Il Pronto soccorso soffre: «Caldo, pazienti Covid e pochi medici di base»

Negli ospedali. Cosentini: «Tante criticità, come una “tempesta perfetta”». Fino a 160 accessi al giorno, molti impropri. «Servizi carenti sul territorio».

«Lo sa come si chiama? Tempesta perfetta». Due parole bastano per descrivere in maniera chiara, lucida ed efficace la situazione che i pronto soccorso della provincia di Bergamo vivono da qualche settimana a questa parte. Le parole di Roberto Cosentini, direttore del pronto soccorso dell’ospedale Papa Giovanni XXIII raccontano di un contesto inedito nel quale i medici d’urgenza stanno ormai iniziando a lavorare con una certa frequenza: un mese e mezzo di caldo record, come non si vedeva da vent’anni a questa parte, l’inattesa recrudescenza del Covid, con la prima ondata estiva da quando abbiamo a che fare con la pandemia, e la crescente mancanza dei medici di base, che spinge tante persone, perlopiù anziane, a rivolgersi al pronto soccorso anche per visite, esami e prescrizioni che poco o nulla avrebbero a che fare con la medicina d’urgenza. Risultato: la pressione sul personale cresce, i tempi di attesa si allungano e mantenere inalterata l’efficacia del servizio è sempre più complicato. In un periodo, poi, in cui i numeri del personale sono ridotti dai casi di Covid (presenti anche tra i medici) e dalle ferie. La tempesta perfetta, insomma.

«Gli accessi in pronto soccorso sono ormai gli stessi di tre anni fa – conferma Cosentini –, dobbiamo però considerare che abbiamo spazi più ridotti, per via della presenza costante di un’area Covid, un’équipe in meno perché ce n’è una dedicata al Covid, e conseguentemente dei letti in meno. C’è poi una serie di servizi che mancano fuori dall’ospedale: tanti pazienti arrivano al pronto soccorso perché non trovano risposta sul territorio, chiedendo anche visite specialistiche ed esami di secondo livello»

«Il nostro è, e resta, il mestiere più bello del mondo, purtroppo però sta diventando anche quello più difficile – ammette Cosentini –. Mai come ora siamo stati circondati da una serie crescente di difficoltà, alcune strutturali, altre contingenti, ma tutte concomitanti».

«Medicina di territorio carente»

I numeri parlano di un’attività tornata ai livelli del 2019 un po’ ovunque, in fatto di accessi al pronto soccorso, con la differenza però che tre anni fa il Covid non c’era – e con esso tutte le complicanze anche logistiche e di tempistica che i positivi al coronavirus comportano – e non si sentiva ancora così forte la carenza della medicina di prossimità. In più il clima torrido di queste settimane ha fatto schizzare il numero degli interventi del soccorso di emergenza e urgenza, arrivando a superare le 300 chiamate al giorno nella sola provincia di Bergamo, in tutto il mese di luglio.

«Gli accessi in pronto soccorso sono ormai gli stessi di tre anni fa – conferma Cosentini –, dobbiamo però considerare che abbiamo spazi più ridotti, per via della presenza costante di un’area Covid, un’équipe in meno perché ce n’è una dedicata al Covid, e conseguentemente dei letti in meno. C’è poi una serie di servizi che mancano fuori dall’ospedale: tanti pazienti arrivano al pronto soccorso perché non trovano risposta sul territorio, chiedendo anche visite specialistiche ed esami di secondo livello. E tra questi, vediamo persone con tumori avanzati, perché per mesi, durante le prime ondate della pandemia, molte prestazioni sono state sospese». È l’istantanea di una situazione che fatica a tornare alla normalità.

Esclusi i bambini, le donne in gravidanza e i traumatici, sono circa 130 al giorno gli accessi al pronto soccorso del Papa Giovanni. E bisogna fare i conti anche con le ferie: «Abbiamo fatto ricorso a una cooperativa per riuscire a mandare tutti in vacanza – ammette Cosentini –. Avevamo la necessità di coprire circa il 5% del personale, una percentuale tutto sommato residuale, ma che ci permette di garantire i servizi e conservare una certa attrattività anche nei confronti di chi lavora».

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