La forza della parola entra in carcere: «Creiamo comunità per ascoltare»

Il Circolo delle narratrici . Candelaria Romero e l’opera di volontariato nella biblioteca della sezione femminile.

Racconti e poesie possono creare legami, aprire nuovi mondi, seguire i sentieri del cuore fino a raggiungere e illuminare luoghi profondi, altrimenti chiusi e nascosti. Ecco perché la lettura condivisa diventa preziosa anche in un luogo aspro, complesso e insolito come il carcere. Perfino lì, nella sezione femminile della Casa circondariale di Bergamo, negli ultimi mesi è nato un «Circolo delle narratrici». È un piccolo gruppo di donne che si incontrano e raccontano storie a voce alta, offrendo agli altri l’opera senza tempo di scrittori e artisti ma allo stesso tempo qualcosa di sé. Questo progetto è promosso dal Sistema bibliotecario urbano del Comune di Bergamo e dall’associazione Il Cerchio di Gesso, con il sostegno della Fondazione Comunità bergamasca in occasione della Capitale del volontariato 2022. Punta sul grande potere di cura, trasformazione e libertà delle parole, con la capacità di far emergere la parte migliore che ognuno possiede.

A guidare questo percorso è stata Candelaria Romero, poetessa, attrice e narratrice: «Entrando nella biblioteca della sezione femminile del carcere - racconta - ho sentito la fatica delle persone che si trovano in questo luogo. Questo ha modificato il mio modo di presentare le attività. Alcune parole, altrove comuni, qui assumono un significato diverso, ecco perché bisogna dosarle con attenzione e delicatezza». Candelaria ha proposto loro il tema della casa, che è risultato molto coinvolgente, evocando immagini, ricordi, sensazioni personali: «Sono venuti fuori tanti discorsi, punti di vista diversi sulla casa: qualcuno perché non ce l’ha, qualcun altro perché sente di esserne stato strappato, altri ancora perché sognano di tornarci ma non possono».

Tanti pensieri ed emozioni «impossibili» si rincorrevano come nella canzone «La casa» di Sergio Endrigo: «Era una casa tanto carina, senza soffitto, senza cucina. Non si poteva entrarci dentro, perché non c’era il pavimento». Un motivo ingenuo con un sottofondo di inquietudine, che suscita immagini contrastanti su ciò che la casa può rappresentare: «Un nido sicuro - prosegue Candelaria - ma anche un luogo da cui scappare, perché ci sono rapporti faticosi e violenti».

Il carcere in un modo singolare è «casa» per i detenuti, ma senza esserlo davvero, come riassume in modo ironico il testo di un detenuto scelto per la prima lettura pubblica del nuovo Circolo delle narratrici: «È un condominio dove ci sono un sacco di portinai, e tengono loro le chiavi per motivi di sicurezza». Candelaria ha avvertito la drammaticità del luogo fin dal primo ingresso, perché ha fatto riemergere in lei un ricordo familiare: «Mio padre durante la dittatura in Argentina ha trascorso un periodo in prigione, dove è stato torturato e massacrato. Così ogni volta che sono entrata ho sentito molto forte la sua presenza. Poi la gioia di stare con gli altri, leggere e raccontare me l’ha fatto superare. Nonostante tutto, grazie ai libri abbiamo vissuto insieme momenti luminosi, di ascolto e di sorrisi».

«Solamente l’ombra/ - scrive Pablo Neruda nella sua “Ode a una casa abbandonata” - conosce/ i segreti/ delle case chiuse, solamente/ il vento respinto/ e sul tetto la luna che fiorisce». Nell’incantesimo di un verso possono sciogliersi amarezze e solitudini delle detenute: la lontananza dai figli, il dolore di non sentirsi capiti o creduti, il bisogno di essere riconosciuti come la persona che si sente di essere. «Ciò che mi ha colpito - sottolinea Candelaria - è quanto possono unirci gli stessi sentimenti, le stesse fatiche. Chi arrivava all’incontro di narrazione distrutto per un litigio o per un colloquio andato male, esprimeva contrarietà e nervosismi che possono accadere a chiunque, e quello diventava un momento di pausa adatto ad ascoltarsi a vicenda. In quei momenti era importante essere lì, ascoltare la propria voce e quella degli altri. I Circoli dei narratori rispondono proprio alla necessità di avere una piccola comunità che si riunisce per creare ascolto, parole e sguardi con l’aiuto dei libri e della letteratura».

Percorrendo gli scaffali della biblioteca delle detenute, Candelaria ha proposto di inserire generi diversi di libri come graphic novel, silent book (libri silenziosi, fatti di immagini senza parole) e albi illustrati che contrariamente all’opinione comune non sono solo «per i piccoli». Un lavoro che prosegue quotidianamente grazie alla presenza di Cristina Rota, Giulia Porta e Laura Arata, bibliotecarie del Sistema bibliotecario urbano: «Abbiamo iniziato la collaborazione con il carcere nel 2018 - spiega Cristina -, stipulando una convenzione. C’erano già due piccole biblioteche, ma quella della sezione femminile era stata abbandonata e adibita a deposito. È stata ricostituita e riaperta. Era già pronta nel febbraio 2020, ma l’inaugurazione è stata posticipata a causa della pandemia. Anche nella sezione maschile è stato portato avanti un lavoro di sistemazione e catalogazione. Poi ci siamo preoccupate di far vivere questi spazi. È stata individuata fra i detenuti la figura di bibliotecaria, sono stati stabiliti gli orari e il regolamento. Abbiamo partecipato a un bando del Csv con il desiderio di avviare un’attività legata ai libri e alla narrazione già sperimentata in altre biblioteche cittadine».

Così è partito il corso di formazione dedicato alle detenute, alle volontarie e alle bibliotecarie. «Ciò che rende unica questa esperienza - sottolinea Cristina - è l’aspetto umano. Quando siamo in biblioteca, durante un incontro di formazione, possiamo immaginare per un momento di non essere in carcere, e questo viene percepito da tutti. Si può alleggerire per un tempo breve una quotidianità difficile. La narrazione è un’esperienza intima che tocca corde delicate, aiuta a esprimere se stessi senza pensare, in quel momento, alla propria condizione».

L’iniziativa è molto apprezzata e ha avuto finora ricadute positive su tutti i partecipanti: «Si sono creati e rafforzati legami tra noi e fra le detenute - commenta Cristina -, contribuendo ad allentare alcune tensioni. Abbiamo contribuito a introdurre qualcosa di diverso in un ambiente che normalmente rimane estraneo alla cultura».

Luisa Vergani e Mina Manzini, le due volontarie della biblioteca della sezione femminile, proseguono questo esperimento di condivisione di storie ogni martedì, quando incontrano le detenute e scambiano pensieri con loro.

Ogni incontro è come la tessera di un mosaico, che unisce persone, suggestioni e stimoli diversi. Bisogna fare un bel po’ di strada per arrivare dall’ingresso del carcere fino alla biblioteca della sezione femminile, scandita dai rito dei controlli per i visitatori, dal rumore dei chiavistelli, dei cancelli che si chiudono.

All’inizio Mina considerava con un po’ di timore l’idea di andarci ogni settimana: «È stato don Fausto Resmini che mi ha convinta a partecipare al corso del Csv - racconta - da sola non ci avrei pensato. È successo proprio all’inizio della pandemia, e lui purtroppo poco dopo è morto. Ho iniziato le lezioni ad aprile 2020, ma le attività all’interno della sezione femminile sono iniziate con continuità l’anno scorso. Alla fine entrare in carcere non è così terribile come pensavo. Anzi, è un’esperienza coinvolgente. Il corso di narrazione ci ha dato una marcia in più, spingendoci a metterci in gioco». Mina è stata in passato volontaria anche al «Posto caldo», la mensa della stazione: «Ho scoperto lungo la strada quanto sia importante dare attenzione a queste persone che nessuno considera e concedere loro almeno il diritto di esistere. Frequentarle mi dà un continuo impulso a non arrendermi di fronte alle ingiustizie».

Anche per Luisa l’inizio è stato faticoso: «La struttura è molto grande, mi sentivo persa. L’impatto è stato forte, poi ho capito come funzionava, e sono rimasta colpita dall’efficienza dell’organizzazione e dalle diverse attività organizzate per i detenuti, dal forno ai laboratori occupazionali».

Ad animare gli incontri che ruotano intorno alla biblioteca c’è suor Margherita Gamba, della congregazione delle suore delle Poverelle: «È lei - spiega Luisa - che sollecita le detenute a partecipare al nostro piccolo gruppo che viene costantemente allargato. All’inizio non sapevo come rendermi utile, poi mi sono resa conto che la presenza di persone provenienti dall’esterno contribuisce ad aprire orizzonti diversi. Ogni settimana scegliamo un argomento e ci confrontiamo, oppure leggiamo insieme brani di libri, poesie, articoli di giornale su argomenti che possano interessare a tutte».

In questo contesto l’attività di narrazione ha portato un po’ di magia: «Ero un po’ scettica ma mi sono ricreduta. Ho visto alcune persone cambiare, appassionarsi, aprirsi in modo inaspettato». Luisa in passato ha svolto attività di volontariato anche accanto a ragazzi disabili: «Queste esperienze mi portano a scoprire nuove realtà, ambienti di cui non sospettavo l’esistenza. Spero di riuscire a donare qualcosa agli altri ma io stessa ricevo molto, compreso un nuovo sguardo sulla realtà e sui miei rapporti con gli altri. Quando siamo insieme guardo e ascolto queste persone senza pregiudizi, così come sono, indipendentemente da ciò che hanno vissuto e dagli errori che hanno commesso. Credo che ognuno di noi possa sbagliare in qualche momento della vita, e che nessuno meriti di essere giudicato per sempre in base a questi errori. Ho dato un senso diverso e più profondo al perdono».

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