«I miei genitori, superstiti del Gleno»

La testimonianza. Annamaria Piantoni ha ricostruito come si salvarono papà e mamma la mattina del crollo. «Erano ragazzini, videro le loro famiglie completamente distrutte. Non raccontarono mai nulla del “Disastro”».

Novantanove anni fa un fiume di acqua e fango cancellò, in pochi minuti, le vite di centinaia di persone, radendo al suolo paesi interi. Il primo dicembre del 1923 il crollo della Diga del Gleno cambiò il volto alla Valle di Scalve e causò centinaia di vittime, molte delle quali non vennero nemmeno mai ritrovate. Famiglie intere vennero distrutte, come quelle dei genitori di Annamaria Piantoni. Originaria di Dezzo di Scalve, oggi Annamaria abita a Ponteranica, ma il cuore, soprattutto nei giorni a ridosso dell’anniversario del Disastro del Gleno, rimane in Valle di Scalve. «Sono la figlia di due sopravvissuti del Disastro del Gleno – racconta –. Sia mia mamma che mio papà abitavano al Dezzo, da ragazzini: avevano 11 e 12 anni il primo dicembre del 1923, quando la Diga crollò cancellando interi paesi. Il Dezzo fu il paese in Val di Scalve dove si registrarono più vittime. Contando i parenti di mia mamma e di mio papà morti nel Disastro, si arriva a 24 persone, compreso un bambino nato da poche ore, morto insieme alla mamma e al resto della famiglia. È una sorta di primato, il più triste che si possa avere».

Entrambi i genitori di Annamaria scamparono all’onda di fango, per motivi differenti. «Mio papà, Gerolamo Piantoni – continua Annamaria –, quel giorno si era svegliato presto per andare a scuola ad Azzone. Mentre saliva verso il paese, voltandosi, vide l’onda di fango travolgere il paese; vide la sua casa, e la sua famiglia, spazzata via dall’acqua. In quella casa c’erano sua mamma, suo papà, uno zio e sei dei suoi fratelli. Metà della sua famiglia morì quel giorno. Mia mamma, invece, scampò al Disastro perché in quei giorni si trovava a Bergamo, dove studiava con una sorella. Lei perse la mamma e una sorella, ma della loro storia non è mai riuscita a raccontare nulla: ogni volta che qualcuno, in casa, nominava il Gleno, lei iniziava a piangere. Spesso provavo a leggerle qualcosa che riguardava il Disastro, alcuni libri che riportavano testimonianze dei sopravvissuti, ma lei non ha mai voluto raccontare nulla. Il dolore era troppo grande».

Così Annamaria qualche anno fa, mossa dal desiderio di conoscere la storia della propria famiglia, si è affidata ad alcuni appassionati di storia locale, conosciuti anche attraverso il gruppo Facebook «Noi, gente di Scalve», che l’hanno aiutata a ricostruire gli ultimi momenti della vita della nonna, Pierina Bettineschi. «In particolare, mi ha aiutato Ambrogio Ferrari – spiega – a ricostruire quello che può esserle successo. Lei non lavorava, perché veniva da una famiglia che stava bene: il papà era commerciante di legnami e la mamma maestra. Si era sposata con Beniamino Casati, il vicedirettore della centrale idroelettrica del Dezzo, da cui aveva avuto tre figlie: mia mamma, Dina, e le sue sorelle Teresina e Lina. Mia mamma e l’altra sorella più grande si sono salvate perché in quei giorni erano a Bergamo, dai nonni paterni, che le ospitavano per farle andare a scuola in Città Alta. La nonna invece viveva in centrale, insieme alla bambina più piccola, che all’epoca avrà avuto cinque anni circa: entrambe vennero travolte dalla piena, mentre erano in casa. Non so nemmeno se i loro corpi vennero ritrovati. Alcuni dicono che vennero seppellite nella tomba di una zia a Rovetta, ma di questo non posso esser certa, perché la mamma non mi ha mai detto nulla. Suo papà, invece, si salvò perché quella mattina era andato con una squadra di operai a ripristinare una linea elettrica danneggiata dal maltempo».

I genitori di Annamaria continuarono la propria vita fuori valle: entrambi studiarono a Bergamo per poi sposarsi e tornare in Valle di Scalve, dove vissero, a Dezzo, fino a che i figli non iniziarono la scuola. Si trasferirono poi nuovamente a Bergamo per permettere ai figli di studiare in città, con la Val di Scalve nel cuore e un pensiero sempre rivolto a chi, in quella tragedia, aveva perso la vita.

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