Non ce l’ha fatta Marco Oberti, l’escursionista 37enne che si è sentito male all’Alpe Corte

LA BRUTTA NOTIZIA. L’uomo, di Vall’Alta di Albino, soccorso da alcuni ragazzi del Cre di Torre Boldone con il defibrillatore, era ricoverato all’ospedale Papa Giovanni in condizioni disperate.

Non ce l’ha fatta Marco Oberti, il 37enne di Albino ricoverato da mercoledì 12 luglio all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo in condizioni disperate dopo che si era sentito male all’Alpe Corte e quattro 19enni del Cre di Torre Boldone lo avevano tenuto in vita grazie al massaggio cardiaco e al defibrillatore in attesa dell’arrivo dei soccorsi.

Già mercoledì sera il fratello Fabio addolorato diceva che le speranze di salvare Marco erano pochissime, ma la speranza aveva portato tutti a sperare che alla fine ce l’avrebbe potuta fare. Purtroppo non è stato così, Marco Oberti, 37 anni, guardia giurata non ce l’ha fatta.

Nella casa di Vall’Alta di Albino dove viveva con i genitori Ugo e Luigina già mercoledì si sono radunati i familiari tra cui gli altri due fratelli, Francesca e Diego in attesa di notizie.

La dinamica di quanto accaduto

Il giovane è andato una prima volta in arresto cardiaco mentre era con un amico sulla riva del torrente Acqualina, che scorre a qualche centinaio di metri dal rifugio. È stato salvato dall’intervento di alcuni animatori del Cre di Torre Boldone e dal curato don Diego Malanchini, che gli hanno praticato il massaggio cardiaco, mentre dal rifugio accorrevano con il defibrillatore. Ma poi, sull’eliambulanza diretta a Bergamo, il cuore di Marco s’è fermato una seconda volta.

«Andava spesso in montagna, era una sua passione, così come l’Atalanta - spiega il fratello -. Martedì è salito con l’amico, si sono fermati a mangiare al rifugio e poi a riposarsi sdraiandosi nelle vicinanze. È in quel momento che Marco è stato colto dal malore».

All’inizio sembravano problemi di digestione, tanto che l’amico era sceso al rifugio a farsi dare dell’acqua. Poi, invece, ci si è accorti che la situazione era seria. E a intuirlo per primi sono stati alcuni 19enni che stavano accompagnando in gita i ragazzi del Cre di Torre Boldone e che si sono dimostrati prontissimi a intervenire: Nicola Maoloni, Andrea Cuter, Alex Vanalli e Lorenzo Mangili, tutti freschi reduci dall’esame di maturità.

La testimonianza dei ragazzi che hanno cercato di salvarlo

«Ero a tre metri dai due escursionisti. A un certo punto l’amico ha urlato: “Chiamate i soccorsi!” - racconta Nicola -. Ho visto che quell’uomo faticava a respirare e sono accorso. Ho mandato Alex e Andrea al rifugio a dare l’allarme, perché lì il telefonino non aveva campo, e sono accorso. Mi sono accorto che non aveva il battito e ho detto: “Mi sa che è in arresto cardiaco”. Poi ho cominciato a praticargli il massaggio. L’amico, avendomi visto così giovane, all’inizio non si fidava. Poi invece le sue perplessità sono svanite».

Nicola ha seguito il corso di rianimazione a scuola, all’Isis Valle Seriana di Gazzaniga da cui si è congedato pochi giorni fa.«Era un corso facoltativo, ma mio nonno Pierangelo Bosatelli di Ponteranica mi ha consigliato di seguirlo - prosegue - perché è appassionato di montagna e più volte gli è capitato di assistere a queste situazioni, una delle quali purtroppo con esito fatale. Sapendo che anch’io faccio escursioni in quota, mi ha detto che poteva essere utile per soccorrere qualcuno».

Il 19enne ha pompato con la forza delle braccia sul cuore di Marco, mentre Alex e Andrea hanno raggiunto il rifugio per far partire l’allarme all’Areu. Prima di tornare da lui, sono passati ad avvertire don Diego che è rimasto con i ragazzi del Cre nel prato di fronte all’Alpe Corte. Poi sono saliti insieme a Serena Bonacorsi, 21 anni, figlia dei rifugisti, che ha portato con sé il defibrillatore.

«Il macchinario è fondamentale, dà le scariche e resetta il cuore - spiega Nicola -. Ma tra una scarica e l’altra bisogna fare i massaggi». Il 19enne è sfiancato, il curato, un altro che ha seguito un corso di rianimazione, gli dà il cambio. «Il massaggio l’abbiamo praticato per 20/25 minuti, prima che atterrasse l’eliambulanza», ricorda il don. Sono ragazzi normali, questi quattro 19enni: l’oratorio, il ritrovo nella piazza del paese, la discoteca il sabato sera, la partita con la squadra di calcio locale. Nicola si iscriverà a Ingegneria Meccanica e sogna di andare a lavorare alla Brembo. Mal che veda c’è sempre la carpenteria di nonno Pierangelo a Villa d’Almé, le cui atmosfere ha respirato fin da piccolo («Lo aiutavo se c’era da fare qualche lavoretto»).

Mentre i 4 adolescenti stanno tentando di salvare la vita a Marco, altre persone, attempate, non riescono a rendersi conto della situazione delicata. Ne sortisce un testacoda generazionale - i vecchi rimproverati dai giovani - che, calato in scenari meno drammatici, sarebbe perfino grottesco. «C’era un gruppo di sessantenni vicino a noi, qualcuno filmava la scena - ricostruisce Nicola -. Abbiamo chiesto loro di allontanarsi, dava fastidio vedere che mentre una persona stava lottando contro la morte qualcuno non pensava altro che a riprendere ciò che accadeva. Uno si è giustificato dicendo che stava inquadrando l’elicottero impegnato nell’atterraggio, ma la fotocamera era puntata su di noi e il velivolo era invece a decine di metri di distanza».

Poi è arrivato anche Lorenzo, pure lui si è prodigato nei soccorsi. Aiutando l’equipaggio del 118 a trasportare il 37enne in barella fino all’eliambulanza, passando tra una macchia di rovi. «Quelli del 118, e anche i nostri amici poi, ci hanno fatto i complimenti, ma non ci sentiamo di aver fatto nulla di eccezionale. Abbiamo fatto solo ciò che dovevamo fare. Punto. E ora non penso a ciò che abbiamo fatto, ma a come sta la persona che abbiamo soccorso», confida Nicola.

«È stata una sinergia, perché i ragazzi si sono coordinati, ciascuno ha avuto un ruolo e ha fatto la sua parte, senza troppe parole - chiosa don Diego -. Non abbiamo fatto altro che mettere in pratica ciò che abbiamo imparato. E lo abbiamo fatto per chi soffre. In fondo, è il tema dei Cre di quest’anno: “Tu per tutti”, ossia ognuno di noi si prenda cura dell’altro, come ha fatto il buon samaritano del Vangelo. Non siamo eroi: solo persone che si sono prese cura di chi in quel momento aveva bisogno».

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