I boschi pagano il conto del maltempo
Migliaia di alberi abbattuti nelle valli

Ancora in corso la conta delle piante abbattute. Tra i rischi il dissesto, ma anche la diffusione di parassiti. Per ripristinare servono fondi.

Piccole trombe d’aria, molto localizzate, che hanno letteralmente travolto alcune zone di bosco lasciandone invece quasi intatte altre. Quello dei giorni scorsi è stato un fenomeno nuovo per il nostro territorio, che ha causato ai boschi delle valli danni ingenti: la conta ancora incompleta (resa difficile anche dall’estensione e dal carattere impervio di alcune delle aree interessate) parla già di migliaia di «schianti» di alberi. Abeti rossi, soprattutto, le cui radici superficiali non hanno retto alla furia del vento.

Il Consorzio forestale della Presolana, per esempio, sui circa cinquemila ettari di sua competenza stima ad oggi che siano cadute ottomila piante. Almeno 40 ettari di dissesti e schianti ad Ardesio, un’ottantina a Piazzatorre (e in Valle Brembana molto colpita è anche la zona delle abetaie sopra Roncobello, Valleve, Foppolo). In Valle di Scalve, nella sola Colere si parla di migliaia di alberi a terra, che «ovviamente con l’arrivo della neve diventano un problema», rileva il sindaco Benedetto Bonomo. E non solo per la neve: la presidente del Consorzio forestale Presolana, Mariantonia Ferracin, ricorda che «a seconda delle situazioni, se non si interviene, possono verificarsi problemi di dissesto idrogeologico, di deflusso delle acque o di salute generale del bosco».

Le piante malconce e abbandonate rischiano infatti in primavera di diventare «residenza» ideale per il bostrico, un parassita che colpisce l’abete rosso.

Dunque, a chi tocca ripristinare la situazione e rimuovere le piante colpite? Il principio è che intervenire spetta ai proprietari delle varie aree di bosco, pubblici o privati che siano. Il Comune di Ardesio, per esempio, tramite il Consorzio forestale Alto Serio, si è già mosso con incarichi a due ditte che oggi dovrebbero iniziare a tagliare nei boschi di proprietà pubblica. E il sindaco Yvan Caccia spiega che «si sta procedendo a una mappatura precisa, per scrivere anche ai privati di intervenire sulle aree di loro competenza: altrimenti, potrebbe farlo il pubblico, “girando” poi la parcella al proprietario».

Per gli enti pubblici, visto che il legname ha un valore, può scattare anche la collaborazione con ditte locali, che vanno a recuperarlo per destinarlo poi alle segherie, alle centrali a biomasse o triturarlo in «cippato» da usare per le caldaie, secondo il principio del «non si butta via niente».

Ma, ammette il presidente della Comunità montana Valle Brembana Alberto Mazzoleni, «bisognerà fare dei preventivi, capire quanto costa andare a recuperare queste piante». Valutare insomma, in base alle zone, se ci può essere un ritorno economico che renda gli interventi «appetibili», o viceversa se sarà inevitabile far ricorso almeno in parte a risorse pubbliche. L’auspicio che sale da più parti è infatti che arrivino dei finanziamenti regionali specifici. Altrimenti il rischio concreto, in molte aree, è che quelle piante cadute o spezzate restino lì a lungo, con i problemi che ne conseguono.

Per i boschi che rientrano in aree protette, poi, prima di accendere la motosega occorrono anche delle valutazioni specifiche.

Non più semplice è la questione dei privati: uno dei temi, sulle nostre montagne, è la grande frammentazione delle proprietà e il progressivo abbandono degli appezzamenti, magari da parte di eredi che da tempo vivono altrove e non se ne occupano. Così, se per i Comuni imporre ai proprietari l’intervento in caso di pericolo per la pubblica incolumità è sempre possibile, di fronte a cadute di piante in aree così estese e a volte difficilmente accessibili il quadro appare un po’ più complicato.

Intanto, il primo punto è completare il censimento dei danni. Comuni e Comunità montane sono al lavoro in questi giorni. Sapendo che il tema di fondo resta quello della prevenzione, della cura della montagna. «Serve un grande piano per risolvere le questioni aperte – ripete Mazzoleni – cercando di non rincorrere l’emergenza».

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