Locati: l’accessibilità non è solo strutturale ma anche relazionale

IL MODELLO «DAMA». l’esperienza dell’ospedale «Papa Giovanni XXIII» di Bergamo al convegno tenutosi a Catania.

«L’inclusione non può essere un’eccezione, deve essere la regola». Con queste parole, il direttore generale dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, Francesco Locati, ha sintetizzato lo spirito del modello «Dama» (Disabled Advanced Medical Assistance), protagonista del convegno nazionale svoltosi il 24 maggio all’Hotel NH Parco degli Aragonesi di Catania.

Promosso dal ministero per le Disabilità, l’incontro ha riunito esperti del settore, medici, associazioni e istituzioni per confrontarsi sull’evoluzione di un modello nato per garantire cure ospedaliere accessibili, personalizzate e rispettose delle persone con disabilità, in particolare intellettive e relazionali, attraverso la creazione, la gestione e il coordinamento dei percorsi diagnostico-terapeutici in capo a un’unica equipe multidisciplinare.

Ad aprire i lavori è stata la ministra Alessandra Locatelli, che ha sottolineato l’urgenza di «estendere questo approccio innovativo in tutti i presidi ospedalieri italiani». Il suo appello è chiaro: «Serve il coinvolgimento attivo di medici e direttori sanitari. Solo insieme possiamo rendere strutturale ciò che oggi è ancora sperimentale». Nato nel 2004, il modello «Dama» si è evoluto in una rete di buone pratiche che oggi coinvolge diverse realtà, da Mantova a Cosenza, da Bologna a Bari, passando per Bergamo, dove l’Ospedale Papa Giovanni XXIII è un punto di riferimento.

Durante il convegno, moderato dal professor Filippo Ghelma, direttore della Struttura «Dama» dell’Asst Santi Paolo e Carlo, si sono susseguiti interventi di alto profilo, come quello di Nicola Panocchia, coordinatore della Carta dei Diritti delle Persone con Disabilità in Ospedale, e di Cristiano Stea, direttore della Struttura per le disabilità dell’Asugi.

A portare la voce della Bergamasca è stato Francesco Locati: «Nel nostro ospedale, ogni anno il reparto di Odontoiatria e Stomatologia prende in carico circa 300 bambini con disabilità, in collaborazione con Adasm-Fism. In cinque anni abbiamo seguito oltre 1.500 piccoli pazienti, con un approccio multidisciplinare». Un’esperienza che dimostra come l’accessibilità non sia solo strutturale, ma anche relazionale e organizzativa. Gli ha fatto eco Umberto Mariani, responsabile dell’Unità di Odontostomatologia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo: «Il modello “Dama” ci ha insegnato che prendersi cura significa prima di tutto saper ascoltare. La salute orale, spesso trascurata nei pazienti con disabilità, deve diventare parte integrante della qualità della vita».

Ad aggiungere colore e umanità al racconto, anche il contributo dell’artista Silvio Irilli, fondatore del progetto «Ospedali dipinti», che trasforma i reparti in spazi più accoglienti attraverso l’arte murale.

«Prendersi cura e insegnare a curare» è stato il filo conduttore del secondo panel, con la partecipazione degli Ordini dei Medici e delle società scientifiche. Tra gli interventi, quelli di Filippo Anelli, presidente Fnomceo, Loreto Gesualdo, presidente Fism, e Paolo Ottolina, presidente Sioh.

Ampio spazio è stato dato anche alle testimonianze dirette, per avvalorare l’importanza di un ambiente sanitario empatico, preparato e rispettoso. Dal palco di Catania sono intervenuti rappresentanti di Anffas ed Ens, familiari e caregiver, tra cui Cristina D’Antrassi, Salvatore Nania e Federica Cocuzza.

In chiusura, la ministra Locatelli ha ribadito l’intenzione di tradurre il confronto in azioni concrete: «Vogliamo arrivare a linee guida nazionali, ma anche a una nuova cultura della cura. Chi si prende cura deve essere messo nelle condizioni di farlo al meglio, e chi riceve cure deve sentirsi al sicuro, rispettato, ascoltato».

Se il «Dama» punta a diventare lo standard nazionale, Bergamo è già in cammino. L’Asst Papa Giovanni XXIII ha costruito una rete ospedale-territorio centrata sulla persona. «Abbiamo ancora margini di crescita – conclude Locati – ma siamo convinti che l’unica sanità giusta sia quella che non lascia indietro nessuno».

Un messaggio potente, in un’Italia che guarda al futuro della medicina con gli occhi – e il cuore – di chi non vuole più essere invisibile.

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