Quel bambino volato in cielo a sei anni ha seminato splendidi fiori di solidarietà

LA STORIA. Federico Maffeis, colpito da un tumore aggressivo, ha lasciato ricordi indelebili e doni per la Pediatria.

I boschi nelle fiabe sono luoghi misteriosi, in cui le traiettorie dei personaggi si incontrano in modo imprevedibile. Ci piace pensare che anche il «Bosco di Fede» a Brusaporto sia così, con gli alberi che, come scrive Erri De Luca, hanno «radici per terra e testa verso il cielo». Chi sa ascoltare, camminando fra le piante, in silenzio, può sentire nel vento, come una carezza, la voce del bambino a cui questo luogo è dedicato, Federico Maffeis, che a sei anni, nel gennaio del 2022 è volato in cielo a causa di un tumore.

Questo bambino speciale ha affrontato la malattia con grande coraggio, sempre con il sorriso. La gioia e l’amore che ha diffuso intorno a sé sono diventati semi che hanno già dato vita a progetti di solidarietà a favore dell’Associazione Amici della pediatria, grazie all’impegno della sua famiglia: la mamma Roberta, il papà Simone e il fratello minore Mattia. Roberta e Simone sono cresciuti all’oratorio di Brusaporto, il loro legame è nato tra Centri ricreativi estivi e campeggi in montagna. «Ci conosciamo dal 2000, ci siamo sposati – ricorda Roberta –, nel 2015 è nato Federico, poi nel 2019 Mattia». Quando gli chiedono quanti figli hanno, rispondono sempre due «perché per noi Federico c’è sempre».

L’inizio del calvario

Il loro calvario è iniziato a dicembre 2019, quando il figlio minore Mattia aveva solo sei mesi. «Federico – continua Roberta – aveva forti dolori addominali. L’abbiamo portato in Pronto soccorso e dall’ecografia, purtroppo, i medici hanno riscontrato un tumore nel rene sinistro. Una notizia che ci ha gettato nello sconforto». In ospedale Roberta e Simone hanno incontrato il dottor Massimo Provenzi, responsabile dell’Oncologia pediatrica dell’ospedale «Papa Giovanni XXIII». «Si è dimostrato fin dall’inizio professionale e competente – sottolinea Simone – ma anche sensibile ed empatico. Ci ha spiegato che cosa potevamo aspettarci, ci ha invitato a stare tranquilli, e questo ci ha aiutato in quel momento di desolazione».

La Tac ha mostrato che il rene sinistro era compromesso. «Federico – continua Simone – aveva il tumore di Wilms. Subito dopo la Tac ha iniziato la chemioterapia in day hospital in vista dell’intervento». Spiegargli che doveva andare in ospedale e aiutarlo ad affrontare la fatica delle terapie non è stato semplice. Dopo il primo intervento chirurgico, durante il quale gli è stato asportato un rene, e dopo la biopsia, Roberta e Simone hanno potuto avere un quadro più completo della situazione: «Ci hanno detto che aveva quel tumore nella sua forma più aggressiva, anche se era stato individuato in modo precoce. Ci hanno dato speranze ma ci hanno anche chiarito che in caso di recidiva sarebbe stato molto difficile fermarlo».

I farmaci somministrati a Federico erano infatti «i più potenti»: «Ha iniziato la chemioterapia a febbraio – spiega Roberta – e l’ha terminata a ottobre, in dodici sedute. Ogni volta restavamo in ospedale per cinque giorni. Fra un ricovero e l’altro c’erano controlli, esami e la radioterapia». Nel frattempo è iniziata la pandemia di Covid 19, che ha reso più pesante la solitudine di questa famiglia: «Solo uno di noi poteva restare in ospedale, e a ogni ingresso dovevamo fare entrambi il tampone». Dovevano alternarsi in ogni ricovero per non far mancare sostegno a Federico ma neppure all’altro figlio Mattia. «In ospedale – dice Roberta – trascorrevamo il tempo tra giochi e attività, grazie all’associazione “Amici della pediatria”, che non ci ha mai lasciato soli».

Il sacchetto con i Lego

«Al momento del ricovero trovavamo un sacchetto per Fede con materiali adatti a svolgere diverse attività. Sapevano che era appassionato di Lego perciò ce ne facevano sempre trovare una confezione. Un gesto di attenzione e di cura prezioso perché ci permetteva di occupare bene il tempo nella nostra camera, che scorreva lentamente». È stato un periodo doloroso per Roberta, che ha dovuto affrontare anche la malattia e la morte del padre. Terminate chemioterapia e radioterapia, Federico ha ripreso la scuola materna a gennaio del 2021 e ha festeggiato il compleanno con la sua famiglia il 12 marzo. «Nel mese di maggio – racconta Roberta – mi sono accorta che qualcosa non andava, così ho chiesto di anticipare i controlli. L’ecografia e radiografia hanno evidenziato una recidiva. Un disastro». «La Tac – ricorda Simone – ogni volta era un incubo. Provenzi e lo staff del dottor Cheli hanno deciso di operarlo nuovamente, con esito positivo».

I ricoveri in ospedale e la necessità di affrontare gli interventi, i trattamenti, i farmaci hanno fatto crescere Federico molto in fretta per la sua giovanissima età: «All’inizio – dice il papà – era timido, c’è voluto un po’ prima che si aprisse e prendesse confidenza con i volontari, poi però il suo carattere è venuto fuori bene. Noi ce l’abbiamo messa tutta per farlo sentire a suo agio anche in ospedale. La sera prima dei ricoveri a casa facevamo il karaoke, per associarli a qualcosa di divertente». Le cose sembravano andare bene, così Federico ha potuto iniziare la prima elementare: «Pochi giorni dopo le dimissioni dall’ospedale – aggiunge Simone – è tornato a frequentare la squadra dei primi calci a Brusaporto, gli piaceva fare il portiere. Ero sbalordito e contento».

Gli ultimi giorni

Quella felicità, purtroppo è durata poco: «Il 31 dicembre, per Capodanno, abbiamo organizzato una gita sulla neve – racconta Simone –. Facevamo piccole discese con il bob, ci siamo divertiti. A un certo punto, però, Federico è caduto e ha battuto la testa. Ha perso i sensi e quando si è ripreso stava male, non riusciva a parlare e non riconosceva più nessuno. Abbiamo chiamato i soccorsi, siamo arrivati in ospedale con l’eliambulanza. È stato un momento drammatico. Gli esami purtroppo hanno mostrato che il male si era diffuso in modo irrimediabile. Il 25 gennaio è venuto a mancare».

Nei suoi ultimi giorni ha continuato a seguire le lezioni scolastiche con la didattica a distanza e ha fatto i compiti anche la sera prima di morire: «È stato bravissimo per tutto il percorso di cura – sottolineano i genitori –. Con il fratello era molto protettivo, cercava di non fargli pesare la situazione e di non mostrare i segni della malattia. Chiamava l’ospedale “quel posto” per non fargli capire cosa stesse succedendo. Era davvero speciale, medici, infermieri e volontari lo ricordano come serio e diligente. Si stupivano perché non trascorreva il tempo davanti alla televisione o ai videogiochi ma preferiva giocare e dedicarsi ad attività diverse». Non c’è stato un lieto fine per Federico ma la sua famiglia ha custodito sentimenti di gratitudine per tutti coloro che lo hanno accompagnato: «Ringraziamo infinitamente i medici e gli infermieri per l’amore, l’attenzione e la cura che hanno dedicato a nostro figlio e a noi. Gli “Amici della pediatria” in particolare sono riusciti a rendere ogni soggiorno in ospedale una sorpresa, fonte non solo di tristezza e di dolore, ma anche di gioia». Questo ha fatto nascere nella famiglia Maffeis il desiderio di aiutare altri bambini malati: «Nel reparto c’erano tante famiglie che arrivavano da fuori, abbiamo immaginato le loro difficoltà. Per questo abbiamo partecipato volentieri al progetto “Le Casette”, che offre ospitalità a famiglie, con bambini ricoverati, in appartamenti adeguati alle loro esigenze». Roberta e Simone hanno contribuito anche alla raccolta fondi per l’acquisto di strumentazione per il reparto di Pediatria e Oncologia pediatrica, che ha permesso di dotare le stanze di sistemi di monitoraggio dei pazienti.

«Le Casette»

Con la loro testimonianza hanno dato slancio anche alla raccolta fondi condotta dall’Oratorio di Brusaporto, con la guida di don Marco Ferrari. «Il nostro parroco – commenta Roberta – è stato profondamente toccato dalla storia di Federico. Durante la sua malattia ci è stato vicino, tenendosi sempre al corrente. Nel febbraio scorso ha organizzato un incontro all’Oratorio in cui sono intervenuti con noi Milena Lazzaroni, presidente degli “Amici della pediatria”, il dottor Provenzi e Bruna, un’infermiera di una sensibilità straordinaria. È stata una serata molto coinvolgente in cui abbiamo ripercorso la nostra storia, trasformandola in un’occasione per evidenziare il ruolo delle persone che si occupano di un bambino malato: medici, infermieri, volontari. Volevamo che i ragazzi capissero l’importanza di non sprecare la propria vita e la necessità di dare una mano alle persone più fragili». Da quella serata sono nate tante attività di raccolta fondi per «Le Casette». L’Oratorio di Brusaporto alla fine ha firmato un assegno di ottomila euro per gli «Amici della pediatria», frutto di una mobilitazione che ha coinvolto tutta la comunità: «I ragazzi del Cre sono andati tutti insieme a consegnarlo visitando “Le Casette” e il nuovo parco giochi dell’ospedale “GiCoBe” (“Gioco Colore Bergamo”), per toccare con mano le attività dell’associazione e comprendere meglio la situazione dei bambini malati».

Mattia è ancora piccolo, ha quattro anni e mezzo, ma conserva un ricordo vivido del fratello: «Tutti i giorni parliamo di Fede. Gli ho sempre detto che è in cielo, e il giorno dopo la sua morte è andato a prendere il binocolo, lo ha puntato verso il cielo e lo ha chiamato dalla finestra. Ora frequenta la scuola dell’infanzia di Brusaporto nella sezione Genzianelle, la stessa di Federico, con l’insegnante Ilenia, a cui siamo molto grati per la vicinanza che ci ha mostrato. Ha iniziato a capire cos’è la morte, e perché andiamo a trovarlo in cimitero. Cerchiamo di condividere con lui le nostre emozioni». A «Le Casette», casa d’accoglienza in via Foscolo (per informazioni www.amicidellapediatria.it), gli è stata dedicato l’appartamento numero due. La porta è dei suoi colori preferiti, giallo e nero, e nell’immagine c’è una costruzione Lego, il suo gioco preferito. «Lo appassionavano anche la matematica e il calcio, specie l’Atalanta – osserva il papà –. Siamo andati allo stadio e guardavamo sempre le partite nella nostra mansarda. Lui si preparava sul divano anche prima di me».

Il Comune di Brusaporto gli ha dedicato un’area riqualificata che è diventata bosco urbano, ai margini del paese, con 185 alberi. All’ingresso c’è un totem con un’immagine stilizzata del bambino e un suo disegno che rappresenta un bosco. Federico è un ricordo luminoso, che ispira tante persone: «Lo portiamo con noi e non vogliamo fermarci – conclude Simone –, realizzeremo nuovi progetti per custodire la sua memoria e il suo sguardo gioioso sulla vita».

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