azioni di sensibilizzazione per la prevenzione, che molti sottovalutano».

Le Pink Ambassador, presenti a Bergamo da alcuni anni (con punto di ritrovo al Parco della Trucca e una pagina Facebook dedicata), hanno come punto di unione lo sport: sono una ventina e si allenano insieme per correre nel mese di novembre una mezza maratona, come strumento di sensibilizzazione. Allo stesso tempo raccolgono fondi per contribuire alla ricerca.

«L’obiettivo – osserva Barbara – non è tanto correre forte ma creare movimento, anche dal punto di vista sociale. Nel gruppo ci sono donne che si allenano con molto impegno e hanno trasformato lo sport in un supplemento di cura, in questo modo offrono visibilità a una causa giusta. Ci sono ancora molti tabù intorno al cancro: quando racconti a qualcuno che ce l’hai capita spesso di notare un cambiamento repentino nello sguardo e nei modi, disagio e imbarazzo. In passato mi infastidiva molto, ora non ci faccio più caso».

Importante anche l’azione di sostegno economico: «Si concretizza con tante iniziative, dagli aperitivi alle cene fino alle donazioni online dal sito della Fondazione Veronesi. Mio marito e io abbiamo aderito anche devolvendo parte del ricavato della vendita di alcuni prodotti della nostra azienda agricola, La Mosca Bianca Bio (https://lamoscabiancabio.it). L’idea ci è venuta spontanea, pensando che anche una sana alimentazione è un aspetto importante della prevenzione».

Come canta Battisti «come può uno scoglio arginare il mare? Anche se non voglio torno già a volare…». Così Barbara, recuperata la sua energia, ha imparato a dare peso alle svolte positive: «Forse lungo il cammino ho perso un po’ di spensieratezza, ma ho acquisito una nuova consapevolezza. Se al momento della diagnosi ho taciuto, ora farei un’altra scelta: parlare con altri e condividere le proprie preoccupazioni le rende più leggere. In seguito ho raccontato a molti la mia esperienza e partecipando all’attività delle Pink Ambassador vorrei farlo ancor di più perché tutti si informino e comprendano l’importanza della prevenzione. La malattia alla fine mi ha offerto prospettive e sguardi diversi anche rispetto al lavoro: mi sono sentita pronta per cambiamenti e nuove sfide, per affrontare il futuro con speranza e fiducia».

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