Manuela e la vita guardata con la forza del cuore. «Così ho imparato a non mollare mai»

LA STORIA. Manuela Verga ha perso la vista quando aveva vent’anni, ma non ha rinunciato a un’esistenza piena e intensa.

«Le cose più belle nella vita non si vedono con gli occhi, ma con il cuore»: c’è una luce speciale nel sorriso di Manuela Verga, 58 anni, di Madone, che sembra illuminarle il viso dall’interno. Esprime tutta l’energia di chi ha dovuto affrontare molte prove nella vita, è caduta ma è riuscita a rialzarsi. Ha perso la vista a causa di un glaucoma, ma ha imparato a vedere con altri sensi. Non è stato facile, lo ammette lei stessa: «Faccio fatica ad accettarlo anche adesso, dopo tanti anni».

Nonostante questo, non si è mai arresa. La vista se n’è andata, purtroppo, ma la sete di vita no. Manuela lavora in città, negli uffici di Confcommercio, e ogni mattina affronta il mondo insieme a Fly, la sua inseparabile Labrador color miele, che chiama affettuosamente «il mio angioletto peloso».

Il cane Fly

Fly, addestrata come cane guida, la conduce per le strade del centro con sicurezza: «Mi dà autonomia, conforto. Io vivo per lei, come lei vive per me». Fly è una presenza solida nelle sue giornate, quelle buone e quelle storte, in cui la nostalgia della sua Renault 5 Parisienne torna come un nodo alla gola. «Mi manca tantissimo guidare – spiega –. A volte, quando sono seduta in macchina, tocco le marce e mi sembra di sentire ancora la frizione, il rumore della strada sotto le ruote».

La perdita della vista

Ha cominciato a perdere la vista da adulta, poco dopo i vent’anni, dopo un lungo percorso di diagnosi e interventi. «Ero una ragazza come tante altre, avevo la patente, lavoravo, uscivo. Poi sono arrivate le prime avvisaglie della malattia. E da lì è iniziato tutto. Ho perso la vista gradualmente».
Il mondo intorno a lei, lentamente, è scivolato nell’ombra. Manuela però non è tipo da restare ferma. «Ho vissuto sopra le righe – racconta con un sorriso sbarazzino –. Mi piaceva tanto fare volontariato nei canili, perché amo prendermi cura degli animali. Quando ho iniziato a non poter più guidare mi facevo accompagnare da amiche o conoscenti. Volevo continuare a sentirmi utile, e quei cani mi davano tantissimo».

È stato un modo per sentirsi sempre viva e utile. «Anche quando non vedevo quasi più, andavo lo stesso. Pulivo, imboccavo i cani anziani. Mi sentivo ancora d’aiuto per qualcuno». Gli animali sono da sempre una parte importante del suo universo affettivo. «Ne ho adottati tre, tutti tolti da situazioni difficili. Una era tripode, le mancava una zampa. Ma io non potevo separarmi da loro».

Eppure, anche dentro quel buio, qualcosa di nuovo ha continuato a vibrare.

Poi, nel 2012, la malattia le ha tolto anche il residuo di vista che le era rimasto. «L’occhio sinistro è collassato, e nonostante diversi interventi, non è stato possibile recuperarlo. Ho capito che la vista non sarebbe tornata. Mi sentivo chiusa in un barattolo, spingevo per uscire ma ne restavo prigioniera». Eppure, anche dentro quel buio, qualcosa di nuovo ha continuato a vibrare. «I familiari e gli amici mi dicevano: dai Manuela, tirati su, sei forte. E allora ho cominciato a provarci davvero. Ho iniziato a frequentare una palestra, e da allora non ho più smesso. Due, tre volte alla settimana. Mi piace, mi fa stare bene. È uno sport che sento adatto a me».

Non si è fermata lì. Ha imparato a suonare la chitarra: «Ho fatto il mio saggio, suonavo le canzoni di Jovanotti e “Il ragazzo della via Gluck”». Poi si è iscritta a un corso di autodifesa con l’associazione Omero.
Ha scoperto la montagna. «Una volta amavo il mare, lo dicevo sempre: in montagna, mai. E invece ora la adoro. Ho imparato ad amarla in Trentino con l’associazione Fiemme Fassa Sport Inclusive. Ci vado ogni anno, seguendo le loro attività con i volontari, e Fly si diverte più di me».

La montagna e non solo

Il suo racconto del momento in cui è arrivata sulla cima, dove si trova il Cristo Pensante, sul Monte Castellazzo (2333 m.), nello scenario del Parco Naturale delle Pale di San Martino, sembra una preghiera sussurrata. «Non pensavo di farcela, ma ci sono arrivata. Quando finalmente ho toccato la statua, ho sentito il freddo del marmo e la corona di filo spinato. Ho sentito attraverso questa rappresentazione del Cristo cos’è il dolore, la fatica e la pace insieme».

Da allora ha provato di tutto: trekking, sci di fondo, equitazione, e arrampicata. «Quando ho detto “voglio provare”, non mi smuoveva più nessuno. Sono arrivata a dieci metri di altezza, imbragata, con il cuore che batteva fortissimo».
La vita piena di Manuela non si misura solo nelle imprese, bensì nella quotidianità fatta di gesti ripetuti, di strategie che le permettono di orientarsi nello spazio e nelle attività della giornata.

Al mattino, la casa si sveglia con la voce di Gigi, suo marito, che prepara il caffè e controlla che tutto sia al posto giusto. È lui a prendersi cura dei dettagli invisibili: le tende leggermente aperte per far entrare l’aria, la tazza sempre nello stesso punto, la borsa vicino alla porta. «Gigi è la mia colonna – dice lei con tenerezza –. Mi aiuta in tutto, mi sostiene, mi incoraggia. Se non fosse per lui, molte delle cose che ho fatto non le avrei nemmeno immaginate».

Pazienza e complicità

Il loro è un equilibrio di pazienza e complicità. Gigi la accompagna quando serve, ma la lascia andare quando Manuela vuole cavarsela da sola. «Non mi fa mai sentire un peso. Mi spinge a fare, a tentare, anche quando sono dubbiosa». È lui che le sistema lo zaino prima delle uscite in montagna, che la aiuta a trovare l’attrezzatura, che la aspetta quando torna dalla palestra, stanca ma felice. «Dice che quando torno con il sorriso, ne vale sempre la pena». Fly è il suo sguardo nel mondo. «Con lei comunico a voce, ma anche con il corpo. Sente il mio umore, capisce se sono agitata o tranquilla. Quando mi perdo in un pensiero, lei si ferma e aspetta. Se qualcuno mi parla per strada, si mette davanti, come per dire: “Ci sono io”. Grazie a lei ho incontrato tante persone, che si fermano a parlarmi proprio perché vedono Fly».

La tecnologia per connettersi con il mondo

Durante il giorno, Manuela lavora al computer grazie a un programma di sintesi vocale. «Sembra complicato, ma per me ormai è naturale. La voce che esce dal pc è un po’ metallica, ma è diventata una presenza familiare. Mi permette di leggere documenti, scrivere e-mail, fare tutto quello che serve».La sera è il tempo della calma. «A volte io e Gigi ascoltiamo la televisione insieme: io seguo più dal suono che dalle immagini, ma mi piace sentire le voci, riconoscerle. Ci basta poco per stare bene». Fly dorme ai loro piedi, pronta a scattare al primo rumore.

Eppure, in questo ritmo ordinario, non manca la spinta verso il nuovo. «Non riesco a stare ferma. Ho voglia di provare cose che mi fanno sentire viva». Così Manuela ha continuato a mettersi in gioco, cogliendo l’occasione inaspettata di cimentarsi anche in alcune sfilate di moda.
La prima a cui ha partecipato in città nel 2010 è stata organizzata dall’Unione Italiana Ciechi, seguita dalla realizzazione di un calendario. Le è rimasta particolarmente nel cuore l’esperienza vissuta con il progetto Rosa Assoluto, nello scorso mese di settembre, alla sfilata «Sette spose per un Castello» a Cereseto, nel Monferrato. Era interamente dedicata a modelle con disabilità visiva grave, non vedenti e ipovedenti, organizzata da Simona Giantin, responsabile e fondatrice del progetto.

La sfida della moda

«All’inizio ero titubante – commenta Manuela –. Il glaucoma non favorisce la bellezza e l’espressività dello sguardo. Ma Simona, che organizza queste sfilate, ci ha insegnato che la femminilità si può esprimere in altri modi. Che si può essere comunque belle, anzi, bellissime». Così Manuela si è ritrovata nei panni per lei insoliti di modella in un castello medievale, indossando un abito da sposa. «È stata un’esperienza unica, molto emozionante. Eravamo in sette, tutte donne non vedenti e ipovedenti. Il ricavato della serata è stato devoluto in beneficenza. Mi sembrava un sogno essere lì. Truccata, pettinata, con l’abito sistemato dalle sarte, e Fly al mio fianco. Ci siamo sentite delle principesse. Nonostante l’età, nonostante tutto».

«Anche se sei non vedente, puoi sentirti bella, desiderabile, viva. Ho sofferto tanto per la perdita della vista, anche perché so quello che ho perso. Ma non voglio che il dolore mi definisca»

Non se lo sarebbe mai immaginato: «È iniziato tutto come un gioco, una sfida con me stessa, ma quella sera ero felice come una ragazzina».
Il progetto continuerà, e lei non vede l’ora di tornare in passerella, perché per Manuela questa iniziativa «lancia un messaggio importante per tutte: anche se sei non vedente, puoi sentirti bella, desiderabile, viva. Ho sofferto tanto per la perdita della vista, anche perché so quello che ho perso. Ma non voglio che il dolore mi definisca».

Non mollare mai

Il suo motto è semplice, scolpito nella sua voce e nel suo sorriso: «Non mollare mai». Non lo dice come uno slogan, ma come un imperativo quotidiano, tra ostacoli superati e continue conquiste.
E in fondo è proprio questo che la rende luminosa: non la forza ostentata, ma la delicatezza con cui accetta la fragilità. La capacità di tenere insieme la nostalgia e la speranza, la perdita e la rinascita.

«Se ripenso agli ultimi anni, ho avuto tante possibilità che forse senza la malattia non avrei neppure cercato, e ho scoperto che ogni esperienza, anche difficile, alla fine può portare qualcosa di positivo»

Ascoltandola si capisce che non solo è una donna che resiste, ma si reinventa, osa, scompone la paura fino a renderla materia di vita. «A volte sogno ancora di guidare – ammette –. Di sfrecciare via, con il vento nei capelli e la strada davanti. Ma poi penso che, in fondo, sto comunque tenendo il volante della mia vita. Solo in un altro modo».

I sentimenti possono generare luce che attraversa il buio e lo trasforma in orizzonte

Al suo fianco ci sono sempre Fly e suo marito Gigi, con la sua presenza affidabile, silenziosa e tenace, per mostrarle che i sentimenti possono generare luce che attraversa il buio e lo trasforma in orizzonte. Perché, come dice Sant’Agostino, «chi supera se stesso supera il mondo». Così Manuela, ogni giorno, ricorda a se stessa: «Nella vita purtroppo si cade, ma poi ci si rialza ancora più forti di prima. Se ripenso agli ultimi anni, ho avuto tante possibilità che forse senza la malattia non avrei neppure cercato, e ho scoperto che ogni esperienza, anche difficile, alla fine può portare qualcosa di positivo».

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