L’urlo di Anna contro il bullismo in classe, ora spiegherà agli altri come affrontarlo

La Buona domenica Una studentessa ha chiesto aiuto all’infermiere scolastico. Ed è nato il progetto «La resilienza a scuola».

Quando ci si trova costretti nella morsa dei bulli sembra di non avere vie d’uscita, di essere destinati a una vita di lacrime e ferite. Eppure c’è sempre una possibilità di rinascita: lo dimostra la storia di una studentessa dell’istituto Mamoli di Bergamo che chiameremo Anna, ora protagonista del progetto «La resilienza a scuola» messo a punto con l’infermiere scolastico Paolo De Lia. Anna non trovava voce per esprimere l’inferno che stava attraversando. Allora ha concentrato tutto il suo dolore nei suoi disegni. Ce n’è uno in cui si rappresenta con la bocca aperta in un grido, le mani premute sulle orecchie, in una composizione che ricorda «L’urlo» di Munch, e tutto intorno si affollano le parole che nessuno mai vorrebbe sentirsi dire: «Perdente, mostro, stupido, ritardato, incapace, grassone», e altre ancora. Sono le tracce delle violenze che Anna si è sentita addosso per anni.

«È un fenomeno - sottolinea Paolo De Lia - che interessa moltissimi ragazzi, che però non hanno spazi per farlo emergere. Gli adolescenti spesso non vengono ascoltati, gli adulti che hanno intorno tendono a minimizzare i loro disagi. Quando invece riescono a trovare l’ambiente giusto e un supporto si aprono e riescono a confidare quali maltrattamenti, abusi e violenze abbiano subito anche dagli stessi compagni, com’è avvenuto nel caso di Anna». Queste situazioni sono più diffuse di quanto si pensi: secondo i dati dei più recenti studi, in Italia 50 minori su mille sono vittime di questo genere di violenze. «Una delle fasi più delicate - sottolinea De Lia - è proprio quella dell’adolescenza, in cui si verificano molti episodi nascosti di cui non si parla, dal bullismo a molti generi di violenza: psicologica, verbale, economica, sessuale». Spesso a farne le spese sono ragazzi come Anna, che hanno alle spalle situazioni di fragilità oppure attraversano momenti di profonda crisi personale. Lei è stata presa di mira da alcuni compagni di classe e coetanei, che esercitando pressione su una situazione già complessa l’hanno fatta crollare.

«Accade frequentemente - continua De Lia - che il bullismo tocchi proprio le persone più vulnerabili in momenti particolari vissuti con fatica e senza sostegno. Anna si è sentita un macigno addosso, un peso troppo grande da sopportare». All’Isis Mamoli gli studenti possono contare sulla presenza giornaliera dell’infermiere scolastico grazie al progetto «La salute a scuola: Inserimento dell’Infermiere scolastico presso I’Istituto superiore Maria Grazia Mamoli», promosso e sostenuto da CNAI- Associazione Regionale Lombardia Infermiere/i e dall’associazione Cuore Batticuore ODV nonché sulla attivazione dello sportello psicologico. I primi segnali di disagio, però, possono essere colti nel modo migliore soprattutto da chi trascorre tempo tutti i giorni con i ragazzi come i genitori, i docenti, oppure da chi li segue dal punto di vista sanitario, come il pediatra oppure il medico di base. Solo quando le situazioni vengono a galla si può avviare un percorso nella famiglia e nella classe.

«Non mi sentivo ascoltata. Tutti mi dicevano di farmi forza e che sarebbe passato tutto»

«L’indifferenza - come scrive Liliana Segre - è più colpevole della violenza stessa. È l’apatia morale di chi si volta dall’altra parte». Questa è la sensazione che ha avvertito Anna, come se il mondo le avesse voltato le spalle: «Non mi sentivo ascoltata - ricorda -. Tutti mi dicevano di farmi forza e che sarebbe passato tutto». Non è stato così: i bulli, pur essendo a conoscenza della sua storia difficile e delle sue fragilità, continuavano a mettere in atto le loro peggiori pulsioni. Anna si sentiva sempre peggio. «Le persone che esercitano atti di bullismo - osserva De Lia - spesso non hanno avuto una corretta maturazione emotiva. Non hanno consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni: non si fanno scrupoli a picchiare una ragazza, rinchiuderla per tutto il pomeriggio in uno stanzino al buio, a girare un video imbarazzante per caricarlo sui social. Spesso fanno parte di un “branco” i cui membri si danno forza l’un l’altro».

Le violenze, i maltrattamenti, gli atti di bullismo non sempre lasciano cicatrici visibili, ma nell’anima i segni restano, molto profondi.

Anna ha tentato ripetutamente di parlarne, poi le è rimasto soltanto lo sfogo di un pianto silenzioso, che la faceva sentire impotente. «Capita - sottolinea De Lia - che quando un adolescente piange minimizziamo il problema e gli diamo una pacca sulla spalla, finendo così per rimarcare le sue difficoltà, senza renderci conto di che cosa abbia bisogno veramente, di quale sia il motivo del suo disagio». Le violenze, i maltrattamenti, gli atti di bullismo non sempre lasciano cicatrici visibili, ma nell’anima i segni restano, molto profondi. Anna li rappresenta come un cuore spezzato, con una sola ala, con ago e filo per ricucire, e sotto scrive solo «Me», una creatura ferita. «È stata una grande fatica - dice - far emergere queste emozioni, ci sono riuscita solo con il disegno».

«Non si costruisce in un giorno, è un percorso lungo che dura mesi. Anna si è rivolta allo sportello ma all’inizio non riusciva a parlare di quello che le era successo, perciò è nata l’idea di comunicare il suo malessere attraverso le immagini»

L’ambulatorio dell’infermiere scolastico in questa situazione ha svolto il ruolo prezioso di antenna e di «attivatore» delle risorse personali, grazie al rapporto instaurato con gli studenti: «Ho sempre portato avanti molte azioni di prevenzione. Essendo istruttore di rianimazione, per esempio, mi sono presentato nelle classi proponendo corsi di primo soccorso, così i ragazzi hanno iniziato a conoscermi e a far nascere un rapporto di fiducia, requisito fondamentale per creare una relazione e confidarsi. Non si costruisce in un giorno, è un percorso lungo che dura mesi. Anna si è rivolta allo sportello ma all’inizio non riusciva a parlare di quello che le era successo, perciò è nata l’idea di comunicare il suo malessere attraverso le immagini».

«L’adolescenza è uno dei periodi di massima espansione a livello fisico e mentale, perciò sono grandissime le risorse che gli adolescenti possono esprimere, anche se non ne sono consapevoli»

La studentessa ha risposto con entusiasmo, gioia e stupore, in seguito, quando da questi disegni è nato un nuovo progetto per promuovere «La resilienza a scuola», valorizzando il suo coraggio: «Anna si è resa disponibile - osserva Paolo - a portare nelle classi un approfondimento su queste immagini e a raccontare in parte il suo vissuto, senza esporsi troppo e senza entrare nei dettagli, ma testimoniando il suo malessere. In questo modo può raggiungere con delicatezza altre sofferenze, altre storie di fragilità simili alla sua, comunicando che è sempre possibile riemergere. Mi sembra importante che i ragazzi sappiano che cos’è la resilienza. Quando si presenta una situazione negativa e di sofferenza è importante saperla accogliere e affrontare. Poi si può rinascere grazie a un percorso di sviluppo delle potenzialità interne che ognuno possiede. L’adolescenza è uno dei periodi di massima espansione a livello fisico e mentale, perciò sono grandissime le risorse che gli adolescenti possono esprimere, anche se non ne sono consapevoli».

L’ambulatorio dell’infermiere scolastico è un luogo che raccoglie molti disagi: «C’è chi fatica a gestire l’ansia oppure soffre di attacchi di panico, anche in modo grave. Ci sono poi disturbi comuni come mal di testa o problemi digestivi, ma anche situazioni più serie come le variazioni del livello della glicemia per i diabetici. Molti studenti mangiano in modo disordinato o saltano addirittura i pasti: sono diffusissimi i disturbi alimentari. Riscontriamo comunque in modo abbastanza frequente anche maltrattamenti, violenze e discriminazioni, spesso all’origine di gravi situazioni di crisi. L’infermiere scolastico si inserisce attivamente in rete con assistenti sociali, psicologi e neuropsichiatri: quando se ne presenta la necessità lavoriamo in team per rispondere alle necessità dei ragazzi».

Ogni anno secondo l’Istat si verificano circa 500 suicidi di persone sotto i 34 anni, molti dei quali adolescenti: «Se ne parla pochissimo - commenta De Lia - e quando succede tutti dicono che non era prevedibile. A me sembra però che si possa fare di più, osservando da vicino i ragazzi, prendendosi cura di loro non solo per quanto riguarda le performance scolastiche ma anche dal punto di vista emotivo e della salute, che condiziona profondamente il loro comportamento».

«Leeimmagini realizzate da Anna saranno plastificate e portate nelle classi. Si potrà lavorare su di esse e avviare riflessioni e ragionamenti»

Il progetto «La resilienza a scuola» è in via di definizione e sarà messo a punto nei mesi estivi, per iniziare a settembre: «Partiremo dalle immagini realizzate da Anna - spiega De Lia - che saranno plastificate e portate nelle classi. Si potrà lavorare su di esse e avviare riflessioni e ragionamenti. Sarà possibile approfondire partendo dalla testimonianza di Anna e dare impulso in questo modo a un’attività specifica di prevenzione su temi legati al bullismo e alla violenza. Dialogando sui disegni, per esempio, potremo chiedere ai ragazzi di mettersi nei panni dei compagni di Anna e cercare di capire che cosa non ha funzionato nella relazione con loro, quali emozioni sono entrate in gioco, che cosa si potrebbe fare meglio. Potranno provare a immaginarsi che cosa avrebbero fatto loro se fossero stati coinvolti, senza colpevolizzare ma analizzando in modo attento la situazione per costruire mezzi e conoscenze adeguate per affrontare in futuro situazioni analoghe».

Anna è stata protagonista di una grande trasformazione, che ha attuato principalmente con le sue forze. Si sentiva sola, disperata, emarginata dal gruppo dei pari, ma ha avuto il coraggio di prendere in mano la situazione e di ripartire da sé stessa e dalle sue qualità personali. «L’abbiamo affiancata per darle fiducia - aggiunge Paolo De Lia -, convinti che l’aiuto non debba calare dall’alto, ma germogliare dalle risorse interne. L’infermiere scolastico è stato solo un attivatore. Spesso un soggetto ferito e segnato da cicatrici perde contatto con la realtà e non ha consapevolezza del proprio valore e delle proprie capacità. Si sente completamente inutile, crede di non avere più vie d’uscita, ma non è così, spesso ha talenti anche più grandi rispetto ad altri che non hanno lo stesso passato difficile».

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