
Operaio finito sotto il treno, piede amputato. Le difese: «Fu il Covid a ucciderlo»
TREVIGLIO. Si spense in ospedale nel 2020, 24 giorni dopo l’incidente. I consulenti degli imputati: «Sarebbe morto comunque».
È morto per il Covid, non per le conseguenze dell’amputazione di un piede dopo che era stato travolto da un locomotore. È la conclusione a cui sono arrivati gli esperti della difesa di due dei 4 imputati di omicidio colposo per il decesso di Raffaele Iannotta , 64 anni, operaio che stava lavorando sui binari a un chilometro dalla stazione di Treviglio la notte del 23 novembre 2020, anno della pandemia. Il 21 ottobre i risultati della relazione sono stati illustrati a processo dal medico legale Andrea Verzelletti e dall’infettivologo Damiano Rizzoni, entrambi professori ordinari all’Università di Brescia, consulenti tecnici di un uomo, 62 anni, di Roma, all’epoca amministratore unico della GCF, la ditta di cui era dipendente la vittima, e della figlia, 33 anni, all’epoca amministratrice unica della Gefer spa, altra azienda che aveva in appalto i lavori da Rfi.
Travolto dal locomotore a Treviglio
Dopo essere stato travolto dal locomotore, Iannotta fu portato all’ospedale di Treviglio: qui era risultato positivo asintomatico al tampone Covid. Era stato trasferito all’ospedale Macchi di Varese, dove era stato sottoposto ad amputazione di un piede e trasferito nell’hub riservato ai malati Covid. Le sue condizioni si erano aggravate fino al decesso del 17 dicembre 2020. L’autopsia non fu eseguita, perché in quel periodo mancava personale, quasi tutto impegnato a combattere il virus, e perché era pratica altamente rischiosa. La causa della morte di Iannotta, in assenza di un esame specifico, è diventata così il fulcro di questo processo. Il consulente del pm Letizia Ruggeri durante l’udienza preliminare aveva depositato un elaborato in cui si sosteneva la relazione tra conseguenze post traumatiche e decesso.
Il parere dei due consulenti
«L’amputazione non ha inciso sulla morte – hanno sottolineato ieri Rizzoni e Verzelletti . La sepsi (un’infezione generalizzata, ndr) che si è sviluppata può aver inciso, ma era conseguenza del virus Sars Cov 2, non dell’intervento chirurgico». Per i due consulenti, Iannotta sarebbe comunque morto di Covid, anche se non avesse subito l’incidente. «Come fate a dirlo, con tutto quel dissanguamento, lo shock settico e il trauma riportato?», è la perplessità sollevata dal pm. In un corpo debilitato il Covid può avere avuto gioco più facile, è la tesi della concausa che aleggia sul dibattimento. «Il trauma non può essere considerato nemmeno come concausa - ha ribadito Rizzoni – . Iannotta sarebbe stato ricoverato comunque per insufficienza respiratoria anche senza incidente. Ho diretto un’unità Covid e posso dire che ha seguito lo stesso percorso di chi moriva, e cioè il 30% dei pazienti. Si partiva da una condizione asintomatica, poi la condizione respiratoria peggiorava man mano sino al decesso. Inoltre, in seguito alla crash sindrom (grave condizione causata da un trauma da compressione, ndr) che per il consulente del pm fu determinante per il decesso, si manifesta immediatamente e fa innalzare il valore della creatina. Qui invece la creatina durante il ricovero rimase nella norma. Risultava superiore invece il valore delle iterleuchine, indicatore tipico del Covid, che aveva un dato elevato fin dal 24 novembre»». Nella prossima udienza, il 10 febbraio, verranno sentiti due degli imputati: il macchinista e il capocantiere, 55 anni.
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