Roberta, dopo due trapianti
la gioia di essere mamma

Roberta Morlacchi a 26 anni scopre di essere affetta da aplasia midollare, una grave patologia che impedisce al midollo osseo di produrre sangue. Dopo tanta paura oggi sorride con il piccolo Simone in braccio.

Roberta Morlacchi a 26 anni scopre di essere affetta da aplasia midollare, una grave patologia che impedisce al midollo osseo di produrre sangue. Dopo tanta paura oggi sorride con il piccolo Simone in braccio.

Roberta, come hai scoperto della malattia?

«È stato nel 2005, ero sempre stanca e sul mio corpo comparivano spesso strani ematomi. Avevo 26 anni e sentirmi così non era una bella sensazione. Ho deciso di andare dal dottore per un controllo. All'inizio pensavo fosse stress, ma poi sono arrivate le prime analisi, i valori del sangue preoccupanti e in poco tempo sono stata ricoverata d'urgenza nel reparto di Ematologia dei Riuniti».

Com'è stato trovarsi all'improvviso in ospedale?
«Può sembrare strano, ma ora che sono più serena la prima cosa che mi viene in mente è la stanza dove mi trovavo, era colorata e accogliente, molto diversa dall'idea che si ha di un ospedale. Poi c'era l'attesa straziante, la paura di sapere. I medici erano rassicuranti, mi hanno sempre parlato con sincerità ma anche con ottimismo».

Aplasia midollare: questa è la malattia che le è stata diagnosticata.
«E' una malattia autoimmune. Il mio midollo osseo non produceva più le cellule del sangue. Così è iniziato l'iter clinico. Per le prime settimane, oltre alle trasfusioni, mi venivano somministrati farmaci immunosoppressori come cortisone, ciclosporina e siero antilinfocitario».

Perché è stato necessario ricorrere al trapianto?
«Queste terapie funzionano solo nell'80% dei casi. Il midollo non produceva piastrine e avrei dovuto ricevere trasfusioni per tutta la vita Di qui la decisione dei medici e il trapianto. Sono stata fortunata, il donatore è stato subito individuato e dopo la chemioterapia per preparare il corpo a ricevere il nuovo midollo osseo sono stata sottoposta ad una chemioterapia. Ho trascorso 44 giorni in ospedale, il trapianto era andato nel migliore dei modi e pensavo che oltre ai controlli di routine e alle medicine, fosse tutto finito, ma non è stato così».

Cos'è successo?
«Il mio corpo ha rigettato il nuovo midollo e a settembre del 2006 i valori del sangue erano di nuovo in calo. Il 26 settembre, due giorni dopo il mio compleanno, ero in ospedale per un altro trapianto. Sapevo che il rischio era alto ma non ho mai perso la fiducia e le persone intorno a me, dal mio compagno, ai medici, agli infermieri, mi hanno dato molta forza. Il secondo trapianto è andato bene e ora ho un bimbo di 8 mesi».

Una gravidanza dopo la sua malattia, com'è stato possibile?
«Nella mia situazione era molto difficile. I dottori hanno usato tutte le precauzioni possibili nel prescrivere terapie per preservare la fertilità, ma non c'erano certezze. Poi è arrivato Simone. Ricordo la gioia della dottoressa quando ho chiamato i Riuniti per dire che aspettavo un bimbo. Sono felice di poter essere qui a raccontare la mia storia, ma vorrei aggiungere una cosa che non dimenticherò mai (vorrei tanto che lo scriveste): le infermiere dei Riuniti sono degli angeli. Nei lunghi periodi di degenza dopo le operazioni ero in una stanza sterile, potevo ricevere poche visite e loro sono state la mia famiglia. Entravano con le mascherine, tutte bardate per non correre il rischio di trasmettermi infezioni e io avevo imparato a riconoscerle dalla dolcezza dei loro sguardi».

(da «Ospedali Riuniti In Forma» - periodico di informazione dell'azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo)

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