«La malattia di mia mamma mi ha fatto capire quanto sia importante donare»

LA STORIA. Valentina Maggioni e l’iscrizione all’Admo e lo scorso febbraio la chiamata per il trapianto di midollo osseo

«Donare - come diceva Papa Francesco - fa sentire più felici noi stessi e gli altri, e fortifica la speranza in un futuro migliore». Per Valentina Maggioni, 37 anni, di Bergamo, la donazione di midollo osseo ha rappresentato anche un modo per restituire un sentimento di gratitudine nei confronti della vita e del mondo. «La prima volta che ho sentito parlare di questo tipo di donazione - racconta - è stato presso gli ambulatori dell’ematologia di Brescia, dove mi recavo insieme a mia mamma, Maria Domenica, per le cure di cui lei aveva bisogno».

La mamma affetta da mieloma

Maria Domenica ha avuto un mieloma, un tumore che colpisce le cellule del midollo osseo, dopo aver manifestato per 15 anni una gammopatia monoclonale, cioè una produzione eccessiva di anticorpi, che in sé non è una condizione patologica ma viene tenuta sotto controllo: «Poi, però - ricorda Valentina - si è sviluppata questa malattia, in qualche modo correlata. Fortunatamente mia madre ha avuto la possibilità di sottoporsi a una terapia farmacologica sperimentale a Brescia, aderendo a un protocollo europeo, dal 2022 fino a oggi. Questo è stato il mio primo contatto reale e concreto con le malattie del sangue, che ha fatto nascere in me il desiderio di fare qualcosa per i malati».

«Mia madre mi ha dato un grande slancio e ispirazione: l’ho vista affrontare la malattia, con tutto ciò che comportava, con grande dignità e coraggio, affidandosi ai medici con fiducia, sopportando anche alcuni disagi ed esami invasivi. Questo mi ha dato lo spunto per diventare donatrice di midollo, nonostante abbia paura degli aghi e sia in generale piuttosto sensibile e impressionabile»

Valentina accompagnava in ospedale per le terapie periodiche la mamma, originaria di Vezza d’Oglio, un paesino dell’alta Val Camonica, e residente da 40 anni a Pian Camuno: «Mia madre mi ha dato un grande slancio e ispirazione: l’ho vista affrontare la malattia, con tutto ciò che comportava, con grande dignità e coraggio, affidandosi ai medici con fiducia, sopportando anche alcuni disagi ed esami invasivi. Questo mi ha dato lo spunto per diventare donatrice di midollo, nonostante abbia paura degli aghi e sia in generale piuttosto sensibile e impressionabile».

La presenza di tanti giovani

L’hanno colpita i pazienti che frequentavano con loro l’ambulatorio di ematologia: «Sono rimasta scioccata dal grande via vai di gente e dalla presenza di tanti giovani. Non pensavo che le malattie del sangue fossero così diffuse. Poi mi sono imbattuta anche nel racconto del percorso di malattia di Nicola Viscardi, bergamasco e mio coetaneo, che ha svolto un lavoro molto importante di sensibilizzazione sulle malattie del sangue e sulla necessità di trapianto, raccontando la sua esperienza in modo schietto, semplice e diretto. Ha rivolto un appello a donare il midollo, aperto a chi aveva i giusti requisiti di età e di buona salute necessari, specificando che la procedura era molto semplice, e questo suo approccio mi ha convinto».

«A quel punto mi sono detta: perché no? Così ho cercato il sito dell’Admo e mi sono iscritta online completando il form di reclutamento per fare la tipizzazione»

«A quel punto mi sono detta: perché no? Così ho cercato il sito dell’Admo e mi sono iscritta online completando il form di reclutamento per fare la tipizzazione. Dal sito ovviamente si può solo registrarsi e manifestare la volontà di iscriversi al registro nazionale dei donatori di midollo. Pochi giorni dopo è arrivata la chiamata dell’ospedale Papa Giovanni XXIII».

Così Valentina è entrata in contatto con il Centro del donatore di Bergamo, che fa riferimento al Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale: «Sono andata a fare il prelievo per la tipizzazione, una procedura molto semplice, e in questa occasione mi hanno spiegato meglio in che cosa consistesse la donazione. Congedandomi mi hanno avvisato dell’arrivo di una mail per ufficializzare l’iscrizione al registro dei donatori. A quel punto mi sentivo già felice per aver dato la mia disponibilità, dato che la possibilità di compatibilità tra due persone non consanguinee è di una ogni centomila circa. Fantasticavo sull’idea che davvero mi potesse capitare di donare, e anche solo il pensiero mi rendeva felice. La dottoressa Laura Castellani del servizio di Immunoematologia del Papa Giovanni XXIII, che mi ha seguito in tutto il percorso, mi diceva che l’iscrizione può rimanere senza esito: così era capitato a lei, iscritta e tipizzata da trent’anni, senza poi essere mai chiamata».

Il percorso al fianco della madre

Valentina ha continuato a seguire sua madre e le sue terapie: «Dal momento della conferma dell’iscrizione al registro nazionale non ho più saputo nulla per un anno e mezzo, e nel frattempo assistevo ai progressi di mia madre, che pian piano migliorava e stava di nuovo bene. Negli ambulatori però continuavamo a incontrare tante persone, alcune delle quali in condizioni difficili. Non parlavamo con loro, perché entravamo nel reparto sempre con la mascherina, ma questo non impediva di osservare e capire che cosa ci accadesse intorno. Mi ha colpito la forza con cui questi pazienti affrontavano la malattia, con il loro corredo di dolore e sofferenza».

Poi, nel mese di dicembre 2024, proprio pochi giorni prima di Santa Lucia, è arrivata una telefonata dall’ospedale. «Non ho pensato subito alla donazione di midollo, invece si trattava proprio della comunicazione di una possibile compatibilità. Mi hanno chiesto se fossi sempre intenzionata a donare. Anche questo è un aspetto che mi è piaciuto molto, nessuno ha mai dato per scontato che dovessi andare fino in fondo, ho dovuto confermare la mia scelta ad ogni passo, sapendo che in caso di imprevisti avrei anche potuto cambiare idea. L’ho trovato rassicurante anche se in realtà non l’avrei mai fatto per il senso di responsabilità che ho avvertito tuffandomi in questa avventura. Mi è piaciuto che venga conservata la libertà del potenziale donatore, perché donare è una scelta, non un obbligo». Ogni volta che le è stata posta questa domanda, Valentina ha sempre confermato la sua scelta: «L’ho vissuta come una chiamata, quest’idea di mettersi a disposizione di un altro. Mi sono avvicinata a questo percorso con l’intenzione di restituire la fortuna che ho avuto nell’accompagnare mia madre in un faticoso cammino di guarigione, e che ho avvertito come grande dono. Mi è sembrata l’occasione giusta per concretizzare e rendere tangibili quei valori con cui io sono stata cresciuta: la solidarietà della condivisione, dell’aiutare chi è meno fortunato».

«L’ho vissuta come una chiamata, quest’idea di mettersi a disposizione di un altro. Mi sono avvicinata a questo percorso con l’intenzione di restituire la fortuna che ho avuto nell’accompagnare mia madre in un faticoso cammino di guarigione, e che ho avvertito come grande dono»

Così Valentina ha affrontato di buon grado le analisi necessarie per confermare la compatibilità con il ricevente: «Mi hanno richiamato il 5 febbraio, a pochi giorni di distanza dal mio compleanno che è il 3, per confermarmi che ero davvero quella persona su 100 mila compatibile. Forse proprio perché è capitato in quei giorni l’ho visto ancora di più come un dono, anche per me. Mi hanno chiesto ancora cosa volessi fare, se volevo davvero proseguire. Di fronte a questa responsabilità, che per me era anche un onore e un’opportunità, non potevo rinunciare. Mi sono detta che era davvero arrivato il mio momento».

La chiamata per la donazione

Gli esami che sono seguiti erano necessari per confermare la sua idoneità alla donazione: «Anche questo aspetto viene curato con molta attenzione: serve per controllare che il donatore sia nelle condizioni fisiche adeguate, per poter donare senza rischi. Quando mi è stato detto che rappresentavo l’unica speranza di vita per il ricevente mi sono commossa, perché ho avuto la consapevolezza di fare qualcosa di davvero utile. Tante volte nella vita capita di dare peso a preoccupazioni inutili, in quel momento invece ho sentito di fare la cosa giusta».

I medici avevano inizialmente previsto una donazione per aferesi, con un prelievo dal sangue periferico: «Mi hanno però avvisato che nel frattempo le condizioni del ricevente si erano aggravate e hanno quindi chiesto se ero disponibile al prelievo dalle ossa del bacino con un piccolo intervento chirurgico in anestesia generale, e ho dato il mio consenso. Sono entrata in ospedale una domenica pomeriggio, ed è bastato uno sguardo per capire quanto sia delicato stare nel reparto di ematologia, dove ci sono pazienti immunodepressi. Ho provato, certamente, un po’ di ansia e preoccupazione, ma le ho messe subito da parte. È andato tutto benissimo, e in ospedale ho incontrato persone attente e competenti, ma anche disponibili e umane. Sono dovuta stare a riposo e sdraiata per un giorno dopo l’intervento. Pochi giorni dopo ho ricominciato a lavorare, riprendendo la mia vita di sempre. Posso dire che se fosse possibile lo rifarei altre cento volte, anche se il limite posto dal registro dei donatori è di una sola volta».

«Non so se il trapianto sia andato o no a buon fine, ma in cuor mio sono felice di aver donato almeno una speranza a quella persona e alla sua famiglia, e questo mi basta» racconta.

Nella famiglia di Valentina c’era già stata, tanti anni fa, una donatrice di midollo osseo: «È mia zia Andreina, che 35 anni fa ha donato il midollo per offrire una speranza al fratello Giuseppe, malato di leucemia. Lei era l’unica compatibile tra i sette fratelli. La donazione purtroppo in quel caso non ebbe buon esito, lo zio Giuseppe morì di leucemia a 45 anni e io purtroppo non l’ho conosciuto, però mi sento di aver in qualche modo raccolto il testimone di mia zia, che in questa avventura mi ha sempre dato il suo supporto, ed è stato bello poter contare sul suo racconto, sulla sua esperienza e potermi confrontare con lei: la volontà di mettersi a disposizione di qualcuno che ne aveva bisogno era la stessa, anche se in questo caso non era una persona di famiglia».

Valentina da allora ha deciso di partecipare anche alle attività di sensibilizzazione di Admo (Associazione donatori midollo osseo, admo.it): «Mi sono resa conto di essere molto fortunata: ci sono tante persone in condizioni di fragilità e difficoltà, la salute è un dono prezioso. Penso quindi che offrire la propria testimonianza sia parte integrante del percorso di donazione del midollo osseo, per contribuire a far conoscere questa possibilità molto importante: ogni donatore in più è una speranza di vita, una mano tesa a chi soffre».

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