
Cividate al Piano, tredici spari contro un 27enne. «Dieci anni per tentato omicidio»
IL PROCESSO. L’agguato nel marzo 2024. La vittima ferita a gamba e braccio. L’imputato: «Accuse assurde nei miei confronti».
Era il 27 marzo dello scorso anno quando, a Cividate al Piano, un 27enne di origini marocchine venne ferito al braccio e a una gamba da colpi di pistola. Si trovava in auto, ed era arrivato da Pavia con mille euro, per acquistare droga. Aveva preso appuntamento con un altro straniero, e aveva le coordinate precise arrivate via WhatsApp. Sul posto, trova un uomo con il passamontagna. Poi si avvicina un secondo uomo, armato e a viso scoperto, che spara 13 volte. Secondo la ricostruzione, il fatto avviene tra le 21,50 e le 22. La vittima riesce a guidare sino a un distributore di benzina, dove si attiva la macchina dei soccorsi. Secondo la Procura di Bergamo, a premere il grilletto fu un caporal maggiore dell’esercito nel Novarese.
Chiesti 10 anni
Accusato di tentato omicidio, per l’uomo di 43 anni la pm Laura Cocucci ha chiesto la condanna (in abbreviato) a 10 anni di reclusione. La pena, aumentata per la detenzione e il porto d’armi, è stata ridotta per il rito scelto. Assistito dagli avvocati Domenico Meddis e Bruno Ganino, in aula l’imputato ha respinto le accuse definendole «assurde, non ho fatto nulla di ciò per cui mi accusano», e confermando quanto dichiarato poco prima in aula dalla teste della difesa: «Ero a cena a casa sua», a Urago d’Oglio. «Sono sempre stato una persona disponibile e gentile con gli altri, quella sera avevo prestato l’auto a un’altra persona, la davo a chiunque me la chiedesse». E aggiungendo: «Mi trovo in uno stato confusionale, sinora ho sentito solo cose assurde riguardo le accuse che muovono contro di me». L’uomo è in carcere dall’agosto dello scorso anno.
L’alibi della cena
Per la Procura non ci sono invece dubbi, e gli elementi di prova sono «gravi, precisi e concordanti». Nella sua requisitoria, la pm punta l’attenzione sul riconoscimento dell’imputato da parte della vittima, prima fotografico e poi – in incidente probatorio – di persona. La vittima, rileva, sin da subito dice di essere in grado di riconoscere chi ha sparato: «È vero che era buio, ma quel viso ce l’ho stampato, me lo sogno ancora la notte», le parole riportate in aula. Anche la presenza dell’auto in uso all’imputato nella zona è stata ritenuta «indubbia»: «Alle 22,03 esce da Cividate e si allontana dal luogo del fatto», rimarca la pm. C’è poi la questione dei tabulati (l’uomo ha ricevuto una telefonata dalla moglie alle 23,30, mentre non ci sarebbe traccia della chiamata all’amica per concordare la cena). E le celle agganciate: dalle 19,21 alle 23,30 sono cinque, tra Cividate, Rudiano, Calcio e Urago. «È certo che, nelle ore precedenti e in quelle successive al fatto era dinamico, non statico». L’alibi della cena è stato considerato «non credibile» dall’accusa, anche dopo la testimonianza della donna, che abita a Urago d’Oglio. «È arrivato alle 21-21,15 ed è rimasto sino alle 23-23,15». La donna ha anche affermato che il 43enne quella sera «era senza auto, l’aveva prestata a un amico, lo so perché l’ha detto a mia figlia che gli aveva chiesto un passaggio». Ricordando poi anche cosa aveva cucinato. Per lei, la pm ha chiesto la trasmissione degli atti per l’ipotesi di falsa testimonianza. Il 24 settembre le arringhe della difesa.
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