Moro: Mario una persona genuina
«Dedicherò a lui il Nanga Parbat»


Simone Moro, noto alpinista bergamasco e amico di Mario Merelli, si trova in questo momento sulle pendici del Nanga Parbat, dove assieme al kazako Denis Urubko sta tentando la prima assoluta invernale alla stessa montagna pakistana.

Appresa la notizia mentre si trovava ai campi alti, ha deciso di fare rientro al base e di fermarsi qualche giorno. Da lì ci ha fatto avere questo articolo dedicato all'amico scomparso mercoledì

Nanga Parbat (Pakistan)
Simone Moro
Con Mario se n'è andato un amico, l'ennesimo. Davvero una brutta botta, perché la sua scomparsa si porta via una persona schietta, genuina, con la quale non mi sono mai sentito in competizione. Può sembrare retorico, ma è così. Se ripenso a tutti questi anni, non riesco a ricordare un solo momento di tensione, nemmeno un piccolo malinteso. La nostra amicizia era basata proprio sulla consapevolezza che non eravamo in gara, che praticavamo un alpinismo diverso, ma mai in conflitto.

Lui non viveva la sindrome dell'antagonismo in cui è facile cadere nel nostro ambiente. Quello che diceva era quello che pensava. Non c'erano mai versioni diverse a seconda delle circostanze o delle convenienze. Con Mario potevi stare tranquillo. Il risultato è che tutte le volte che ci incontravamo non ci sentivamo mai a disagio. Anzi. Ci si rivedeva e ci si trovava per il puro piacere di stare assieme.

Avevamo infatti amici in comune come il mio attuale compagno di spedizione Denis Urubko con cui Mario era stato al Broad Peak e su altre montagne himalaiane, o il compianto Gianni Carminati, anch'egli scomparso di recente e assieme al quale un giorno andammo a trovarlo in elicottero: «Dove andiamo Gianni? Dai che facciamo una scappata a Lizzola dal Mario…». E la giornata era trascorsa così attorno a un tavolo a raccontare mille aneddoti legati al nostro mondo, quello degli Ottomila.

Già, perché Mario non era solo uno scalatore e un grande appassionato di montagna, era parte, così come suo padre Patrizio, di quella tradizione alpinistica che lega in maniera indissolubile il nome di Bergamo agli Ottomila. Era bello sentirsi parte di questo movimento proiettato verso le più alte cime del pianeta. Così come ora è triste constatarne il suo ridursi ai minimi termini. Negli ultimi anni se ne sono andati tutti gli himalaisti che conoscevo nella Bergamasca: i fratelli Marco e Sergio Dalla Longa, Pierangelo Maurizio, Roby Piantoni e ora Mario Merelli. Non dico che dovrò muovermi in questo orizzonte da solo, ma sicuramente sono venuti meno tanti punti di riferimento importanti. Questo mi fa pensare, mi rende molto più attento, nervoso.

Se anche per un solo istante penso alla situazione in cui si trova ora la famiglia Merelli e la ribalto sulla mia, rabbrividisco. Bisogna riflettere e trarne la lezione giusta. Perché la morte non ha colto Mario a Ottomila metri, ma sulle montagne di casa: l'ennesima dimostrazione di come non esistano vette facili o difficili. La montagna è un ambiente a sé stante. E frequentarla è un solo un gesto d'amore. Se arriverò in cima al Nanga Parbat, vetta pakistana dove mi trovo in questi giorni, la dedica è scontata. Ciao Mario, grazie di tutto.


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