Silvano, il primo donatore di midollo. «Impariamo tutti ad offrirci agli altri»

TRENTUN ANNI FA. Nella Bergamasca è stato l’apripista: da quel giorno altri 200 hanno seguito il suo esempio.

«Cominciate col fare ciò che è necessario - diceva San Francesco d’Assisi - poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile». Silvano Rota è stato il primo donatore di midollo osseo bergamasco: un apripista, nel 1994, quando l’associazione Admo locale muoveva i primi passi. Ha dato l’esempio agli oltre 200 che si sono susseguiti fino a oggi, con quel pizzico di incoscienza e coraggio che tocca a chi incomincia un’impresa. Qualcosa di semplice, e allo stesso tempo di grande, perché ognuno di questi donatori ha offerto speranza e la possibilità di salvare la vita a una persona gravemente malata.

La storia di Silvano

«Tutto è iniziato nel maggio del ’93 - ricorda Silvano -, quando avevo 29 anni. Eravamo nella cucina dell’Ospedale Maggiore di Bergamo, dove io e mia moglie Marilena lavoravamo. C’erano tutti i colleghi e parlavamo di questa nuova associazione Admo per i donatori di midollo osseo, che ancora non si conosceva perché era nata da poco a livello locale. Cercavano volontari per poter aumentare il numero degli iscritti. Erano agli inizi, ancora nessuno era stato chiamato per la donazione, perché trovare una compatibilità è raro, perciò erano un po’ demoralizzati».

La prima ad aderire è stata Marilena: «Lei era entusiasta e così io ho deciso subito di imitarla, l’ho seguita a ruota - sorride Silvano -, come accade a volte a noi uomini. Così sono andato a fare il piccolo prelievo necessario per la tipizzazione e l’iscrizione al registro dei donatori di midollo osseo. Non credevo che andasse a buon fine, pensavo comunque che ci volesse molto tempo, proprio perché non era mai capitato a nessuno fino a quel momento di essere chiamato per una probabile compatibilità. Poco tempo dopo, invece, mi hanno comunicato che c’era una persona in attesa di trapianto di midollo con una compatibilità perfetta con me. I medici del Centro Trasfusionale erano felici, perché avevano trovato finalmente il primo possibile donatore e per di più in casa propria, perché lavoravo in ospedale. Fino a quel momento avevano pensato di dover cercare chissà dove. Mi sono lasciato contagiare dal loro entusiasmo, mi sono sentito elettrizzato e felice, soprattutto sapendo che sarei stato il primo».

A questo si è accompagnata anche una forte consapevolezza dell’importanza di questo gesto: «Ho avvertito anche il peso della responsabilità - osserva Silvano - e non è stata una cosa da poco. Stavamo per sposarci, perciò la mia prima preoccupazione è stata chiedere se avrei dovuto spostare la data del matrimonio. Invece non è stato così, mi hanno detto che avrei potuto recarmi in ospedale per ulteriori accertamenti una volta rientrato dal viaggio di nozze».

Dopo la decisione gli accertamenti medici

Così, una volta rientrato, ha iniziato l’iter degli accertamenti medici previsti per i donatori: «Sono stato sottoposto a numerosi controlli, che mi hanno dato molta sicurezza, convincendomi che non c’erano rischi in questa procedura, anche se non se ne sapeva ancora molto. Ogni volta i medici mi chiedevano se fossi sempre intenzionato a procedere. Mi avevano chiarito che fino all’ultimo, era possibile tirarsi indietro, se mi fosse sorto qualche dubbio oppure se avessi avuto dei problemi. So che poi negli anni è capitato che qualcuno interrompesse a un certo punto la procedura. Più si va avanti, però, più la rinuncia diventa pericolosa per il ricevente».

Il giorno del trapianto

Il giorno del trapianto, a marzo del ’94, Silvano è stato accompagnato da Marilena: «Il prelievo si è svolto all’ospedale San Matteo di Pavia. Ci siamo trovati in un centro nuovo, appena realizzato, che ci ha fatto subito un’ottima impressione. Ricordo che davanti alla porta c’era un gruppo di preti, e tra loro il Vescovo di Pavia (Giovanni Battista Volta - ndr) che proprio quel giorno, in prossimità della Pasqua, era in visita agli ammalati. Mi hanno chiesto chi fossi e cosa facessi lì, gli ho raccontato la mia storia e così ho ricevuto anch’io una benedizione, in un momento così significativo per la mia vita. È stata una coincidenza particolare, che infatti mi ricordo ancora oggi».

La donazione, avvenuta nel suo caso con il prelievo diretto dalle ossa del bacino, non ha dato a Silvano particolari problemi: «Al risveglio dall’anestesia mi sentivo un po’ spossato, ma nel tardo pomeriggio dello stesso giorno sono comunque uscito a fare una passeggiata. Nel giro di pochi giorni la stanchezza era passata e ho ripreso ad allenarmi e a fare regolarmente attività sportiva. Quando sono tornato sono passato al centro trasfusionale per un saluto, e tutti mi si assiepavano intorno per sapere come fosse andata. Erano curiosi perché ero proprio il primo donatore e se ne parlava ancora pochissimo, perciò mi facevano mille domande. Hanno messo un fiocchetto azzurro fuori dal centro trasfusionale e mi hanno dato una pergamena con una dedica per ricordare in modo solenne questa prima donazione. È stata una grande festa e una grande emozione, che ho condiviso con parenti e amici. Mi facevano tutti i complimenti, ma dato che eravamo ancora agli albori mi dicevano anche che ero matto a fare una cosa del genere, perché non si sapeva nulla sulle possibili conseguenze».

Oggi la maggior parte delle donazioni di midollo osseo avviene con un prelievo di sangue periferico (info su www.admo.it): «È un metodo ancora più semplice - osserva Silvano - comunque anche nel mio caso si è trattato di un intervento brevissimo, che non mi ha causato conseguenze».

La felicità di aver fatto un gesto di solidarietà

È stato contento di fare da apripista: «Poco tempo dopo c’è stata una seconda donazione di midollo, fatta all’ospedale di Bergamo, per un paziente che si trovava addirittura in Australia. Sono stato felice di aver messo un primo tassello in una storia che poi fortunatamente ha visto tante persone mettersi a servizio di chi ne aveva bisogno. Ne occorrerebbero molte di più».

La possibilità di trovare un donatore di midollo osseo compatibile non consanguineo, infatti, è molto rara: «Fra i parenti è del 25%, tra non consanguinei invece corrisponde più o meno a uno ogni centomila persone. Perciò più ci sono uomini e donne sensibili e disponibili, più aumentano le possibilità di salvare persone con malattie gravi e in pericolo di vita».

Non ha saputo molto della persona che ha ricevuto il midollo: «Mi hanno detto che era una giovane intorno ai vent’anni, malata da quattro. Mi sono augurato di averle donato un po’ di speranza. Mi sono messo nei panni del ricevente e della sua famiglia, ho pensato come mi sarei sentito se fosse capitato a me oppure a uno dei miei figli, anche per questo ho avvertito l’importanza di un gesto che in fondo non costa una grande fatica ai donatori. Sarebbe bello se si incominciasse a parlarne in tutte le scuole».

«In altri Paesi europei sono più intraprendenti di noi in queste azioni di sensibilizzazione: penso sia davvero essenziale investire in prevenzione, nella formazione di una coscienza civile, perché tutti sentano una responsabilità nei confronti degli altri e della società». Silvano ha proseguito poi i controlli, seguendo il protocollo riservato ai donatori di midollo osseo: «C’è stata una serie di visite periodiche per verificare le mie condizioni di salute, per i dieci anni successivi, ed è sempre andato tutto bene». Dato che lavorava in ospedale, soprattutto in quella fase iniziale ha continuato ad essere un punto di riferimento per chi chiedeva informazioni sulla donazione: «Se qualcuno aveva curiosità o dubbi, lo mandavano da me e io volentieri raccontavo la mia storia».

Il lavoro in ematologia

Per cinque anni, dal 2012 al 2017, ha lavorato proprio nel reparto di ematologia: «Sono stato accanto a persone in attesa di trapianto - spiega -, così ho scoperto anche tutti i retroscena di questa avventura. Il ricevente deve sottoporsi a un ciclo di chemioterapia di una decina di giorni, che abbassano le difese immunitaria; perciò, è un momento delicatissimo e ci sono ovviamente dei rischi, si possono scatenare una serie di conseguenze di cui molti non si rendono conto, anche per questo quando si inizia il processo finalizzato alla donazione è così importante arrivare fino in fondo. Sono stato accanto ai pazienti nella vita quotidiana, ho visto che purtroppo l’esito non è sempre positivo, ma ho riscontrato spesso in loro una grande forza d’animo e gioia di vivere, a volte erano addirittura loro a risollevarmi il morale in una brutta giornata. Sono un chiacchierone e ho sempre cercato di portare un sorriso e qualcosa di positivo ogni volta che entravo nella stanza».

Gli anni del volontariato

Anche dopo aver cambiato mansione Silvano ha proseguito nelle attività di volontariato: «Con un gruppo di colleghi organizziamo iniziative per la raccolta fondi. Ci impegniamo in particolare per sostenere le attività della Casa del Sole, che accoglie pazienti che arrivano da lontano e sono in cura all’ospedale Papa Giovanni XXIII. Cerchiamo di raccogliere fondi perché le risorse disponibili in quest’ambito non sono mai abbastanza».

In seguito, ha avuto tre figli e l’esperienza che ha vissuto ha cambiato il suo sguardo sul mondo: «Mi ha aiutato molto a dare il giusto peso a ciò che accadeva, ha rimodulato la mia scala di valori. Pensando a ciò che ho vissuto mi sono impegnato ancor di più ad avere un atteggiamento positivo di fronte alle difficoltà. Mi sono reso conto che a volte ci lamentiamo per cose senza importanza e non ci accorgiamo di quanto sia bello il mondo e preziosa la vita. Ci sono tanti ambiti importanti in cui impegnarsi e offrire un contributo alla comunità, all’oratorio, nello sport. Sono tutti modi per offrire un pezzo di sé stessi e un dono agli altri».

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